NON ANDIAMO IN VACANZA DALLA BELLEZZA

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Questo tempo è dominato dal brutto, e ancor più dal mediocre. E chiunque aspiri ad un vero cambiamento non può che nutrirsi di vera Bellezza, non può che lavorare alla ridefinizione di un diverso immaginario che superi la cornice di questo mondo. Perché nessun cambiamento è realizzabile dentro la stessa cornice.

Che questo tempo sia dominato dal brutto, e ancor più dal mediocre, è un fatto che non lascia spazio ad interpretazioni. E questo essenzialmente perché abbiamo smarrito ogni reale contatto con la dimensione superiore, sottile. Contatto che ha da farsi dialogo, ponte, per cui nella grande arte, il Cielo si piega per un attimo sulla Terra e la abita. Il divino si incarna e sostanzia la nostra realtà mondana. Oggi tutte le arti attraversano una crisi radicale, e terminale sottolineiamo noi. Nessuna esclusa. Il cinema, con il suo essere l’arte “tipica” di quest’era, lo manifesta forse più chiaramente di tutte le altre. Vi sono alcune eccezioni, ovviamente, ma appunto, restano eccezioni.

Chi ha uno sguardo critico, rischia però di scivolare in due opposte tentazioni. Da una parte quella di accontentarsi di quello che passa il convento, basta che non sia esplicitamente contaminato dalle ideologie dominanti. Selezionando anche i titoli che “svelano complotti”, mettono in scena visioni distopiche, o adottano uno sguardo divergente su temi politici, economici o quant’altro. Dall’altra, quelli che vivono facendo a meno del cinema, e forse dell’arte in generale. Essendo tutto il sistema corrotto e svilente, ci si disinteressa totalmente. L’attenzione cade su altro.

E non ci si rende conto che la crisi dell’arte, e non solo, si alimenta anche di questi atteggiamenti, i quali mancano completamente del piano metafisico, e quindi simbolico, della realtà e delle sue crisi. Crisi che per l’appunto interrogano ciascuno di noi che siamo inseriti in questa società. Atteggiamenti che perpetuano una modalità individualistica, matrice dell’era contemporanea, che ci tiene a distanza di sicurezza da ogni responsabilità personale.

Occorre al contrario nutrirsi di vera Bellezza. E volgendo lo sguardo al passato non è così difficile trovare opere che sanno sfamare l’anima. Ma anche qui non bisogna cadere nel banale nostalgismo, o in un gusto reazionario che vorrebbe solo riproporre contenuti e forme di un certo passato e replicarli identici oggi. Il cibo serve a darci le energie per le opere che dobbiamo compiere, non per essere ammirato in quanto tale. Così l’arte, specialmente quella del passato, deve illuminare la nostra visione e comprensione dell’oggi affinché sappiamo cogliere la chiamata che ci viene rivolta.

In questo tempo estivo, allora vi invitiamo a dedicare spazio e attenzione alla vera arte. Perché non bastano analisi, non bastano le informazioni corrette e veritiere. Occorre recuperare uno sguardo profetico, occorre una visione; che unifichi il molteplice nell’Uno. Non ci può essere vera politica che non contempli anche una cosmologia, una metafisica e una teologia. Ma noi oggi, di tutto questo non sappiamo più nulla. E manchiamo di visione.

Poiché qui parliamo di cinema, segnaliamo due film che in modo diverso ci indicano un “oltre” e la incredibile concretezza del miracolo: La fontana della vergine di Bergman e Sacrificio di Tarkovskij.

Nel film di Bergman, ambientato nella Svezia medioevale, una fanciulla vergine viene aggredita, violentata e uccisa da alcuni briganti mentre attraversava un bosco per portare i ceri alla Madonna. Nel film si avverte la tensione fra il piano esistenziale e quello spirituale, tra il bisogno di amore e l’incapacità a viverlo. Tra la Giustizia e la Misericordia divina e la ricerca della vendetta umana. Ma il finale apre ad un orizzonte più grande. Là dove la giovane vergine è stata uccisa, sgorga improvvisa una fonte, quasi a benedire il suo sacrificio innocente. A rammentare che anche dal male può nascere il bene e che i frutti non sempre sono subito visibili. Presenti al miracolo ci sono i genitori con tutta la servitù della loro fattoria. E dove altri autori, con nessun talento, avrebbero riempito la scena con emotive esclamazioni dei personaggi davanti al miracolo, che tanto piacciono oggi ad un pubblico sempre più “diseducato” all’arte, Bergman lascia parlare i gesti silenziosi che testimoniano il profondo senso di ringraziamento a Dio e il riconoscere che le sue vie sono infinitamente più grandi e misteriose dei sentieri umani. E il dolore, che si ricompone davanti alla contemplazione del mistero, è avvolto da un canto sacro che pare davvero provenire da un “altrove”.

Sacrificio è invece il testamento spirituale e artistico del regista russo Tarkovskij, a nostro avviso la più grande figura che abbia avuto la settima arte. Il film si apre con una scena in riva al mare in cui il protagonista Alexander racconta al figlioletto la storia di un monaco ortodosso che «un giorno piantò un albero secco sul pendio di una montagna. […] E poi disse al suo giovane allievo di innaffiare l’albero tutti i giorni, finché non fosse diventato verde». Il monaco ogni mattina prendeva un secchio e saliva sulla montagna e innaffiava l’albero secco. «Continuò a fare così per tre anni, finché un bel giorno, salendo sulla montagna, non vide che tutto l’albero era ricoperto di gemme fiorite». Anche qui il miracolo dimostra di essere la vera realtà. È l’invisibile che regge il visibile.

Cosa vedono invece i nostri occhi? «Noi siamo proprio ciechi, non vediamo nulla», dice il postino Otto. Eppure non sembriamo cercare nulla, ma accontentarci di “piccole verità” rassicuranti.

E ritornando al film di Bergman, uno dei servitori del padrone così parla: «Vedi come il fumo trema, e si abbarbica sotto il tetto? Come avesse paura dell’ignoto. Eppure se si librasse nell’aria, troverebbe uno spazio infinito dove volteggiare. Ma forse non lo sa. E così se ne sta qui, nascosto, tremolante e inquieto. Con gli uomini capita lo stesso. Essi vagano inquieti, come tante foglie al vento. Per quel che sanno, e per quello che non sanno».

Noi andiamo in cerca di soluzioni concrete, facili, ci esaltiamo per le analisi geopolitiche, sociali, ma ci sfugge sempre di più il mistero della vita, la sua realtà simbolica che ci parla di continuo.

Restaurare una civiltà sulle macerie di questa, ormai terminale, si può fare solo alzando lo sguardo, lavorando alla costruzione di un nuovo immaginario estetico che oltrepassi la “cornice” di questo mondo. Ecco perché l’attenzione verso la grande arte non è solo accessoria, ma essenziale e prioritaria.

La Vita non va in vacanza e la Bellezza è la forma della Vita.

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