THE TWITTER FILES III: “La rimozione di Donald Trump. Parte prima: ottobre 2020-6 gennaio 2021”
Quella che segue è la traduzione integrale del secondo thread di Matt Taibbi, nonché terza parte dei TwitterFiles. Questo nuovo capitolo si concentra sulle comunicazioni interne avvenute tra i funzionari di alto rango dell’azienda fino al 6 gennaio e mette in luce come, quando avvennero gli ormai famigerati fatti del Campidoglio a seguito dei quali venne deciso di rimuovere l’account di Donald Trump dalla piattaforma, i tradizionali standard di Twitter fossero ormai già ampiamente erosi e le regole di moderazione venissero prese praticamente in tempo reale e in base alle contingenze, applicate arbitrariamente e con evidente faziosità e giustificate con motivazioni quanto meno dubbie con l’unico evidente obiettivo di soffocare le voci che mettevano in dubbio la regolarità delle elezioni. A farne le spese, lo stesso attore James Woods, che in quei giorni non fece mancare le sue feroci critiche alla censura di Twitter e per questo motivo finì sotto osservazione degli zelanti funzionari dell’azienda, pur senza aver violato alcuna norma. Per citare le parole di Taibbi, “prima dell’assalto, la compagnia era impegnata in un progetto intrinsecamente folle/impossibile: cercare di creare un insieme di regole in continua espansione e apparentemente razionale per regolare ogni possibile situazione linguistica che potesse sorgere tra umani. Per assurdo che fosse questo progetto, i suoi leader non se ne rendevano conto, essendo stati contagiati da una mentalità di gruppo, arrivando a credere – sinceramente – che fosse responsabilità di Twitter controllare, per quanto possibile, di cosa le persone potevano parlare, con quale frequenza e con chi”. Insomma, un mostruoso mix di fanatismo ideologico ed ebbrezza di onnipotenza. Su tale “hybris” non può non aver pesato in qualche modo l’ormai documentata e innegabile continua collaborazione con agenzie federali come l’FBI e settori dell’intelligence.

Thread originale: https://twitter.com/mtaibbi/status/1601352083617505281
Thread: THE REMOVAL OF DONALD TRUMP Part One: October 2020-January 6th

di Matt Taibbi, scrittore, giornalista e podcaster, ex redattore collaboratore di Rolling Stone
Il mondo sa già molto di ciò che accadde tra i disordini al Campidoglio del 6 gennaio e la rimozione del presidente Donald Trump da Twitter avvenuta l’8 gennaio. Oggi vi mostreremo ciò che non è stato ancora rivelato: l’erosione degli standard all’interno dell’azienda nei mesi antecedenti al 6 gennaio, le decisioni dei dirigenti di alto rango di violare le proprie stesse norme e altro ancora, sullo sfondo dell’interazione continua e documentata con le agenzie federali.
Questa prima puntata copre il periodo precedente alle elezioni fino al 6 gennaio. Domani, Michael Shellenberger descriverà in dettaglio il caos che avvenne all’interno di Twitter il 7 gennaio. Domenica, Bari Weiss renderà note le comunicazioni interne segrete a partire dalla fondamentale data dell’8 gennaio.
Qualunque sia l’opinione che vi siete fatti in merito alla decisione di rimuovere Trump quel giorno, le comunicazioni interne avvenute su Twitter tra il 6 gennaio e l’8 gennaio hanno una chiara importanza storica. Anche i dipendenti di Twitter hanno capito in quel momento che si trattava di un momento fondamentale nella storia della libertà di espressione.

Subito dopo aver finito di bannare Trump, i dirigenti di Twitter hanno iniziato a dotardi di nuovi poteri. Si sono preparati a vietare i futuri presidenti e le Case Bianche, incluso lo stesso Joe Biden. La “nuova amministrazione”, afferma un dirigente, “non sarà sospesa da Twitter a meno che non sia assolutamente necessario”.

I dirigenti di Twitter hanno rimosso Trump in parte per quello che un dirigente ha definito il “contesto circostante”: le azioni di Trump e dei suoi sostenitori “nel corso delle elezioni e francamente negli ultimi 4 anni”. Alla fine, hanno guardato al quadro generale. Ma questo approccio può presentare anche controindicazioni.

Il grosso del dibattito interno che ha portato alla messa al bando di Trump ha avuto luogo in quei tre giorni di gennaio. Tuttavia, le basi ideologiche sono state gettate nei mesi precedenti le rivolte del Campidoglio.
Prima del 6 gennaio, Twitter era un mix unico di applicazione automatizzata, basata su regole e moderazione più soggettiva da parte dei dirigenti senior. Come riportato, l’azienda disponeva di una vasta gamma di strumenti per manipolare la visibilità, la maggior parte dei quali sono stati lanciati contro Trump (e altri) prima del 6 gennaio. Con l’avvicinarsi delle elezioni, gli alti dirigenti – forse sotto la pressione delle agenzie federali, con le quali si sono incontrati sempre di più con il passare del tempo – hanno forzato sempre di più le regole e iniziato a parlare di “violazioni” come pretesti per fare ciò che probabilmente avrebbero fatto comunque. Dopo il 6 gennaio, messaggi Slack interni mostrano come i dirigenti di Twitter si divertissero a intensificare i rapporti con le agenzie federali. Ecco, ad esempio, Yoel Roth, a capo della sezione Trust and Safety, che lamenta la mancanza di descrizioni del calendario “abbastanza generiche” per nascondere i partner “molto interessanti” del suo incontro.

Questi rapporti iniziali si basano su ricerche di documenti collegati a dirigenti di spicco, i cui nomi sono già pubblici. Includono Roth, l’ex capo della sezione Trust and Policies Vijaya Gadde, e Jim Baker, recentemente deputato al consiglio generale (ed ex avvocato dell’FBI).
Un particolare canale Slack offre una finestra unica sul pensiero in evoluzione tra gli alti funzionari [di Twitter, ndt] tra la fine del 2020 e gli inizi del 2021. L’8 ottobre 2020, i dirigenti aprirono un canale chiamato “us2020_xfn_enforcement”. Dopo il 6 gennaio, questa sarebbe diventata la sede delle discussioni sulle rimozioni legate alle elezioni, in particolare quelle che riguardavano account di “alto profilo” (spesso chiamati “VIT” o “Very Important Tweeters”).

Si respirava quanto meno una certa tensione tra le Safety Operations (un settore più grande, il cui staff utilizzava un processo basato maggiormente su regole per combattere problemi come pornografia, truffe e minacce) e un gruppo più ristretto e più potente di dirigenti politici senior come Roth e Gadde. Quest’ultimo gruppo fungeva un po’ da Corte Suprema della moderazione in tempo reale, emetteva sentenze sui contenuti al volo, spesso in pochi minuti, e sulla base di supposizioni, chiamate istintive, persino ricerche su Google, anche in casi che coinvolgevano il Presidente.

Durante questo periodo, i dirigenti stavano inoltre chiaramente collaborando con le forze dell’ordine federali e le agenzie di intelligence per la moderazione dei contenuti relativi alle elezioni. Siamo ancora all’inizio della revisione dei TwitterFiles e ogni giorno ci imbattiamo sempre di più in una di queste interazioni.
Al Policy Director Nick Pickles viene chiesto se devono dire che Twitter rileva “disinformazione” attraverso “machine learning, revisione umana e **partnership con esperti esterni?*”. Il dipendente chiede: “So che è stato un terreno scivoloso… non so se è un bene che la nostra spiegazione pubblica si basi su questo”.


Pickles chiede al volo se possono “chiamarla semplicemente” partnership”. Dopo una pausa, dice, “ad esempio, non sono sicuro che possiamo definire FBI/DHS come ‘esperti'”.

Questo post sulla situazione del laptop di Hunter Biden mostra che Roth non solo si incontrava settimanalmente con l’FBI e il DHS, ma anche con l’Ufficio del direttore dell’intelligence nazionale (DNI):

Il rapporto di Roth all’FBI/DHS/DNI è quasi farsesco nel suo tono autoflagellante: “Abbiamo bloccato la storia del NYP, poi l’abbiamo sbloccata (ma abbiamo detto l’opposto)… alle Communications sono arrabbiati, i giornalisti pensano che siamo degli idioti… in breve, “ci siamo fottuti”.
Alcuni dei successivi Slack di Roth indicano che i suoi colloqui settimanali con le forze dell’ordine federali prevedevano incontri separati. Qui, dice di dover dare buca all’FBI e al DHS, rispettivamente per andare prima a una riunione “con l’Aspen Institute, quindi per rispondere a una teleconferenza con Apple”.

Qui, l’FBI invia rapporti su un paio di tweet, il secondo dei quali coinvolge un ex consigliere della contea di Tippecanoe, Indiana e repubblicano, che afferma che “tra il 2% e il 25% delle schede elettorali per posta vengono respinte a causa di errori”.

Il secondo rapporto dell’FBI riguardava questo tweet di John Basham:

Il tweet contrassegnato dall’FBI è poi circolato dentro l’applicazione Slack. Twitter ha citato Politifact per affermare che la prima segnalazione si è già dimostrata “falsa”, poi ha notato che la seconda era già considerata “una non violazione in numerose occasioni”.

Il gruppo decide quindi di applicare un’etichetta “Scopri perché votare è sicuro ” perché un commentatore dice: “è del tutto normale avere un tasso di errore del 2%”. Roth dà quindi il via libera finale al processo avviato dall’FBI:

Esaminando l’intera applicazione elettorale di Slack, non abbiamo trovato alcun riferimento a richieste di moderazione da parte della campagna di Trump, della Casa Bianca, di Trump o dei repubblicani in generale. Abbiamo cercato. È possibile che esistano: ci è stato detto che esistono. Tuttavia, qui non le abbiamo trovate. In un caso, l’ex governatore dell’Arkansas Mike Huckabee ha inviato tweet ironici sull’invio di schede elettorali per conto dei suoi “genitori e nonni deceduti”.

I tweet di Huckabee ispirano un lungo Slack che sembra una parodia di Titania McGrath. “Sono d’accordo che sia ironico”, ammette un funzionario di Twitter, “ma sta anche ammettendo letteralmente un crimine in un tweet”. Il gruppo dichiara che quello di Huckabee è un “caso limite” e, sebbene uno faccia notare “Non facciamo eccezioni per battute o satira”, alla fine decidono di lasciarlo stare, perché “abbiamo già punto fin troppi pezzi grossi“. “Potrebbe comunque fuorviare le persone … potrebbe comunque fuorviare le persone”, dichiara il gruppo avverso all’ironia, prima di decidere di lasciar perdere Huckabee.

Roth suggerisce che la decisione di moderare anche questo caso ridicolo dipende dal fatto che lo scherzo provochi o meno “confusione”. Questo caso apparentemente stupido, in realtà, preannuncia problemi assai più seri che arriveranno più avanti:

Nei documenti i dirigenti allargano spesso i criteri a questioni soggettive come l’intenzione di un tweet (sì, un video è autentico, ma perché è stato pubblicato?), l’orientamento (è stato mostrato un tweet bannato per condannare o per appoggiare il ban?) o la ricezione (l’ironia ha creato “confusione”?). Questo atteggiamento diventerà fondamentale per il 6 gennaio.
In un altro esempio, i dipendenti di Twitter si preparano ad appioppare un’etichetta di avvertimento “Il voto per posta è sicuro” su un tweet di Trump relatico a un errore postale in Ohio, prima di rendersi conto che “il fatto ha avuto luogo”, il che significa che il tweet era “effettivamente accurato”:


“GESTITO A TEMPO DI RECORD”: Trump veniva “filtrato dalla visibilità” fino a una settimana prima delle elezioni. Qui, i dirigenti senior non sembrano avere in mano una particolare violazione, eppure hanno comunque lavorato velocemente per assicurarsi che un tweet di Trump abbastanza anodino non potesse “ricevere risposte, essere condiviso o ricevere Mi piace”:


“GESTITO A TEMPO DI RECORD”: il gruppo si autocongratula che il tweet di Trump sia stato gestito molto rapidamente.

Uno strascico apparentemente innocuo ha coinvolto un tweet dell’attore James Woods, la cui onnipresente presenza nei set di dati di Twitter discussi è già di per sé ironica all’interno dei TwitterFiles.

Dopo che Woods si era scagliato contro Twitter per l’etichetta di avvertimento con cui era stato contrassegnato il tweet di Trump, lo staff di Twitter – in un’anteprima di ciò che sarebbe successo dopo il 6 gennaio – pur privo di un preciso motivo per agire, decise di “colpirlo duramente su future violazioni”.

Qui, invece, viene applicata un’etichetta alla deputata repubblicana della Georgia Jody Hice per aver detto: “Dite NO alla grande censura tecnologica!” e “Le schede elettorali per posta sono più soggette a frodi rispetto alle votazioni di persona … È solo buon senso”.

I team di Twitter ci sono andati piano con la Hice, applicando solo un “intervento morbido”: Roth era preoccupato, infatti, per le inevitabili lamentele sulla censura che il caso avrebbe sollevato:

Nel frattempo, sono emersi diversi casi che coinvolgono tweet pro-Biden in cui si avvertiva che Trump “potrebbe tentare di rubare le elezioni” che sono stati approvati dagli alti dirigenti. In quello che vedete sotto, ad esempio, si decide semplicemente che il tweet “esprime preoccupazione per il fatto che le schede per posta possano non arrivare in tempo”.


“QUESTO È COMPRENSIBILE”: persino l’hashtag #StealOurVotes (“Ci rubano i voti”) che fa riferimento a una teoria secondo cui una combinazione di Amy Coney Barrett e Trump ruberà le elezioni – è approvato dai vertici di Twitter, perché è “comprensibile” e “fa riferimento a una decisione della Corte Suprema degli Stati Uniti.”


In questo scambio, ancora una volta involontariamente umoristico, l’ex procuratore generale Eric Holder afferma che il servizio postale degli Stati Uniti è stato “deliberatamente paralizzato”, apparentemente dall’amministrazione Trump. Inizialmente è stato colpito da un’etichetta di avvertimento generica, ma questa è stata rapidamente rimossa da Roth:


Più tardi, nel novembre 2020, Roth chiede se il personale abbia avuto modo debunkare le storie sul “conteggio dei voti di SCYTL/Smartmantic”, che i suoi contatti al DHS gli dicono essere una combinazione di “circa 47” teorie del complotto:

Il 10 dicembre, mentre Trump si accingeva a pubblicare 25 tweet per dire che “Un colpo di stato sta avvenendo davanti ai nostri occhi”, i dirigenti di Twitter annunciarono un nuovo strumento di “deamplificazione L3”. Questo passaggio significava che ora un’etichetta di avviso poteva essere associata anche a una deamplificazione:

Alcuni dirigenti volevano utilizzare il nuovo strumento di deamplificazione per limitare silenziosamente la portata di Trump fin da subito, a cominciare dal seguente tweet:

Tuttavia, alla fine, il team ha dovuto utilizzare strumenti di etichettatura meno recenti e meno aggressivi almeno per quel giorno, fino a quando le “entità L3” non sono diventate attive la mattina seguente.


Quello che dimostra tutto questo è che Twitter, almeno nel 2020, stava implementando una vasta gamma di strumenti visibili e invisibili per frenare l’impegno di Trump, molto prima del 6 gennaio. Il divieto arriverà dopo che altre strade saranno esaurite.
Nei documenti di Twitter i dirigenti fanno spesso riferimento a “bot”, ad es. “Mettiamoci sopra un bot.” Un bot è solo una regola di moderazione euristica automatizzata. Può essere qualsiasi cosa: ad esempio, ogni qualvolta una persona in Brasile usa i termini “green” e “blob” nella stessa frase, può essere intrapresa un’azione.

In questo caso, sembra che i moderatori abbiano aggiunto un bot per un reclamo di Trump fatto su Breitbart. Il bot finisce per diventare uno strumento automatizzato che osserva invisibilmente sia Trump che, a quanto pare, Breitbart (“aggiungerà l’ID multimediale al bot”). Al 6 gennmaio Trump è stato rapidamente coperto da bot.


Non c’è modo di seguire gli scambi frenetici tra il personale di Twitter avvenuti tra il 6 e l’8 gennaio senza conoscere le basi del vasto lessico della società di acronimi e parole orwelliane. Ad esempio, “rimbalzare” un account significa metterlo in timeout, di solito per una revisione/raffreddamento di 12 ore:

“Interstitial” (interstizializzare), uno dei tanti sostantivi usati in funzione di verbo in twitterese (“denylist” (mettere il lista di negazione) è un altro), significa mettere un’etichetta fisica sopra un tweet, ma in modo da non poter essere vista.
PII ha molteplici significati, uno dei quali è “Public Interest Interstitial”, vale a dire un’etichetta di copertura applicata per motivi di “pubblico interesse”. Il post seguente fa riferimento anche a “proactive V”, ovvero “filtro di visibilità proattivo”.

Questo è tutto il background necessario per spiegare quanto aviene dopo il 6 gennaio. Prima dell’assalto, la compagnia era impegnata in un progetto intrinsecamente folle/impossibile: cercare di creare un insieme di regole in continua espansione e apparentemente razionale per regolare ogni possibile situazione linguistica che potesse sorgere tra umani. Per assurdo che fosse questo progetto, i suoi leader non se ne rendevano conto, essendo stati contagiati da una mentalità di gruppo, arrivando a credere – sinceramente – che fosse responsabilità di Twitter controllare, per quanto possibile, di cosa le persone potevano parlare, con quale frequenza e con chi.
I dirigenti dell’azienda, il primo giorno della crisi del 6 gennaio, hanno almeno cercato di rispettare a parole la sua vertiginosa serie di regole. Dal giorno 2, hanno iniziato a vacillare. Al giorno 3, un milione di regole sono state ridotte a una: quello che decidiamo, va bene.
Quando scoppia il panico per la prima volta il 6 gennaio, c’è una buona dose di post di tipo “ma che cazzo?”, mescolati a frenetiche richieste a Twitter di iniziare ad applicare il suo arsenale completo di strumenti di moderazione. “Qual è la correzione giusta? Interstizializziamo il video?” chiede un dipendente, disperato:

Questo tweet di Mike Coudrey, che parla di “libertà o morte”, suscita reazioni accese:

Roth si lamenta di Coudrey: “QUESTO stronzo”. Tuttavia, sembra ancora determinato ad attenersi almeno superficialmente alle regole, desideroso di agire “qualora” ciò “costituisca un incitamento”.

Alle 14:39 ora del Pacifico, un funzionario delle comunicazioni chiede a Roth di confermare o smentire la voce secondo cui avevano limitato la capacità di Trump di twittare. Roth risponde: “No”.

Pochi minuti dopo, Roth esegue lo storico atto di “rimbalzare” Trump, cioè metterlo in timeout. “Spero che tu… sia adeguatamente coperto dalla conformità legale e normativa”, dice un collega.

Questo tema delle norme, forse sottolineato dalle domande dei dirigenti della Comunicazioni, che devono rispondere per primi alle domande del pubblico, appare occasionalmente. Due giorni dopo, si parla di come “tenere fuori quelli delle Comunicazioni dalla discussione”:

La prima e-mail aziendale di Gadde del 6 gennaio annuncia che 3 tweet di Trump sono stati “rimbalzati”, ma soprattutto segnala la determinazione a utilizzare le “violazioni” legittime come guida per qualsiasi possibile sospensione permanente:

“MA CHE CAZZO DICE?” Superfluo aggiungere che il tweet di Trump “Andate a casa in amore e in pace” a metà della rivolta non viene accolto esattamente benissimo al quartier generale di Twitter:


Qualche ultima nota sul 6 gennaio. Roth a un certo punto controlla e scopre che Trump ha una serie di applicazioni bot duplicate:

Entro la fine del primo giorno, i massimi dirigenti stanno ancora cercando di applicare le regole. Entro il giorno successivo, contempleranno un importante cambiamento di approccio. Seguite Michael Shellenberger questo fine settimana per sapere in dettaglio come è andata a finire. Entro l’8 gennaio, di cui Bari Weiss parlerà domenica, Twitter riceverà il plauso dei “nostri partner” a Washington e il presidente degli Stati Uniti in carica non sarà più ascoltato sulla piattaforma.
Infine, persone di sinistra, di destra e di centro vogliono sapere cos’altro c’è nei TwitterFiles sulla soppressione/shadow ban di personaggi di estrema sinistra, sui teorici della fuga dal laboratorio, l’amplificazione della propaganda militare o account conservatori. Sappiamo che tutti hanno domande. E, sebbene ci siamo imbattuti in qualche assaggino qua e là su argomenti che vanno dal COVID alla politica estera, la realtà è che i set di dati sono enormi e ci stiamo ancora lavorando.
Molto altro sta per arrivare. Buona notte a tutti.
