MACRON ALLE CORDE SUL NIGER
È un processo di decolonizzazione che prosegue, ora in Africa come accadde settant’anni fa nel Sud Est asiatico. Dapprima in Mali, poi in Guinea e Burkina Faso ed ora nel Niger, il domino jihadista sta facendo collassare la Françafrique allo stesso modo in cui il comunismo, ben sostenuto da Russia e Cina, mise la parola fine alla presenza francese in Indocina.
Pubblicato originariamente su Milano Finanza il 1° agosto 2023
È un processo di decolonizzazione che prosegue, ora in Africa come accadde settant’anni fa nel Sud Est asiatico. Dapprima in Mali, poi in Guinea e Burkina Faso ed ora nel Niger, il domino jihadista sta facendo collassare la Françafrique allo stesso modo in cui il comunismo, ben sostenuto da Russia e Cina, mise la parola fine alla presenza francese in Indocina. Sconfitta pesantemente a Dien Bien Phu nella guerra per l’indipendenza del Vietnam iniziata da Ho Chi Min nel ’46, il possedimento fu diviso dalla Conferenza di Ginevra del ’54 in quattro Stati indipendenti: fu Washington a subentrare, ingaggiando inutilmente sin dal ’65 un nuovo conflitto volto a mantenere l’indipendenza del Sud Vietnam, fino agli Accordi di Parigi del ’73 che segnarono il nuovo ed ancor più mesto ritiro dell’Occidente.
Anche stavolta, alla radice c’è una guerra rivoluzionaria, di popolo, che è incontrastabile con i soli strumenti militari: andrebbe affrontata in termini sociali ed assistenziali, vista la pervasività con cui le diverse organizzazioni jihadiste riescono a conquistarsi il favore delle popolazioni, prima in singoli villaggi e poi in intere aree, fino a mettere in crisi il potere politico che per contrastarle si era appoggiato dapprima alle forze militari francesi e poi in Niger ai contingenti di altri Stati europei e degli Usa.
Si apre un conflitto, al vertice politico e militare, che determina i colpi di Stato che non solo denunciano la inutilità dell’intervento militare straniero, quanto chiedono il ritiro delle truppe che vengono viste più come strumento d’occupazione, a sostegno di un gruppo di potere asservito agli stranieri ex-colonialisti, e non di liberazione dal nemico interno.
È così che gli equilibri geopolitici si ribaltano a favore della Russia, che subentra: mentre sul piano della sicurezza agisce per il tramite della sua Compagnia privata Wagner, fa poi leva sulla grande disponibilità di grano e di altre derrate agricole da destinare alle esigenze delle popolazioni, duramente colpite da carestie pluriennali cui seguono alluvioni devastanti. Il petrolio serve, come sempre.
Di converso, l’Occidente perde in marcatura: dal controllo di aree assai permeabili all’immigrazione clandestina, che proviene dagli Stati africani situati più a sud del Sahel, e conseguentemente delle rotte che ne consentono l’accesso alle sponde del Mediterraneo passando attraverso i confini meridionali di Algeria e Libia, all’accesso ai minerali di importanza strategica, come l’oro e l’uranio nel caso del Niger. La giunta golpista ne avrebbe già sancito il divieto di esportazione all’estero, ed in particolare alla Francia, con decorrenza immediata.
È il medesimo nodo islamico che mette Parigi in grande difficoltà, sia nella Francia metropolitana che nelle ex- colonie in Africa ormai da decenni: le endemiche rivolte nelle banlieues sono il portato di un’istanza fortemente identitaria dal punto di vista sociale e religioso di una gran parte della popolazione più povera che ha origini magrebine, e del conseguente rifiuto della politica di assimilazione culturale delle minoranze. Ne conseguono problemi di eccezionale rilievo in ordine alle matrici sociali, etniche e religiose del reclutamento e dell’impiego delle forze di polizia e dei militari di truppa: se, per un verso, è assai fredda l’adesione dei giovani di origine magrebina più sensibili alle rivendicazioni identitarie ai concorsi per l’ammissione nelle forze di polizia, anche quelli di stirpe gallica hanno manifestato insofferenza per la disistima con cui sono stati accolti nel corso dei pattugliamenti urbani effettuati nell’ambito della operazione Vigipirate, decisa in funzione di prevenzione e di contrasto del terrorismo fomentato dall’estremismo islamico. Parimenti, è assai inopportuno impiegare sia i poliziotti di religione islamica nella repressione delle rivolte nelle banlieues che i militari del medesimo credo religioso nelle missioni all’estero finalizzate al contrasto al jihadismo: li si esporrebbe, infatti, ad un potenziale conflitto di coscienza che può dar luogo a delicate riserve ed obiezioni.
La questione economica, del sottosviluppo dell’area, è comunque dirimente. Così come è di straordinaria delicatezza la strategia valutaria e finanziaria sottesa alla adozione del franco Cfa: sono quattordici le nazioni che fanno parte di questa intesa, in seno all’Unione economica e monetaria dell’Africa occidentale (Uemoa) e alla Comunità economica e monetaria dell’Africa centrale (Cemac), alle quali si aggiungono le Isole Comore, per un totale di circa 155 milioni di persone. L’ancoraggio all’euro, ma ancor più la garanzia del cambio derivante dalle riserve in valuta straniera che vengono alimentate dal congelamento di una quota dei proventi delle esportazioni, hanno dato luogo ad un assetto strutturalmente costrittivo, se non recessivo: si prosciugano infatti, prelevandole a monte, le risorse interne che sarebbero altrimenti disponibili ed indispensabili per finanziare sia gli investimenti infrastrutturali che quelli industriali. È una sorta di super euro, senza autonomia politica in materia di tasso di cambio, né libertà in campo di espansione finanziaria.
Per il Niger l’allarme è massimo: se gli Usa non interverranno in forze, l’Unione europea e tanto meno l’Italia hanno le risorse necessarie per farlo, inchiodate come sono nel conflitto in Ucraina. Sperano tutti che, ad arginare la débâcle francese e dell’intero Occidente, basti la pressione internazionale: d’altra parte, il colpo di mano sembra essere stato avventato, visto che anche il portavoce del Cremlino Dmitri Peskov, smentendo il capo della Wagner Prigozhin, ha affermato che la Russia è favorevole “al rapido ripristino dello Stato di diritto”.
Un fallimento si profila comunque, netto: quello della strategia di Parigi volta a costruire una presenza continua lungo tutto l’asse che taglia l’Africa in obliquo, partendo dalla Guinea per arrivare fino alla Libia. Aver fatto fuori Gheddafi, per spiazzare l’Italia che se ne era fatta garante, ha solo aperto la strada alla Russia ed alla Turchia: la destabilizzazione colpisce chi la brandisce.