UNA GUERRA IPOCRITA E CINICA

0

Segnata sin dal principio dalla manipolazione propagandistica occidentale, e dallo spregiudicato utilizzo degli ucraini come carne da cannone, la proxy war ingaggiata dalla NATO contro la Russia è probabilmente destinata a trovare il suo epilogo sotto il segno della medesima ipocrisia e dello stesso cinismo. Come hanno chiaramente mostrato in Vietnam ed Afghanistan, gli Stati Uniti non si fanno scrupoli a voltare le spalle ai propri vassalli.

Il fallimento della guerra ibrida

La contraddizione più stridente in questa guerra, persino più di quella generica tra la narrazione occidentale e la realtà effettuale, è quella tra la propaganda NATO sull’importanza dell’impegno al fianco dell’Ucraina, e la effettiva natura di questo impegno.
Ovviamente, i media mainstream ci soverchiano di informazioni sulla quantità di denaro impiegato per sostenere Kiev, così come su quella dei vari trasferimenti di armi, enfatizzando al massimo entrambe, ma dimenticando di ricordare che la gran parte dei soldi erogati sono prestiti (i cui fondi assai spesso vanno direttamente alle industrie militari occidentali, e che un paese messo in ginocchio dalla guerra dovrà restituire), e che contemporaneamente i grandi fondi finanziari stanno saccheggiando quel che resta dell’economia ucraina. Ma ancor più stridente è lo scarto laddove si osservano gli aiuti militari.

Del resto, l’ipocrita realtà è che l’occidente questa guerra non solo l’ha preparata (col golpe del 2014 prima, con armi ed addestramento militare all’Ucraina da quello stesso anno, coi finti accordi di Minsk per guadagnare tempo poi – come rivendicato da Poroshenko, Hollande e Merkel…), ma con tutta evidenza non ha fatto nulla per evitarla, anzi.
Come tutti ricorderanno, i servizi segreti NATO per mesi hanno annunciato l’attacco russo, del resto esibito volutamente come minaccia, proprio per cercare di evitare di farvi ricorso. Se veramente si fosse voluto evitare il conflitto, anche senza accedere ad un negoziato con Mosca, sarebbe stato sufficiente stipulare un veloce accordo bilaterale USA-Ucraina e schierare anche solo 2/3.000 uomini in territorio ucraino, in prossimità dei confini orientali, rendendo assai complicato per la Russia intervenire senza scontrarsi direttamente con la NATO. Al contrario, Washington si premurò di ritirare (almeno ufficialmente) tutti i suoi consiglieri, e dichiarò che in ogni caso non sarebbe intervenuta direttamente. Un modo chiaro per dire a Mosca “accomodatevi”. Del resto, recentemente è stato il direttore di Limes, Lucio Caracciolo – non certo un putiniano… – a parlare di un vero e proprio accordo segreto tra Russia e Stati Uniti, proprio in questi termini.

Se si guarda a questi diciassette mesi di guerra, non si può non cogliere il senso complessivo del supporto offerto dalla NATO all’Ucraina. Che il senso primo del conflitto fosse, per gli USA, recidere drasticamente e duraturamente i legami tra Russia ed Europa, nonché riportare all’ordine i vassalli europei, è abbastanza evidente; e da questo punto di vista, possono ben dire mission accomplished! Che l’obiettivo secondario – per modo di dire – fosse colpire ed indebolire la Russia, è altrettanto evidente; ma in questo caso le cose non sono andate affatto come previsto, anzi, ad essere oggi in crescente difficoltà è proprio l’occidente collettivo. Ma, e qui veniamo al punto, la NATO non si è mai posta davvero la prospettiva di una vittoria sul campo. Per quanto avessero largamente sottovalutato il potenziale militare/industriale russo (e non solo quello…), gli strateghi del Pentagono hanno sempre saputo che per la NATO – e tanto più per gli ucraini – era ed è semplicemente impossibile sconfiggere Mosca in un conflitto convenzionale. Sin dal primo momento, infatti, la proxy war aveva tutt’altri obiettivi, e tutti ben lontani dal campo di battaglia.

Il disegno strategico dei neocon, come sempre accecati dalla pretesa superiorità dell’occidente, nonché dal proprio fanatismo ideologico, era infatti ben diverso. La guerra, che si immaginava relativamente breve, aveva l’unico scopo di fungere da pretesto per lo scatenamento della vera guerra, quella ibrida, fatta di sanzioni ed isolamento internazionale, e che avrebbe dovuto mettere Mosca in ginocchio in meno di un anno. Come sia andata, è sotto gli occhi di tutti.
E che questo fosse il disegno, è reso evidente proprio dall’andamento dei trasferimenti di attrezzature belliche, e più in generale del supporto militare offerto a Kiev.
A parte soprattutto i britannici, che hanno sempre cercato di manovrare gli ucraini per colpire i russi laddove interessava a loro (mar Nero, Crimea, ovvero la flotta russa), per il resto la caratteristica fondamentale delle forniture militari è riassumibile in pochi, precisi elementi:
– il materiale fornito è quasi sempre vecchio di 20/30 anni, a volte anche 40, provenendo da scorte di deposito;
– per quanto riguarda artiglieria e corazzati, spesso si è trattato di materiale dismesso e malfunzionante;
– le forniture sono state molto eterogenee, complicandone ulteriormente l’utilizzo da parte di un esercito costruito sugli standard d’epoca sovietica;
– l’invio è stato insufficiente numericamente (a volte ai limiti del ridicolo), e molto scaglionato nel tempo, rendendo impossibile sfruttarne la concentrazione;
– il materiale più recente è stato depotenziato, privandolo delle tecnologie più moderne.
Insomma, quantità, qualità e tempi di fornitura del materiale bellico sono stati tali da rendere impossibile qualsiasi cambiamento, anche semplicemente tattico, sul terreno. E ciò per la semplice ragione che, per la NATO, fare diversamente sarebbe stato uno spreco inutile.

Com’è noto, le guerre servono anche per testare i sistemi d’arma e verificarne sia la capacità offensiva che quella difensiva. Servono inoltre, più ampiamente, per mettere alla prova del fuoco le dottrine strategiche e tattiche elaborate precedentemente.
Ma anche sotto questo profilo, la NATO – e gli USA in particolare – si sono rivelati assai restii. Per quanto riguarda i sistemi d’arma, il timore è duplice: da un lato, che si rivelino assai al di sotto dei livelli propagandati dal marketing, e dall’altro per le conseguenze del reverse engineering (1).
Anche in conseguenza di queste preoccupazioni, i sistemi d’arma ritenuti più moderni sono sempre stati forniti con riluttanza, preferendo le versioni più obsolete, e magari private dei dispositivi più avanzati. Forniture limitate, inoltre, riducono ovviamente la possibilità che vengano catturati.
Paradigmatico, da questo punto di vista, il caso dei Leopard tedeschi. La Germania era inizialmente assai riluttante a fornirli, e fu necessaria la promessa statunitense di fornire a loro volta gli Abrams, per convincere Berlino. Una volta arrivati sul fronte, infatti, nonostante la fama di essere tra i migliori carri MBT (2) al mondo, si sono rivelati assai poco decisivi, e soggetti a distruzione come qualsiasi altro tank.

È interessante notare, al riguardo, che nonostante i britannici abbiano fornito alcuni MBT Challenger 2, questi non sono praticamente mai apparsi sulla linea di combattimento; a suo tempo, circolava anche voce che Londra li avesse forniti proprio a condizione che non finissero in prima linea…
In ogni caso, sinora tutti i sistemi d’arma forniti all’Ucraina si sono rivelati incapaci di divenire l’elemento game changer, sia perché effettivamente poco moderni, sia soprattutto perché forniti in quantità insufficiente. È il caso, ad esempio, degli americani Abrams, la cui fornitura era stata promessa appunto per sbloccare l’invio dei Leopard. Dopo tanti tentennamenti, sembra che infine saranno inviati (nella versione più vecchia M1A1, oltretutto depotenziata tecnologicamente) tra la fine di quest’anno e l’inizio del prossimo; gli USA trasferiranno all’Ucraina circa 30 tank di questo tipo. Una quantità risibile, persino se fossero l’arma-fine-di-mondo. Basti pensare che la Russia, nel solo settore di Liman, dove è attualmente all’offensiva, dispone di 900 carri armati.

La clamorosa debacle della strategia di guerra ibrida, ha costretto infine la NATO a puntare le sue carte sul piano che sapeva essere il più debole, cioè appunto quello dello scontro militare. Sono quindi cominciate le pressioni – assolutamente politiche – affinché Kiev riprendesse l’iniziativa sul terreno, dando un senso (quantomeno apparente) al sostegno militare ricevuto, ed un po’ di respiro alle élite politiche occidentali.
La contraddizione qui è emersa sin da subito, in tutto il suo cinismo. I comandi NATO, infatti, erano ben consapevoli che le forze ucraine erano del tutto impreparate per un tale compito. Lo erano per scarsità (e qualità) di mezzi forniti, lo erano per scarsità di personale sufficientemente addestrato, lo erano per significativi gap strutturali (artiglieria, aviazione, electronic warfare). Ciononostante, sono state mandate allo sbaraglio, sperando – come poi hanno candidamente ammesso in occidente – che il coraggio e la spinta motivazionale potessero sopperire a queste mancanze.

Il fallimento dell’offensiva ukro-NATO

Il clamoroso ed evidente fallimento anche di questo tentativo, costringe la NATO ad una ennesima giravolta. Dopo oltre due mesi di pressione, infatti, i risultati sono spaventosamente insufficienti; a fronte di avanzate che si contano al massimo nell’ordine delle centinaia di metri in profondità, restando comunque ben lontani anche solo dalla prima linea trincerata russa, le perdite umane (e di mezzi) sono state enormi, con una impennata soprattutto nel numero dei feriti invalidati definitivamente (3).
Nella prima fase (giugno) gli ucraini hanno cercato di sfondare impegnando uno dei due corpi d’armata preparati per l’offensiva, quello composto prevalentemente da truppe addestrate in occidente e da mercenari, tenendo di riserva quello basato soprattutto sulle truppe mobilitate; il suo compito era quello di aprire un varco attraverso il quale sarebbe poi dovuto penetrare il secondo corpo d’armata, cercando di arrivare a Melitopol e Mariupol. Sanguinosamente fallito questo tentativo, nella seconda fase (luglio) il 9° corpo d’armata – provatissimo – è stato ritirato, ed al suo posto è subentrato il 10°, precedentemente in riserva. Questa rotazione ha conseguentemente prodotto un ulteriore (logico) cambiamento: è stata abbandonata la tattica insegnata dagli addestratori NATO, e si è tornati a quella classica d’impronta sovietica.

Questo mutamento tattico, oltre che alla rotazione in sé, che ha portato in prima linea truppe non addestrate alle metodologie di combattimento occidentali, è ovviamente dovuta però anche al fallimento di quelle tattiche. Fallimento del tutto prevedibile, come si è detto, stante i rapporti di forza (qualitativi e quantitativi) tra ucraini e russi.
Peraltro, questo ritorno a modalità meglio padroneggiate è a sua volta incapace di sormontare le summenzionate difficoltà, e ne aggiunge anzi di nuove. Prevede infatti un massiccio uso della preparazione d’artiglieria prima di qualsiasi avanzata dei reparti sul terreno, aumentando quindi velocemente la crisi di approvvigionamento delle munizioni, con cui l’Ucraina fa i conti da mesi. Come si vede sul terreno, anche il passaggio a questa nuova-vecchia tattica non ha prodotto alcun risultato degno di nota, ed i combattimenti restano inchiodati all’interno della grey zone antistante le linee fortificate dei russi.
I quali, nel frattempo, hanno ripreso ad avanzare più a nord, nel settore di Liman, aprendosi alla possibilità sia di convergere verso Kharkiv, sia di aggirare a sud la linea fortificata ucraina Slovyansk-Kramatorsk.

Questo duplice fallimento della strategia anti-russa della NATO, pone ora l’Alleanza in una situazione assai complicata, essendo in un certo senso anche prigioniera della propria propaganda. Dopo tutte le parole spese per giustificare gli aiuti all’Ucraina, e dopo tutti i soldi spesi a questo scopo, recedere non è facile. Oltretutto, benché gli aiuti militari siano stati effettivamente avari, la realtà è che sono stati comunque sufficienti a mettere in crisi gli eserciti NATO e le industrie belliche occidentali, che ora hanno scoperto di essere ancor più impreparati ad un conflitto convenzionale di quanto immaginassero (4).
Il risultato di questa situazione complessiva non è tanto lo stallo delle forze sul campo, quanto quello politico della NATO, che non sa bene come affrontare la situazione. Ma che intanto sembra orientarsi sempre più verso un riallineamento strategico, e si prepara a mollare la zavorra.

I segnali in questo senso sono numerosi, e sempre più significativi. Già si era visto al vertice NATO di Vilnius, immaginato come un proscenio dove celebrare gli auspicati successi ucraini, e finito invece in un raggelante (per Zelensky) congelamento, non già del conflitto ma dell’adesione ucraina all’Alleanza Atlantica.
Pressoché contemporaneamente, è improvvisamente cessata la tolleranza nei confronti della petulante arroganza della leadership di Kiev. Se prima poteva impunemente permettersi persino di insultare il capo del governo tedesco, ora britannici prima e persino polacchi poi si son fatti saltare la mosca al naso per molto meno.
Ma, sotto questo punto di vista, e del tutto logicamente, il vero uno-due viene dagli USA. Prima, attraverso il New York Times (5), hanno sparato a zero sull’offensiva ucraina, attribuendone il fallimento all’incapacità di seguire la dottrina militare della NATO che era stata loro impartita (ovviamente, ammettere che questa era inadeguata, ed impossibile da attuare, è semplicemente inammissibile (6)). Poi, con una mossa – assolutamente politica, di valenza interna ma non solo (7) – con cui Biden ha proposto di trasferire armamenti a Taiwan nell’ambito di un programma di aiuti già stabilito ed indirizzato all’Ucraina; in pratica, un dirottamento.

Probabilmente, quindi, se entro l’autunno-inverno non ci dovessero essere novità positive dal fronte, assisteremo ad un parziale sganciamento degli USA, che rivolgeranno la propria attenzione più all’Indo-Pacifico ed alla Cina, lasciando la patata bollente agli europei, soprattutto britannici e polacchi come sempre. Se la situazione lo dovesse richiedere, si potrebbe arrivare anche ad una sostituzione – in dolore o meno – di Zelensky, eventualità alla quale i media occidentali hanno già cominciato a preparare il terreno.
Ciò potrebbe avvenire, ad esempio, seguendo lo schema delineato da Jamie Shea (8), il quale ha dichiarato alla CNBC “penso che si debba sempre distinguere tra il livello strategico e quello tattico, e a livello strategico, geopolitico, il sostegno dell’Occidente all’Ucraina è ancora notevolmente solido” (9); il che, tradotto dal diplomatichese, significa che l’appoggio politico statunitense rimarrebbe, ma quello materiale sarebbe in gran parte scaricato sugli alleati europei.
Questa guerra è stata sin dall’inizio segnata dall’ipocrisia e dal cinismo occidentali. Sarà ancora all’insegna di questi che cercheranno di porvi fine.


1 – Il reverse engineering (noto anche come backwards engineering o back engineering) è un processo o un metodo con cui si cerca di capire, attraverso un ragionamento deduttivo, come un dispositivo, un processo, un sistema o un pezzo di software realizzato in precedenza svolga un compito con una conoscenza molto limitata (se non nulla) di come lo faccia esattamente. È essenzialmente il processo di apertura o dissezione di un sistema per vedere come funziona, al fine di duplicarlo o migliorarlo. A seconda del sistema in esame e delle tecnologie impiegate, le conoscenze acquisite durante il reverse engineering possono essere utili per riutilizzare oggetti obsoleti, effettuare analisi di sicurezza o imparare come funziona qualcosa. In campo militare, viene utilizzato sia per migliorare i propri sistemi che le proprie capacità di contrasto del sistema d’arma oggetto di esame; ogni qual volta viene recuperato sul campo di battaglia un sistema d’arma nemico, questo viene trasferito nelle retrovie per essere studiato.

2 – Main Battle Tank, i carri pesanti, pensati per le azioni di sfondamento e per il supporto ravvicinato alla fanteria meccanizzata.

3 – Secondo dati forniti dal Ministero della Difesa russo, le forze armate ucraine hanno perso 43.000 militari dall’inizio dell’offensiva.
Questa cifra non include i feriti e i mercenari stranieri evacuati negli ospedali in Ucraina e all’estero, nonché quelli uccisi a seguito di attacchi con armi di precisione a lungo raggio nelle retrovie.
Inoltre, le forze armate ucraine hanno perso oltre 4900 unità di varie armi:
–  26 aerei.
–  9 elicotteri.
–  1831 carri armati e altri veicoli corazzati da combattimento, inclusi 25 carri armati tedeschi Leopard, 7 carri armati francesi AMX e 21 veicoli americani da combattimento per la fanteria Bradley.
–  747 pezzi di artiglieria da campo e mortai, inclusi 76 sistemi di artiglieria M777 americani.
–  84 cannoni semoventi provenienti da Polonia, Stati Uniti, Francia e Germania.

4 – Secondo quanto dichiarato da Mara Karlin, Assistant Secretary of Defense for Strategy, Plans and Capabilities“L’Operazione Speciale russa ha aperto gli occhi agli Stati Uniti. Ha mostrato l’incapacità del complesso militare-industriale statunitense di lavorare al giusto livello”.

5 – Cfr. “Ukrainian Troops Trained by the West Stumble in Battle”New York Times

6 – “Nel frattempo, dobbiamo convivere con il mondo di oggi. La strategia d’armamento della NATO, che prevede colpi di precisione combinati con sistemi di lancio invulnerabili, ha fallito miseramente. Tutti i nostri sviluppi tattici degli ultimi decenni sono morti. Qual’è la differenza tra un Leclerc/Leopard e un AMX 30 contro un Kornet? La risposta è: non molta, e il cannone di un AMX 30 è sufficiente per uccidere i difensori della trincea. Si è parlato molto della tendenza russa a far uscire dai depositi armi ‘obsolete’, ma un T55 usato come cannone d’assalto o in rilievo spara proiettili altrettanto bene di un T90. Il guadagno in termini di efficacia è minimo. (…) Soprattutto, il fallimento dell’offensiva ucraina è un segno del fallimento della dottrina NATO: i soldati impegnati con l’addestramento occidentale non hanno ottenuto un vantaggio sui russi. Le risorse di intelligence non sono riuscite a trovare le falle nella difesa russa.”, in: Jules Seyes, “The Ukrainian counter-offensive raises the question of NATO’s survival”Donbass-insider

7 – La mossa dell’amministrazione USA mira anche a mettere in difficoltà i Repubblicani, notoriamente molto più anti-cinesi che anti-russi.

8 – Jamie Patrick Shea CMG è un membro in pensione della NATO. È stato vice segretario generale aggiunto per le sfide emergenti alla sicurezza presso il quartier generale della NATO a Bruxelles, attualmente membro del think tank Chatham House,

9 – Cfr. Holly Ellyatt, “Ukraine has tested its allies’ patience with its military strategy and demands”CNBC

Condividi!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *