L’IMPRONTA DI CARBONIO DEI PANNELLI SOLARI È TRE VOLTE IL VALORE UFFICIALE DELL’IPCC

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Ecoinvent, il più grande database al mondo sull’impatto ambientale delle rinnovabili, possiede dati obsoleti, inaffidabili o del tutto inesistenti sulla Cina, che però produce la maggior parte dei pannelli solari del mondo. Una clamorosa inchiesta in collaborazione con Environmental Progress e BlindSpot indaga sulle falle dei dati che sostengono una delle industrie più importanti del momento.

Fonte: Solar Panels Are Three Times More Carbon-Intensive Than IPCC Claims, di C. P. Colum e Lea Both (Substack, 24.07.2023) [inchiesta realizzata in collaborazione con Environmental Progress and The Blind Spot]



Lo scorso agosto, mettendo insieme Green New Deal e Build Back Better, l’Inflation Reduction Act (di seguito: IRA) del presidente Joe Biden ha donato all’industria delle energie rinnovabili miliardi di dollari di sussidi finanziati dai contribuenti. Quello di cui in pochi, tra i sostenitori del disegno di legge, si sono resi conto è che il maggior beneficiario potrebbe essere la Cina, a causa del suo controllo espansivo sull’industria globale del solare fotovoltaico (di seguito: FV). Peggio ancora, l’IRA potrebbe finire per indirizzare erroneamente gli sforzi per l’energia pulita del mondo verso tecnologie energetiche più sporche di quelle apprezzate a causa della continua dipendenza del paese dall’energia a carbone.

Le informazioni portate alla luce dall’Information Unearthed by Environmental Progress, un’organizzazione di ricerca senza scopo di lucro, indicano un’enorme falla nel modo in cui le cifre che influenzano la politica di net zero del governo e gli investimenti nel solare in tutto il mondo vengono ordinate e raccolte. Ciò a causa della difficoltà di avere informazioni attendibili dalla Cina, in particolare per quanto riguarda i processi di purificazione utilizzati nella creazione dei wafer di silicio. La ragione di questo punto morto è che un piccolo numero di compilatori di dati fornisce il materiale di partenza per la maggior parte delle valutazioni. E molti, se non tutti, lavorano in collaborazione con l’Agenzia internazionale dell’energia (AIE). L’industria invia volontariamente i dati in risposta a sondaggi accademici; l’identità e il profilo degli intervistati non vengono mai rivelati pubblicamente, quindi esiste la possibilità che si sviluppino conflitti di interesse.

Un ulteriore enigma è dato dal modo in cui i dati vengono inseriti in Ecoinvent, organizzazione senza scopo di lucro con sede in Svizzera, fondata nel 1998, che si autodefinisce “il più coerente e trasparente database degli inventari sui cicli di vita di tutto il mondo”. Questi dati sono utilizzati dalle istituzioni dell’intero pianeta, tra cui l’IPCC e la stessa AIE, per calcolare le proiezioni sull’impronta di carbonio, compreso il sesto rapporto di valutazione pubblicato nel marzo 2023.

Sulla base di tali dati, l’IPCC afferma che [l’emissione di carbonio del] solare fotovoltaico è di 48 gCO2/kWh. Ma, come vedremo in seguito, una nuova indagine avviata dal ricercatore italiano Enrico Mariutti suggerisce che il numero sia più vicino a 170 – 250 gCO2/kWh, a seconda del mix energetico utilizzato per alimentare la produzione fotovoltaica. Se questa stima è esatta, il solare non avrebbe un confronto favorevole con il gas naturale, che ha un’emissione di circa 50 gCO2/kWh con la cattura del carbonio e da 400 a 500 senza.

Il vantaggio del carburante sporco della Cina

Nel corso di un’indagine di quattro mesi, Environmental Progress ha confermato che Ecoinvent – forse il più grande database al mondo sull’impatto ambientale delle energie rinnovabili – non ha dati dalla Cina per quanto riguarda la sua industria fotovoltaica. Al contempo, la fonte ultima dei presunti dati pubblici dell’AIE sull’intensità di carbonio del fotovoltaico è riservata e i dati, pertanto, non sono verificabili. Gran parte dei dati relativi all’impronta di carbonio durante l’intero ciclo di vita, a cui poi fanno riferimento i governi per guidare gli array fotovoltaici, si basano piuttosto su ipotesi di modellazione che probabilmente hanno grossolanamente sottostimato – se non inventato – le emissioni di carbonio del solare, dal momento che non esistono dati dettagliati verificabili sui produttori cinesi. Nel suo report più recente, l’AIE prevede che la Cina continuerà a dominare la produzione di energia solare fornendo oltre il 50% dei progetti solari fotovoltaici a livello globale entro il 2024. Questa traiettoria è particolarmente preoccupante, considerato che la Cina controlla già la maggior parte della produzione di pannelli solari.
L’AIE ha osservato che nel 2022 la capacità produttiva cinese di wafer, celle e moduli è aumentata del 40-50% ed è quasi raddoppiata per il silicio. Infatti, secondo la società di informazioni di mercato Bernreuter Research, nel 2021 la Cina ha prodotto oltre l’80% del polisilicio globale di grado solare, un elemento fondamentale dei pannelli solari. E non finisce qui: la Cina produce il 97% della fornitura globale di wafer solari, un altro componente essenziale.

Il modo in cui la Cina ha accumulato questa concentrazione di mercato rimane una scomoda verità, fin troppo prontamente messa sotto il tappeto da coloro che spingono per le politiche net zero. Quello che sappiamo per certo è che fino alla metà degli anni 2000 il mercato era dominato da produttori giapponesi, statunitensi e tedeschi, molti dei quali stavano automatizzando le loro linee di produzione, quando i produttori cinesi si sono lanciati per conquistare la loro quota di mercato. L’interruzione è avvenuta in meno di un decennio, con la quota globale cinese di produzione fotovoltaica passata dal 14% nel 2006 al 60% entro il 2013. Ma la maggior parte degli esperti consultati da Environmental Progress concorda sul fatto che il vantaggio competitivo della Cina non risieda in un processo tecnologico innovativo, bensì negli stessi fattori che il paese ha sempre utilizzato per superare la concorrenza dell’Occidente: energia a carbone a basso costo, sussidi governativi di massa per le industrie strategiche e manodopera operante in condizioni di lavoro precarie.

Il ragionamento di base suggerisce che il cambiamento di produzione debba essersi aggiunto all’intensità di carbonio del solare. Ma, come ha appreso Environmental Progress, nessuno nel mondo del calcolo del carbonio ha ritenuto opportuno scoprire esattamente di quanto. I modellisti stanno stimando le emissioni di carbonio della produzione solare come se i pannelli fossero ancora realizzati principalmente in Occidente, sottovalutando grossolanamente la loro intensità di carbonio, anche se i governi si affrettano a redigere e attuare politiche di net zero basate su quegli stessi dati imperfetti.

Un crociato dei dati italiano, solitario e ostinato

Il buco nero grande come la Cina al centro dei dati mondiali sul fotovoltaico potrebbe, nel contesto del settore, sembrare ovvio.

Ma ciò non ha reso più facile per Enrico Mariutti [nella foto qui sopra], un trentasettenne romano introspettivo ma compulsivo, convincere gli altri nel suo settore della possibilità che ciò rappresenti un problema. Come Greta Thunberg, Mariutti nasce come ossessivo ambientalista desideroso di facilitare la transizione dai combustibili fossili a forme di energia più pulite. Diversamente da Greta, però, Mariutti ha finito la scuola e sa come si usa un set di dati. Ha conseguito una laurea in geopolitica e sicurezza globale, disciplina che, sebbene non esattamente interna a questo ambito, lo ha dotato di competenze quantitative sufficienti a fargli riconoscere la differenza tra dati buoni e dati cattivi.

Mariutti ha notato per la prima volta che qualcosa non andava con le valutazioni fotovoltaiche circa due anni fa, mentre si preparava per un dibattito online sulle rinnovabili con Nicola Armaroli, direttore del Consiglio italiano delle ricerche. Essendo ossessionato dai dati, decise di scaricare il materiale originale per cercare di capire le ragioni [delle stranezze notate]. Restò innervosito da ciò che scoprì. I dati non si armonizzavano. “Mostravano quanti sistemi solari fotovoltaici fossero stati utilizzati in termini di materie prime: silicio, alluminio, rame, vetro, acciaio e argento. Poi ho visto l’impronta di carbonio. Sembrava semplicemente troppo piccola”, ha detto a Environmental Progress.

Secondo le sue scoperte, l’intensità di carbonio dei pannelli solari fabbricati in Cina e installati in paesi europei come l’Italia era inferiore di un ordine di grandezza. Un primo calcolo approssimativo collocava l’impronta di anidride carbonica tra 170 e 250g per chilowattora (kWh), un valore lontanissimo dalla stima ufficiale di 20-40g per kWh fornita dall’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC). La sottostima dell’IPCC, una volta applicata ai piani energetici “puliti” dell’UE, produce un risultato scioccante. Seguendo i calcoli di Mariutti, lo stimato ente scientifico sottostima le emissioni degli impianti solari dell’UE costruiti nel solo 2022 per un volume compreso tra 5,4 e 7,6 milioni di tonnellate, come si vi fossero da 3,4 a 4,8 milioni di auto in più sulle strade per un anno.

Dal 2020 Mariutti si è sentito in dovere di rendere pubbliche le sue scoperte. Ha potuto pubblicare un editoriale sul principale quotidiano finanziario italiano, Il Sole24Ore. Il pezzo sosteneva che fosse sbagliato descrivere come “rivoluzione verde” una transizione energetica dipendente da una tecnologia affamata di minerali, che “potrebbe raddoppiare lo sfruttamento delle risorse della terra in pochi decenni”. L’articolo ha avuto un buon successo, diventando subito virale sui social media italiani. Entusiasta di quello che sembrava un mandato pubblico per la sua missione, Mariutti ha dunque continuato la sua ricerca, inviando decine di domande ai compilatori di dati. Le risposte, tuttavia, sono state tutt’altro che veloci, finché un giorno di novembre del 2022 una delle principali esperte olandesi di rinnovabili, Mariska de Wild-Scholten, ha risposto.

Mariutti era felicissimo di aver fatto breccia. La de Wild-Scholten è stata una dei cinque autori più importanti che hanno fornito contributi significativi (viene nominata circa 454 volte ) al report dell’AIE di Mariutti “Life Cycle Inventories and Life Cycle Assessments of Photovoltaic Systems (2020)”, un punto di partenza per gran parte del processo decisionale dei governi sulle politiche di emissioni zero. Tuttavia, ciò che la de Wild-Scholten disse a Mariutti non è rassicurante.

La scorta di dati segreti di Wild-Scholten

In due e-mail, la Wild-Scholten spiegava infatti come, nel determinare il consumo di elettricità nella purificazione del silicio utilizzato per produrre i wafer, leggesse raramente articoli scientifici “a causa di dati di bassa qualità, obsoleti e/o non trasparenti”, mentre poco diceva sulle sue fonti preferite, oltre al fatto che si basava su sondaggi. Né le risposte ad altre domande erano più rassicuranti.

Mariutti le chiese cosa pensasse del fatto che 192 paesi decidano la loro strategia energetica a lungo termine sulla base di dati che all’epoca sottostimavano ragionevolmente l’intensità media del carbonio dell’energia fotovoltaica di un ordine di grandezza (40 vs. 250 gCO2/kWh). La sua risposta stimolava più domande che risposte. “La mia esperienza è che nessuno vorrebbe pagare per l’aggregazione dei dati necessaria per fornire aggiornamenti pubblicamente disponibili e gratuiti”, scrisse, aggiungendo che stava lavorando all’aggiornamento dei dati pubblici “ma solo lentamente”. Poche indicazioni, o nessuna, venivano date circa la fonte dei suoi dati.

Ma, aggiunse, era felice di condividere i dati che utilizzava per informare lo studio AIE del 2020 e li allegava all’e-mail, perché ora erano “obsoleti”. Diceva di essersi basata su dati riservati di singole società senza però specificarne il profilo regionale o altri aspetti. Li aveva tenuti privati solo perché non era riuscita a far finanziare gli studi.

Dal febbraio 2023, Mariutti ha deciso di autopubblicare le sue scoperte sul proprio sito web in un articolo intitolato “The dirty secret of the solar industry“. Il pezzo faceva un’affermazione audace: gli scienziati stavano usando in malafede i dati europei per modellare l’intensità di carbonio della produzione solare cinese. L’obiettivo, si chiedeva, era misurare l’impronta di carbonio dell’energia solare o semplicemente convincerci che è verde.

Su sollecitazione di Mariutti, l’articolo è stato ripreso a maggio dello stesso anno in un pezzo di Giovanni Brussato per il settimanale milanese Panorama. Brussato ha attinto all’affermazione di Mariutti secondo cui basta guardare l’analisi del ciclo di vita dell’industria del vetro cinese da parte della China Development and Reform Commission per vedere se c’è un problema di concordanza dei dati. Secondo le fonti cinesi, ha osservato, la produzione di vetro (un altro input critico nella produzione solare) ha un’impronta di carbonio di soli 0,68 kgCO2e/kg nonostante una dipendenza del 70% ammessa dall’energia a carbone. Uno studio comparabile condotto da ricercatori occidentali sull’industria del vetro nel Regno Unito, che è principalmente alimentata da energia a gas naturale più pulita, sulla base dei dati di Eurostat e Guardian Europe, ha valutato che l’industria ha un’impronta di carbonio di 1,12 KgCO2e/kg. Per fare un confronto, l’AIE classifica il solare tra 0,5 e 1 kgCO2e/kg e Ecoinvent con 1 kgCO2e/kg.

Un grosso problema con i dati solari, secondo Mariutti, è che i compilatori sono stati lenti nel riconoscere lo spostamento dell’industria in Cina. Non lo hanno fatto fino al 2016: solo molto tempo dopo che gran parte della produzione fotovoltaica si era già spostata verso est, la transizione è apparsa sui radar dei raccoglitori di dati. Ma anche allora dipendevano da nuove stime e modelli piuttosto che da fdati provenienti dalla fonte. “Nel 2014, hanno calcolato l’intensità di carbonio dell’energia fotovoltaica come se i pannelli fossero stati realizzati in Europa, con energia a basse emissioni di carbonio”, ha detto Mariutti a Environmental Progress, riferendosi ai compilatori di dati. “A partire dal 2016, i calcoli hanno iniziato a far sembrare che i pannelli fossero stati fabbricati in Cina, cioè presumibilmente con energia ad alta intensità di carbonio”. Tuttavia, quale che sia il modello utilizzato, l’intensità di carbonio risultante era sempre compresa tra 20 e 40 gCO2/kWh. “Se avessero fatto bene i conti, sarebbe risultato tra 80 e 106 gCO2/kWh, e questo escludendo ancora fattori importanti”, afferma Mariutti. Dopo la pubblicazione del pezzo su Panorama, le sue affermazioni hanno suscitato la reazione del dottor Marco Raugei, uno dei principali ricercatori di emissioni da tecnologie rinnovabili presso la Oxford Brookes University, e i due sono rimasti coinvolti in un’intensa polemica.

“Abbiamo utilizzato tutti miscele elettriche cinesi per il c-Si PV. E abbiamo ancora ottenuto risultati neanche lontanamente così alti come lasci intendere. Quindi, qualcosa è chiaramente fuori posto nei tuoi calcoli approssimativi” ha twittato Raugei nell’aprile di quest’anno. A titolo di esempio, ha citato un documento influente del 2021 sulla sostenibilità dei sistemi fotovoltaici degli analisti del ciclo di vita Enrica Leccisi e Vsili Fthenakis. Mariutti aveva precedentemente criticato l’analisi di Leccisi e Fthenakis nel suo pezzo autopubblicato, osservando che mentre l’input elettrico del solare è stato modellato secondo uno scenario cinese, l’input termico è rimasto europeo. Dopo che Mariutti ha fatto notare a Raugei di aver tentato senza successo di contattare la Leccisi per commentare le sue scoperte, il colloquio si è raffreddato. In un’ulteriore corrispondenza con Environmental Progress, il dott. Raugei ha sottolineato che nella sua ricerca si è sforzato di utilizzare le approssimazioni più vicine possibili ai dati cinesi per creare uno scenario realistico.

I dati cinesi mancanti

Quando scienziati, accademici o ricercatori non dispongono di dati accurati nel mondo occidentale, di solito lavorano sodo per riempire direttamente il vuoto. Vengono intrapresi grandi sforzi, e ingenti somme vengono spese per reperire dati sempre più affidabili e migliori. Questo, però, non accade nel caso dell’anomalia dei dati cinesi. La mancanza di trasparenza, le barriere linguistiche e una pletora di istituzioni inaccessibili – insieme a una generale riluttanza da parte dei ricercatori a portare alla luce realtà che potrebbero dissipare le ipotesi esistenti – hanno portato a un eccessivo affidamento su modelli e input estrapolati dai processi di produzione occidentali. La stima dell’IPCC secondo cui l’intensità di carbonio del solare è quattro volte quella dell’eolico e del nucleare, ma 10 volte inferiore a quella del gas e 20 volte inferiore a quella del carbone deriva da tali presupposti.

Non sorprende che gli autori del sesto rapporto di valutazione dell’IPCC, indicato come AR6, basino le loro valutazioni del ciclo di vita (LCA) dell’energia solare su studi che non rappresentano lo stato attuale del settore. Dei quattro studi citati dagli autori, due valutano solo la produzione europea di pannelli solari. Il terzo modello è un pannello all’avanguardia di fabbricazione cinese, l’Upgraded Metallurgical Grade Silicon (UMG-Si), che non è più in produzione. Il quarto passa in rassegna 16 studi e tutti modellano pannelli solari che non sono più in produzione, modellano pannelli che costituiscono solo pochi punti percentuali del mercato globale o utilizzano gli inventari 1 o 2 di Ecoinvent, che utilizzano anche mix elettrici europei.

Ecoinvent, l’onnipresente database su cui fanno affidamento i responsabili politici e gli accademici di tutto il pianeta, nonché i produttori, grandi e piccoli, è stato fondato dal Dr. Rolf Frischknecht. Da oltre 20 anni, la sua no profit svizzera, finanziata almeno in parte dal governo elvetico e dall’industria del fotovoltaico, raccoglie dati sull’impatto ambientale delle energie rinnovabili. Una collaborazione recentemente concordata sulla spedizione a zero emissioni di carbonio con i principali attori di tale settore mette in mostra l’influenza ancora in crescita dell’associazione. Dall’inizio degli anni ’90, la reputazione del Dr. Frischknecht è cresciuta di pari passo con l’industria delle energie rinnovabili. Circa 20 anni fa, ha avviato una collaborazione con l’AIE attraverso il Photovoltaics Power Systems Program (PVPS), un’iniziativa congiunta dell’AIE e dell’industria globale del fotovoltaico per condurre ricerche sul solare e trasformarlo in una “pietra angolare” dell’energia.

Nonostante la sua attenta gestione di Ecoinvent, nel 2021 Frischknecht si è tranquillamente dimesso dall’ente che aveva fondato decenni prima. Nella sua lettera di dimissioni ha segnalato “percezioni inconciliabilmente diverse riguardo a materialità, realtà, qualità e responsabilità” dei loro ultimi dati. “C’è stato un drastico passaggio dai dati (appropriati) alla metodologia”, ha scritto Frischknecht a Environmental Progress. Di fronte a un allontanamento dalla raccolta di dati del mondo reale, dalla discussione su quali fossero i dati cruciali, i riferimenti adeguati e i controlli approfonditi sulla qualità dei dati, come aveva spiegato nella sua lettera di dimissioni, Frischknecht si è sentito obbligato a voltare pagina. “Durante la mia carriera, ho provato e provo a essere indipendente da tentativi diretti, indiretti e sottili di influenzare la modellazione di dati”, ha aggiunto. Ha quindi messo in dubbio la qualità dei dati Ecoinvent, dicendo a Environmental Progress: “I dati sul fotovoltaico in Ecoinvent risalgono al 2011 e non ci sono dati da fonti di informazione cinesi”. Nella corrispondenza e-mail con Ecoinvent, Environmental Progress ha potuto confermare le accuse di Frischknecht. Quest’ultimo ora gestisce Treeze, una società di consulenza “giovane ed esperta” per la valutazione del ciclo di vita, “coinvolta in grandi progetti dell’UE”. Treeze riceve anche finanziamenti dall’Ufficio Federale Svizzero dell’Energia e raccoglie i dati sul ciclo di vita per il rapporto PVPS “Task 12” sulla sostenibilità del solare.

La totale mancanza di input cinesi nei dati di Ecoinvent, tuttavia, non ha impedito all’AIE di continuare a dipendere dal lavoro potenzialmente obsoleto della creatura di Frischknecht per le proprie stime. Queste rivelazioni minano le fondamenta dell’industria della sostenibilità, che basa una parte significativa delle sue certificazioni sui dati Ecoinvent e promette ad aziende e governi che ottenere le certificazioni proteggerà il pianeta.

Il settore ha validi motivi per fidarsi di Ecoinvent senza controllarne i dati. L’industria della sostenibilità guadagna miliardi di dollari ogni anno grazie alla portata delle riduzioni di carbonio che afferma di fornire. Rivelare che non ha mantenuto i suoi impegni più basilari minaccerebbe il suo business.

Dati circolari

Per maggiore chiarezza sul motivo per cui i ricercatori continuano a fare affidamento su Ecoinvent nonostante le sviste, Environmental Progress ha contattato lo sparring partner di Mariutti su Twitter, il dottor Raugei. Questi ha spiegato che uno dei motivi per cui il database è diventato famoso era la facilità con cui i dati potevano essere “disaggregati”, consentendo l’inserimento di variabili personalizzate. Mentre l’AIE dipende da una serie di aziende per evitare interessi acquisiti che giochino sui risultati, Raugei ha detto che “è vero che alcuni studi non usano la variabile giusta” e che i dati dei documenti chiave sono obsoleti, anche se ricercatori più esperti, come lo stesso Raugei, “sono in grado di inserire le loro variabili nei modelli per rettificare”. Il problema è che molte di queste variabili su misura, come nel caso di Raugei, provengono anche dall’AIE, e ancora una volta si basano sui dati Ecoinvent, il che porta a una situazione perfettamente circolare.

Ricontattato da Environmental Progress, Frischknecht ha ammesso: “È difficile ottenere dati industriali di prima mano, in particolare da aziende asiatiche”, ma ha poi deviato osservando che il PVPS era riuscito a ottenere dati primari direttamente da almeno un paio di entità commerciali, in particolare FirstSolar e TotalEnergies. Questi dati, a suo avviso, hanno confermato le ipotesi dei ricercatori secondo cui i valori dell’impronta di carbonio compresi tra 25 e meno di 60 g CO2-eq/kWh erano giusti.

“Personalmente non vedo alcun motivo o prova scientifica per modificare le cifre chiave utilizzate per modellare l’LCI e l’LCA dell’elettricità fotovoltaica”, ha dichiarato a Environmental Progress via e-mail. “Pertanto, non posso supportare la vostra ipotesi di sottovalutazione (drastica/ampia) degli impatti ambientali basati sul ciclo di vita dell’elettricità fotovoltaica”. Tuttavia, resta il fatto che nessuna delle società [menzionate da Frischknecht] gestisce impianti di produzione di wafer in Cina. FirstSolar si vanta anzi di essere l’unico tra i 10 maggiori produttori di energia solare al mondo ad avere sede negli USA e a non produrre in Cina.

Eppure Frischknecht ha offerto un indizio intrigante sulla natura dei dati proprietari della de Wild-Scholten, a cui attinge anche Ecoinvent. “Aveva accesso a una serie più ampia e riservata di dati del settore (principali produttori di pannelli, celle e wafer cSi)”, ha scritto. Ma anche se la Wild-Scholten avesse avuto accesso a tali dati dalla Cina, non è chiaro se li abbia inclusi nel documento AIE prima menzionato, altamente influente, su cui lei e Frischknecht hanno lavorato insieme. Qui, l’indagine di Environmental Progress lascia aperti dei dubbi.

Un dato fondamentale nella valutazione dell’impronta di carbonio dell’odierna produzione fotovoltaica è il consumo energetico della purificazione del silicio. È un processo ad alta intensità energetica, che richiede calore superiore a 1000 gradi Celsius ed è alimentato a carbone. La stima dell’AIE in LCI e LCA dei fotovoltaici è di 49 kW-kg: “sospettosamente basso”, dice Mariutti. Ma da dove vengono i dati? È una fonte dell’industria cinese dalla scorta segreta di Wild-Scholten? Il riferimento è all’ennesimo report dell’AIE, Trends In Photovoltaic Applications 2019. Ma anche qui viene fornita solo una stima –49 kW-kg – non una fonte di dati, cinese o meno. Quindi, come ha fatto l’AIE a elaborare la sua cifra per il processo più sporco e ad alta intensità energetica del solare?

La prospettiva dell’AIE

Dopo lunghi scambi con Environmental Progress, rappresentanti e collaboratori dell’AIE non hanno potuto che offrire risposte evasive e non sempre del tutto corroboranti.

“È vero che la purificazione del silicio è la fase a più alta intensità energetica nella produzione fotovoltaica”, ha dichiarato Heymi Bahar, analista energetico senior dell’AIE, al telefono a Environmental Progress. Ha anche ammesso che il punto dati è centrale per tutti i calcoli dell’intensità di carbonio del solare. “Ma questi dati vengono raccolti in modo anonimo e non possono essere condivisi”. Pressato da Environmental Progress, Bahar ha chiesto: “Perché l’AIE dovrebbe condividere i nomi delle società da cui otteniamo i dati?” Alla risposta secondo cui è importante verificare l’esattezza dei dati, viste le enormi implicazioni per la spesa pubblica, ha aggiunto: «Perché? L’industria dei combustibili fossili offre qualche alternativa?” ha risposto, suggerendo che non ci sarebbero opzioni migliori.

Environmental Progress ha chiesto se AIE ignorasse i dati non verificabili nei suoi rapporti. “Siamo un’organizzazione ombrello”, ha detto Bahar. “Non controlliamo il lavoro di tutti i nostri collaboratori. Non sempre siamo d’accordo con le loro opinioni”. Dunque l’AIE confida che i dati che pubblica in collaborazione siano accurati? “Il più delle volte”, ha detto Bahar.

Due collaboratori dell’industria solare di AIE, PVPS, hanno offerto interpretazioni leggermente diverse. Daniel Mugnier, presidente di PVPS, ha affermato che i dati sul consumo di energia provengono da “interviste anonime condotte da esperti del Task 12” e che ottenere ulteriori informazioni si rivelerebbe eccessivamente dispendioso in termini di tempo e impedirebbe a PVPS di “proteggere le sue fonti”. L’altro dei due esperti, l’analista Izumi Kaizuka, ha detto a Environmental Progress che le informazioni provengono da un’associazione di imprese cinesi, senza ulteriori dettagli. Environmental Progress ha detto a Mugnier e Kaizuka che le uniche fonti di dati primarie a disposizione del PVPS potrebbero essere le due menzionate da Frischknecht, quelle senza collegamenti degni di nota con la Cina: FirstSolar e TotalEnergies. Ha anche chiesto di conoscere il grado in cui il PVPS si era basato sulle assicurazioni di de Wild-Scholten riguardo all’accuratezza delle conclusioni senza poter effettivamente consultare i suoi dati proprietari. Al momento della pubblicazione non è pervenuta alcuna risposta. Presumendo che i dati misteriosi provenissero da una fonte cinese, Environmental Progress ha chiesto a Bahar se fosse affidabile, dato l’interesse acquisito detenuto sia da Pechino che dall’industria che sovvenziona massicciamente. Ha risposto che la Cina era “parte della famiglia AIE”, il che non lo lasciava nelle condizioni di commentare.

Environmental Progress ha contattato il professor Angel de la Vega Navarro dell’Università nazionale autonoma del Messico, che ha contribuito al capitolo sei di AR6, dedicato ai sistemi energetici, e al gruppo di lavoro III sulla mitigazione del cambiamento climatico. Ha risposto dicendo che non aveva le competenze per commentare ulteriormente, ma che le domande che stavamo sollevando erano importanti. Dei quattro esperti che secondo lui erano più adatti a rispondere alle nostre domande, solo uno ha risposto, Andrea Hahmann dell’Università tecnica della Danimarca: “Sfortunatamente, non sono abbastanza informato per fornire commenti sulle informazioni che avete fornito in quanto al di fuori della mia area di competenza”.

Environmental Progress ha contattato Garvin Heath, un collaboratore del quinto rapporto di valutazione IPCC (AR5) e del rapporto AIE PVPS, e ha ricevuto una mancata risposta dal dipartimento di relazioni con i media del suo datore di lavoro, il National Renewable Energy Laboratory degli Stati Uniti. “Purtroppo, a causa degli attuali limiti di tempo con i nostri team di ricerca competenti, non saremo in grado di collaborare”.

Ecoinvent, nel frattempo, ora guidata dal Dr. Nikolas Meyer, non ha risposto alle richieste di ulteriori commenti sulla mancanza di dati cinesi. In modo inquietante, Mariutti afferma che questa è solo la punta dell’iceberg, con modelli accurati che mancano su stoccaggio, aggiornamenti della rete, emissioni di metano e altro ancora. L’AIE ha ammesso a Environmental Progress che i suoi calcoli dell’impronta di carbonio non tengono conto di tre fattori importanti nella produzione fotovoltaica: estrazione del silicio; rifiuti di pannelli tossici, che rischiano di sopraffare infrastrutture di riciclaggio; e una cosa nota come “effetto albedo” (si verifica quando le proprietà altamente riflettenti dei pannelli solari di colore scuro portano ad un aumento dell’effetto serra). Secondo l’AIE, se presi in debita considerazione, i primi due fattori da soli potrebbero più che triplicare il “periodo di ritorno dell’investimento” per i pannelli, ovvero il periodo che intercorre prima che diventino carbon neutral dopo l’installazione.

“Perché AIE non è trasparente riguardo alle sue fonti e alle lacune nei dati?” chiede Mariutti. “Una transizione frettolosa al solare e ad altre fonti rinnovabili senza prove concrete dei vantaggi, lasciando il controllo alla Cina, potrebbe essere un errore enorme”.

Con critici come Mariutti esclusi dal dibattito, la scienza, dice, “si sta comportando come una religione”. I mecenati della scienza sono alti burocrati incaricati di convincere i contribuenti di tutto il mondo a consegnare trilioni di finanziamenti per la tanto celebrata transizione pulita. Assumendo il controllo della produzione fotovoltaica e abituando analisti ben intenzionati alla conservazione dei dati di base, la Cina si è guadagnata la parte del leone dei sussidi globali. I pochi dati che potrebbero esistere sulla sostenibilità dell’industria fotovoltaica vengono rivelati a partner selezionati come AIE in modo frammentario e in modo da garantirne l’inverificabilità.

Ne emerge l’immagine di un’aspirante industria occidentale catturata al sicuro da una Pechino riservata e amante del carbone. È una preoccupazione per lo sviluppo economico dell’Occidente, per non parlare della sicurezza energetica e dell’azione per il clima. Se il solare è qualcosa su cui dovremo far affidamento in futuro, la grande transizione sembra fondata meno su dati che su un misto di fede cieca e interessi acquisiti.


* Il grassetto è nostro.

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