IL RUSSIAGATE NON È MAI ESISTITO. MA L’UKRAINEGATE SÌ E NESSUNO NE PARLA
Il rapporto Durham ha certificato che il Russiagate non è mai esistito. In compenso, nessuno parla dell’Ukrainegate che vede pesantemente coinvolti il presidente Joe Biden e suo figlio Hunter. Intanto, su iniziativa del Dipartimento di giustizia, l’intera squadra investigativa che indagava su Hunter Biden è stata rimossa dall’incarico.
Ricapitolando: negli Usa il procuratore speciale John Durham ha chiuso l’indagine sul Russiagate, acclarando che l’Fbi avviò l’inchiesta per far luce su asseriti collegamenti tra Donald Trump e ambienti riconducibili al Cremlino senza lo straccio di una prova, ma su specifico mandato di Barack Obama, Hillary Clinton e la loro cerchia.
Alla quale appartiene Michael Morell, ex vicedirettore della Cia e cofirmatario assieme ad altri 50 funzionari dell’intelligence statunitense della cosiddetta “Dichiarazione pubblica sulle e-mail di Hunter Biden”, datata 19 ottobre 2020, in cui si sosteneva che l’inchiesta condotta dal «New York Post» sulle e-mail del figlio dell’attuale presidente Joe Biden fossero frutto della disinformazione russa. Morell stesso ha candidamente ammesso che questa tesi era completamente priva di riscontri, ma di aver comunque firmato il documento per non avvantaggiare la corsa alla Casa Bianca di Donald Trump e di averlo fatto dietro raccomandazione di Antony Blinken, allora consigliere senior per la campagna elettorale del candidato Joe Biden.
Per salvare il “figliol prodigo” dalle probabilissime implicazioni di una indagine condotta dal procuratore generale di Kiev Viktor Šokin, mirata a far luce sui suoi loschi affari con la compagnia energetica ucraina Burisma (nello specifico, «i documenti bancari statunitensi attestano che la società facente capo a Hunter Biden, la Rosemont Seneca, aveva ricevuto da Burisma accrediti regolari, generalmente superiori ai 166.000 dollari al mese, su uno dei suoi conti tra la primavera del 2014 e l’autunno del 2015»), il paparino aveva fatto leva sui privilegi garantitigli dalla posizione di vicepresidente degli Stati Uniti per ricattare l’allora presidente Petro Porošenko, minacciando di bloccare il flusso di aiuti statunitensi su cui si reggeva la stabilità finanziaria della disastrata Ucraina qualora Šokin non fosse stato rimosso dall’incarico. È stato lo stesso Biden a raccontare la vicenda in questi esatti termini, affermando di aver chiarito dinanzi alle controparti ucraine che ”se il procuratore non viene licenziato, non avrete i soldi. Ebbene, quel figlio di puttana fu cacciato. E al suo posto nominarono qualcuno che, all’epoca, riscuoteva il nostro gradimento”.
Naturalmente, la rete di sicurezza allestita attorno ad Hunter Biden è stata notevolmente rafforzata sotto la presidenza del vecchio Joe, come si evince dalle pressioni esercitate dall’Fbi sui vertici di Facebook affinché censurassero i post che rimandavano alle inchieste sul suo conto. Nonché dalle rivelazioni rese da un funzionario del fisco statunitense secondo cui, su iniziativa del Dipartimento di Giustizia, l’intera squadra investigativa titolare dell’indagine tributaria incentrata su Hunter Biden sarebbe stata rimossa dall’incarico.
Nel novero dei firmatari del documento a sostegno di Hunter Biden figura anche James Clapper, che in qualità di direttore della National Intelligence mentì spudoratamente al Congresso dichiarando sotto giuramento che, contrariamente a quanto acclarato dalla imponente documentazione resa di pubblico dominio da Edward Snowden, la National Security Agency non aveva intenzionalmente spiato in maniera del tutto illegittima milioni di cittadini statunitensi.
Leggi anche:
HUNTER BIDEN FACEVA AFFARI CON OLIGARCHI RUSSI E UCRAINI DURANTE EUROMAIDAN