L’OFFENSIVA D’INVERNO

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Nella straordinaria dissociazione che caratterizza la narrazione della NATO, da un lato ci si ostina a vaticinare un’impossibile vittoria ucraina, mentre dall’altro si discute di una offensiva russa data ormai per imminente. Tutti sembrano aspettarsi un attacco contro la capitale ucraina, a partire dalla Bielorussia. Eppure, ad un’attenta analisi, quest’ipotesi appare quanto meno improbabile. Proviamo a capire perché.

Checché se ne dica, fare previsioni sul corso di una guerra è cosa estremamente difficile, soprattutto quando si prova a scendere ad un livello di dettaglio che vada oltre la macro dimensione strategica. Per un analista militare è un po’ come per gli economisti, è assai più facile spiegare quel che è accaduto che capire quel che accadrà. Ciò nonostante, il tentativo va fatto sempre comunque, per quanto difficile possa essere. E nel caso della guerra in Ucraina il compito è complicato dalla impenetrabilità del comando russo, cosa che lascia davvero un ampio margine d’errore a qualunque previsione.
Questa apparente excusatio non petita non vuole mettere al riparo da critiche la presente analisi, nel caso che le conclusioni risultassero errate, ma vale piuttosto come avviso al lettore: ciò che segue è un’analisi basata sui dati conosciuti (che sono certamente solo una piccola parte di quelli noti ai comandi militari coinvolti), che si prova ad interpretare, per trarne qualche indicazione.

Attacco a Kyev?

La maggior parte dei commentatori, anche autorevoli (1), sembra dare per scontata una imminente offensiva russa verso la capitale ucraina. Fondamentalmente, questa convinzione poggia su due elementi: il fatto che in Bielorussia vi sia un contingente di truppe russe, che da mesi si esercita insieme alle forze armate di quel paese proprio in prossimità del confine con l’Ucraina (che dista un centinaio di chilometri da Kyev), e la convinzione che, non appena le condizioni climatiche lo consentiranno, e le ultime forze mobilitate arriveranno al fronte, Mosca lancerà una importante offensiva. Ovviamente, i sostenitori di questa tesi si richiamano anche al precedente del 24 febbraio, quando appunto una forte offensiva proveniente dalla Bielorussia venne lanciata contro Kyev.
Secondo molti tra questi, quell’attacco fu una mossa tattica, una manovra diversiva per distogliere truppe dal fronte più importante, quello del Donbass. Tesi questa che ho già avuto modo di contestare, e di cui peraltro non vi è alcun riscontro (non risulta infatti alcuno spostamento di forze ucraine dal settore sud-orientale verso la capitale, in occasione di quell’attacco). Del resto, se fosse stato questo lo scopo, l’offensiva verso Kyev avrebbe dovuto svilupparsi prima, e non contemporaneamente a quella nel Donbass, e soprattutto avrebbe dovuto investire effettivamente la città, non fermarsi alle sue porte com’è stato.
Se proviamo ad analizzare i due elementi su cui si basa la teoria dell’attacco a Kyev, vedremo che in effetti è possibilissimo darne un’altra lettura.

Per quanto riguarda l’attività militare congiunta in Bielorussia, al confine ucraino, va notato che – per quanto Minsk sia strettamente legata alla Russia – è assai improbabile che voglia farsi coinvolgere direttamente nel conflitto, senza che ve ne sia alcuna necessità. D’altronde, anche Mosca non avrebbe alcun interesse a trascinare in guerra l’alleato adesso, cosa che la indebolirebbe politicamente, non avendone oltretutto bisogno. Ed al netto delle truppe bielorusse, il contingente russo è troppo esiguo per tentare un’offensiva, così lontano dalle altre posizioni della Federazione Russa.
Le ipotesi a mio avviso più razionali, rispetto a questa presenza, sono altre.
Innanzitutto, proprio lasciar aleggiare la minaccia, senza che sia necessario metterla in atto, ottiene comunque l’effetto desiderato. Non è un caso che, tra quanti temono questa offensiva, vi sia proprio lo stato maggiore ucraino. Un’altra possibilità (per quanto più remota) è che i russi vogliano tenersi aperta la possibilità di una offensiva verso sud-ovest, non tanto con l’obiettivo di prendere la capitale, quanto per tagliare le linee di rifornimento da parte della NATO verso il fronte del Donbass (2). C’è, infine, da tenere presente che la leadership russa – tanto più dopo una serie di prese di posizione occidentali, e non da ultimo le dichiarazioni della Merkel sugli accordi di Minsk – diffidano totalmente delle controparti europee e statunitensi, e quindi non possono escludere che (intenzionalmente, o trascinati dagli eventi) gli eserciti NATO non entrino direttamente nel conflitto; in tal caso, questi arriverebbero sostanzialmente dalla Polonia, e quindi una efficace forza militare schierata in Bielorussia diventerebbe strategicamente importantissima.

Che i russi stiano preparando un’importante offensiva, è pressoché certo, ma difficilmente questa riguarderà la capitale ucraina. A tal proposito, vanno qui considerati almeno tre ordini di fattori.
Il primo, di ordine geo-strategico, riguarda gli obiettivi di fondo di Mosca. Diversamente dalla NATO, che da decenni è ossessivamente protesa ad espandersi verso est, incalzando la Russia quanto più da presso possibile, il Cremlino non vuole espandersi verso ovest (la Russia è già il paese più esteso del mondo), né tantomeno spostare ad occidente le proprie frontiere. Avendo un atteggiamento difensivo, preoccupato principalmente della propria sicurezza, Mosca non vuole avere un’importante frontiera con la NATO, solo spostata un po’ più in là; ciò che la Russia vuole, per assicurare le proprie frontiere occidentali, è un’Ucraina smilitarizzata e neutrale, uno stato-cuscinetto tra Russia e NATOstan. Quindi non vuole occupare il paese vicino, sia perché sarebbe troppo oneroso tenerlo, sia perché appunto ciò non corrisponde ai suoi obiettivi strategici.

Da un punto di vista strategico militare, conquistare Kyev non avrebbe alcun valore risolutivo del conflitto. Qualsiasi ipotesi di regime change (che era tra le ipotesi iniziali dell’operazione militare speciale) non ha oggi più alcun senso, ed è ovvio che la guerra continuerebbe comunque. Del resto, ammesso che i centri di comando politico e militare siano ancora lì, verrebbero trasferiti a Leopoli prima della caduta della città. In extremis, addirittura in Polonia; d’altro canto, la leadership politica ucraina è un teatrino di marionette, manovrate altrove, ed anche il comando militare è largamente controllato dall’estero. Paradossalmente, la Russia ha maggior interesse a che la leadership ucraina resti a Kyev, piuttosto che in un paese NATO, perché questo lascerebbe un sia pur minimo margine di autonomia a Zelensky.
Va inoltre tenuto presente che, diversamente dalla parte sud-orientale del paese, prevalentemente abitata da russofoni, quella nord-occidentale è fortemente ostile alla Russia – oltre che considerevolmente estesa – e la sua occupazione richiederebbe un impiego di truppe assai maggiore di quelle su cui la Russia fa attualmente conto per condurre il conflitto.

Last but not least, la conquista di Kyev non sarebbe affatto una faccenda veloce e sbrigativa. Come insegna l’esperienza di Mariupol prima, e per certi versi ancor più quella attuale di Bakhmut, gli ucraini combattono casa per casa, metro per metro – e già da mesi hanno fortificato le linee difensive intorno alla città. Prendere Kyev, quindi, equivarrebbe ad affrontare una sanguinosissima battaglia, potenzialmente destinata a durare anche mesi, senza alcun effettivo vantaggio strategico, ma carica di rischi. Sarebbe infatti imprevedibile cosa potrebbe accadere se, ad esempio, i media occidentali imbastissero una campagna sulla città martire, che facesse da supporto agli oltranzisti NATO, spingendo verso l’intervento diretto dell’Alleanza. Questo insieme di considerazioni spinge, allo stato delle cose, a far ritenere estremamente difficile che l’offensiva russa possa investire direttamente Kyev.
Ciò non toglie che una offensiva ci sarà effettivamente, con ogni probabilità; si tratta di capire quando, in quale direzione e con quali obiettivi.

Passaggio a nord-ovest

Perché l’offensiva russa abbia inizio, devono darsi alcune condizioni. La prima, è che la temperatura scenda a sufficienza, sì da far ghiacciare il fango; senza questa variazione termica, e quindi delle condizioni del terreno, difficilmente si può immaginare che la Russia metta in movimento le sue brigate. Considerato che attualmente le temperature sono più alte della media in tutta l’Europa (nella zona del fronte intorno allo zero), a meno di cambiamenti repentini ci vorrà ancora un po’ di tempo, prima che le condizioni meteorologiche siano favorevoli.
La seconda condizione, è che tutte le truppe – mobilitati e volontari – al momento ancora in fase di addestramento, raggiungano il fronte e si integrino nel dispiegamento già in atto. Presumibilmente lo stato maggiore russo sta predisponendo le cose affinché queste due condizioni coincidano il più possibile.
Una terza condizione, utilissima ma non indispensabile, sarebbe che le forze della PMC Wagner e della DPR riuscissero a conquistare Bakhmut. Si tratta di uno snodo importantissimo del sistema difensivo ucraino, e se la sua liberazione avvenisse prima dell’inizio dell’offensiva ciò le darebbe ulteriore vantaggio.

Per capire quali potrebbero essere le direttrici di attacco, bisogna riflettere un attimo sugli obiettivi strategici della guerra. Come si è detto più volte, per la Russia si tratta di liberare completamente i quattro oblast annessi, di metterli in sicurezza (e quindi respingendo le forze ucraine ad almeno 70/100 Km dal confine), e di mettere fuori combattimento l’esercito ucraino.
Per conseguire questi obiettivi, è assolutamente necessario muoversi sia verso nord che verso ovest. Anche se probabilmente, nei disegni strategici di Mosca, si immagina che il fiume Dnepr possa costituire, per il suo tratto meridionale, una sorta di frontiera naturale tra le nuove province russe ed una Ucraina neutralizzata, la necessità di conseguire gli obiettivi tattici e strategici imporrà l’attraversamento del fiume. Se, dunque, per un verso si svilupperà una spinta verso nord, in direzione di Kharkiv, quasi sicuramente l’offensiva principale si svilupperà verso ovest. L’obiettivo principale di questa offensiva, superata la linea fortificata Slovyansk-Kramatorsk, sarà Zaporozhye; ed è immaginabile che sia proprio in questo settore che le forze russe cercheranno di passare sulla riva destra del Dnepr, per poi convergere su Kherson.

A) Direttrice della probabile offensiva verso ovest / B) Direttrice della probabile offensiva verso nord / C) Direttrice di un’ipotetica offensive verso Kyev / D) Direttrice di una possibile offensiva verso sud / Frecce Bianche: Paesi da cui entrano i rifornimenti NATO

Su questa direttrice, il Dnepr ha una larghezza decisamente inferiore a quella che presenta sia più a nord che più a sud, ed è quindi il settore ideale per attraversarlo. Inoltre, queste due città – Zaporozhye e Kherson – sono i capoluoghi degli oblast annessi, e quindi la loro riconquista (soprattutto di Kherson, da cui erano ripiegati) è assai importante per i russi. Oltre al valore simbolico, liberare Zaporozhye significa mettere in sicurezza la vicina centrale nucleare, mentre liberare Kherson significa proteggere gli accessi alla Crimea. Per come è abituato ad operare l’esercito russo (e si è visto più volte in questo conflitto), è assai difficile che le due città siano investite direttamente dall’offensiva; probabilmente, e per quanto possibile, le forze russe manovreranno per aggirarle, tagliandone le linee di rifornimento prima ed accerchiandole poi, non lasciando al nemico altra via d’uscita se non la resa.

In ogni caso, nulla deve portare ad immaginare un improvviso blitzkrieg: le forze russe continueranno a sviluppare una guerra d’attrito, e quindi – se, come ritengo, l’offensiva partirà intorno alla fine di gennaio – l’offensiva si protrarrà almeno sino a tutta la primavera.
Nell’arco dei prossimi tre/quattro mesi, quindi, profittando anche dei due fattori di debolezza ucraini (crisi nelle forniture occidentali di munizionamento per l’artiglieria, perdite elevatissime tra il personale di prima linea), le forze armate russe dovranno colpire ancora a fondo le infrastrutture energetiche ucraine (prima che la primavera dia un po’ di respiro). Ed entro l’estate liberare i territori dei quattro oblast ancora in mano di Kyev, e soprattutto infliggere alle forze armate nemiche una sconfitta tale da rendere impossibile qualsiasi iniziativa offensiva.


1 – Tra questi, da segnalare il Colonnello Douglas McGregor, uno dei massimi esperti della potenza di combattimento americano e della Grande Strategia. McGregor è stato recentemente intervistato da Clayton Morris di Redacted; il video dell’intervista (in inglese) è disponibile qui, una trascrizione parziale in italiano è disponibile qui.
2 – C’è chi ipotizza che una tale offensiva punterebbe a tagliare l’Ucraina, arrivando sino alla Transnistria. Ma una ipotesi del genere non sta assolutamente in piedi. Come si è visto in questi dieci mesi, la guerra è caratterizzata da movimenti tutto sommato abbastanza lenti, ed immaginare una penetrazione offensiva che si spinga in avanti per 5/600 Km è pura fantasia. Oltretutto, ciò significherebbe non solo avere a disposizione un numero considerevole di uomini, che rimangano a presidio dei territori via via conquistati e li difendano da attacchi sui fianchi, ma soprattutto l’allungamento delle linee logistiche e di rifornimento ad una misura insostenibile.

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