THE TWITTER FILES, PARTE XIX: “La grande macchina della menzogna del Covid-19”

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La disinformazione russa sui social? Ora possiamo affermarlo con certezza conclusiva: era una bufala. Non sono mai esistiti né bot russi né, tanto meno, individui in carne ed ossa pagati dai russi o in altro modo correlati alla Russia. Si è trattato di una pura e semplice messinscena del think tank neocon e russofobo Alliance for Securing Democracy (ASD) e del suo sito Hamilton 68. L’elenco di 600 bot russi ai quali Hamilton 68 faceva riferimento era composto da normalissimi cittadini americani, colpevoli solamente di avere simpatie conservatrici o non allineate al pensiero unico liberalprogressista, scelti, praticamente a caso, per impersonare inesistenti agenti russi, senza in realtà avere né connessione né simpatie con la Russia. Una bufala totale, dunque. E di questo i dirigenti Twitter arrivarono a un certo punto ad essere perfettamente a conoscenza, ma, per timore delle conseguenze, preferirono non attaccare la potentissima Alliance for Securing Democracy e non smascherare apertamente le bugie di Hamilton 68. Ma l’aspetto più scandaloso è che centinaia di testate, network, TV (MSNBC, Watts, Washington Post, Politico, Mother Jones), inclusi siti di “fact-checking” come Snopes e Politifact e, non ultimo, istituzioni accademiche come Harvard, Princeton, Temple, hanno continuato per anni a parlare di ingerenze russe basandosi sul nulla. Un unico sito è stato dunque usato come riferimento insindacabile per affermare una realtà inesistente. Se adesso vi viene il sospetto che quello della disinformazione russa non sia stato l’unico caso in cui vi hanno preso in giro, è perché è così.

Articolo originale: https://twitter.com/mtaibbi/status/1619029772977455105, Twitter, 27 gennaio 2023.

Twitter Files #15 MOVE OVER, JAYSON BLAIR: TWITTER FILES EXPOSE NEXT GREAT MEDIA FRAUD

di Matt Taibbi, scrittore, giornalista e podcaster, ex redattore collaboratore di Rolling Stone.

“Penso che dobbiamo chiamarle per quello che sono: stronzate”.

“Accusa falsamente un gruppo di legittimi account di destra di essere bot russi”.

“Praticamente in tutti i casi si può concludere che prendono semplici discussioni di circoli conservatori su Twitter e li accusano di essere russi”.
Queste citazioni provengono da ex dirigenti Twitter e hanno per oggetto Hamilton 68, un “cruscotto” digitale che affermava di monitorare l’influenza russa ed era la fonte di centinaia se non migliaia di articoli di giornali e TV mainstream durante gli anni di Trump. 

Il “cruscotto” era guidato dall’ex funzionario del controspionaggio dell’FBI (e attuale collaboratore di MSNBC) Clint Watts ed era finanziato da un think tank neoliberal, l’Alliance for Securing Democracy (ASD).

Il consiglio consultivo dell’ASD comprende lo scrittore neocon Bill Kristol, l’ex ambasciatore in Russia Michael McFaul, l’ex capo di Hillary for America John Podesta, e gli ex capi o vice capi della CIA, della NSA e del Dipartimento per la sicurezza interna.

Per anni i notiziari hanno citato Watts e Hamilton 68 quando sostenevano che i bot russi stavano “amplificando” un’infinita serie di cause sui social media: contro gli scioperi in Siria, a sostegno della conduttrice della Fox Laura Ingraham, a favore delle campagne di Donald Trump e Bernie Sanders.

Hamilton 68 è stata la fonte di tutti gli articoli secondo cui il termine “deep state” o hashtag come #FireMcMaster, #SchumerShutdown, #WalkAway, #ReleaseTheMemo, #AlabamaSenateRace e #ParklandShooting e molti altri erano promossi da bot russi.

E qual era l’ingrediente segreto del metodo analitico usato da Hamilton 68? Un elenco: “La nostra analisi ha collegato 600 account Twitter ad attività di influenza russa online“, è stato il modo in cui il sito lo ha presentato al momento del lancio. 
Hamilton 68 non ha mai pubblicato l’elenco, limitandosi ad affermare che i russi avrebbero semplicemente chiuso gli account. Tutti i giornalisti e i personaggi televisivi che hanno affermazioni sui “bot russi”, in realtà, non sapevano minimamente di cosa stavano parlando.
Per quello che vale, Rosenberger e Fly rivelano la loro metodologia sul loro sito web e dicono che non possono rivelare l'elenco dei 600 account che stanno seguendo o che i russi semplicemente li chiuderanno. Altri ricercatori con cui ho parlato affermano che i tweet e i messaggi trovati da Hamilton 68 sono certamente coerenti con ciò che hanno visto in account collegati alla Russia. Rosenberger, che ha trascorso anni alla Casa Bianca e al Dipartimento di Stato di Obama, ride all'idea di essere un neocon, anche se è vero che il loro comitato consultivo comprende sia esperti liberal di Russia come l'ex ambasciatore di Obama a Mosca Mike McFaul, sia la bestia nera preferita da Greenwald, l'originale neocon Bill Kristol.

I dirigenti di Twitter erano in una posizione unica per ricreare l’elenco di Hamilton: infatti, avevano la possibilità di decodificare le richieste di dati Twitter provenienti dal loro sito. Preoccupati per la profusione di notizie che facevano riferimento a Hamilton 68 come fonte, hanno deciso di approfondire e ciò che hanno scoperto li ha scioccati.

“Questi account”, hanno concluso, “non sono né fortemente russi né fortemente bot”. “Nessuna prova a sostegno dell’affermazione secondo cui il cruscotto è un dito sul polso delle operazioni di informazione russe”. “Un po’ poco per parlare di operazione di influenza massiccia”.

In parole povere: Hamilton 68 quasi non aveva russi nel suo elenco. Infatti, a parte qualche account RT, era per lo più pieno di normali americani, canadesi e britannici. Insomma, un falso. Ma, anziché monitorare veramente in che modo la “Russia” avrebbe influenzato l’opinione degli americani, Hamilton 68 ha semplicemente raccolto una manciata di account per lo più reali e per lo più americani, e ha descritto le loro conversazioni organiche come intrighi russi. 

Twitter ha riconosciuto immediatamente che queste notizie che avevano come fonte Hamilton 68 rappresentavano un grave problema etico, potenzialmente implicandole. “Le persone reali devono sapere che sono state etichettate unilateralmente come tirapiedi russi senza prove o ricorso”, scrisse Roth.

Alcuni dirigenti di Twitter volevano fortemente eliminare Hamilton 68. Dopo che i russi erano stati accusati di aver pubblicizzato l’hashtag #ParklandShooting, un dirigente scrisse: “Perché non possiamo dire che abbiamo indagato… e dire apertamente che quello che sostiene Hamilton 68 è sbagliato, irresponsabile e di parte?

Yoel Roth voleva un confronto. “La mia raccomandazione in questa fase è un ultimatum: o rilasciano l’elenco o lo facciamo noi”, scrisse. Tuttavia, c’erano preoccupazioni interne sullo sfidare apertamente l’Alliance for Securing Democracy per via delle sue connessioni politiche.

“Dobbiamo stare attenti a quanto respingiamo pubblicamente l’ASD”, disse la futura portavoce della Casa Bianca e del NSC Emily Horne.

“Anche a me è dispiaciuto molto non poter smentire pubblicamente Hamilton 68, ma capisco che dobbiamo guardare al quadro complessivo della situazione in questo caso”, scrisse Carlos Monje, futuro consigliere senior del segretario ai trasporti Pete Buttigieg.

Queste “persone legittime”, come le definiva un dirigente di Twitter, non hanno mai saputo di essere state usate come foraggio per montagne di notizie sulla presunta “influenza russa”. Ora che i  TwitterFiles hanno rivelato quell’elenco, hanno iniziato a scoprirlo.

“Sono scioccata”, dice Sonia Monsour, che da bambina ha vissuto la guerra civile in Libano. “In quello che dovrebbe essere il mondo libero, siamo osservati a molti livelli su tutto ciò che scriviamo su Internet”.

“Ho scritto un libro sulla costituzione degli Stati Uniti”, dice l’avvocato di Chicago Dave Shestokas. “Il modo in cui ho creato un elenco come questo è incredibile per me.”

“Quando stavo crescendo, mio padre mi parlò della lista nera dell’epoca McCarthy“, dice Jacob Levich, originario dell’Oregon. “Da bambino non mi sarebbe mai venuto in mente che questo sarebbe diventato la regola, in un modo… progettato per minare i diritti che ci stanno a cuore”.

Anche i dirigenti di Twitter sono rimasti sbalorditi nel leggere gli individui presenti nella lista. Scrisse il capo della sezione Policy Nick Pickles a proposito del fumettista britannico Old Holborn®: Un provocatore abituale … lo seguo e non direi che è filo-russo … non ricordo nemmeno che abbia mai twittato sulla Russia”.

“Mi hanno inserito in un elenco di bot stranieri?” ha detto il commentatore politico conservatore Dennis Michael Lynch. “Come orgoglioso cittadino contribuente, padre di famiglia caritatevole e onesto figlio di un marine americano, merito di meglio. Noi tutti lo meritiamo!”

Anche l’editore di Consortium News Joe Lauria si è arrabbiato scoprendo di essere sulla lista, che ha preso di mira voci di tutto lo spettro: “Organizzazioni come Hamilton 68 sono in affari per imporre una narrazione ufficiale, il che significa eliminare fatti scomodi: quello che loro chiamano ‘disinformazione'”.

Ciò che rende importante questo capitolo è l’incredibile vastità dell’impronta giornalistica lasciata dal maccartismo digitale di Hamilton 68. La quantità di titoli e segmenti TV fa impallidire l’impatto di singoli favolisti come Jayson Blair o Stephen Glass.

Hamilton 68 è stato utilizzato come fonte per affermare la presenza di un’influenza russa in una serie sorprendente di notizie: dal sostegno a Brett Kavanaugh, al promemoria di Devin Nunes, alla sparatoria alla scuola Parkland, alla manipolazione degli elettori neri, agli “attacchi” all’indagine Mueller…

Questo tipo di articoli ha suscitato timori nella popolazione e, cosa più insidiosa di tutte, essi sono stati usati per diffamare persone come Tulsi Gabbard come “asset stranieri” e suscitare simpatia per cause politiche come la campagna di Joe Biden, descrivendo i critici come allineati alla Russia.
 
Ma il colmo è che questi articoli sono stati spesso utilizzati anche come prova della diffusione di “notizie false” su siti come Twitter:
 

Era falso. L’illusione di un sostegno russo è stata creata basandosi su persone come Joe Lauria, Sonia Monsour e Dave Shestokas. Praticamente tutte le principali testate giornalistiche americane hanno citato questi articoli falsi, inclusi siti di “fact-checking” come Snopes e Politifact.

Twitter non ha avuto il coraggio di esporre pubblicamente Hamilton 68, ma ha provato a parlare con i giornalisti in via non ufficiale. “I giornalisti sono irritati”, ha detto Horne. “È come parlare al vento”.

Roth era offeso dall’idea che i tweet su certi temi suggerissero sovversione. “Possiamo parlare di quanto sia incredibilmente condiscendente…? Se parli di questi temi, devi essere stato ingannato dalla propaganda russa”.

Di nuovo: persino Roth, anch’egli, come la maggior parte dei dirigenti Twitter, apertamente simpatizzante dei democratici, ammette che il trucco usato da Hamilton 68 avrebbe portato le persone “ad affermare che qualsiasi contenuto di destra è propagato dai bot russi”.

almeno altri due istituti di ricerca che hanno utilizzato metodologie simili – e sono stati citati come fonti nelle notizie – sono stati anch’essi criticati nella corrispondenza e-mail di Twitter. MSNBC, Watts, Washington Post, Politico, Mother Jones (che ha realizzato almeno 14 articoli basati su Hamilton 68), l’Alliance for Securing Democracy e gli uffici di politici come Dianne Feinstein hanno tutti rifiutato di commentare, a meno che non si voglia considerare come commento questo:

Ma questo scandalo non risparmia nemmeno le istituzioni accademiche: Harvard, Princeton, Temple, NYU, GWU e altre università hanno usato Hamilton 68 come fonte:

Ma, forse, è ancora più imbarazzante che funzionari eletti abbiano promosso il sito e hanno invitato gli “esperti” di Hamilton a testimoniare. Dianne Feinstein, James Lankford, Richard Blumenthal, Adam Schiff e Mark Warner erano tra i colpevoli.

Questo mix di maccartismo digitale e falsità ha arrecato gravi danni alla politica e alla cultura americana. I notiziari che non rinnegano queste storie, o che continuano a pagare i veterani di Hamilton come analisti, non dovrebbero essere considerati attendibili. Ogni abbonato a queste testate dovrebbe scrivere in merito ai loro editori.

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