DE ARGENTINAE ELOQUENZA

0

Cristina Fernández de Kirchner è stata condannata a sei anni di reclusione e interdizione perpetua dai pubblici uffici per amministrazione fraudolenta per il caso “Vialidad”. È solo l’ultimo di una serie di scandali che hanno segnato la storia argentina negli ultimi quaranta anni. Nel frattempo, il paese, schiacciato dall’eterno bipolarismo tra assistenzialismo e neoliberismo feroce, sembra incapace di ritrovare la via della crescita.

Nella giornata di ieri, 6 dicembre 2022, l’attuale vice-presidente ed ex-presidente (e first lady) argentina Cristina Fernández de Kirchner, è stata ufficialmente condannata a sei anni di prigione, nonché all’interdizione perpetua dai pubblici uffici, per il caso “Vialidad”.

Il verdetto del Tribunale Federale n. 2 di Buenos Aires, a fronte di un’accusa che chiedeva il doppio della pena, e di una difesa che ne chiede tuttora la totale assoluzione, si rivela un terremoto per l’attuale governo kirchnerista presieduto da Alberto Fernández, prima alleato, poi nemico, ora di nuovo alleato (ma sempre a debita distanza) della vice-presidente e della sua corrente politica. Prima della condanna, il Partido Justicialista si preparava ad accogliere una nuova candidatura della Kirchner a presidente alle prossime elezioni del dicembre 2023, ma dopo la sua rinuncia a causa della sentenza, il clima all’interno del partito è sempre più caotico.

Il caso “Vialidad” riprende un vecchio schema di tre semplici passi della politica argentina (e non solo): prima si crea una società in un settore a forte investimento statale, poi si arriva al potere (che sia locale o nazionale poco importa), infine, da una posizione di potere, si affidano a quella azienda appalti milionari.
È uno schema seguito da pressoché tutti gli attori della politica argentina, dai macellai delle Forze Armate che governarono per buona parte del ventesimo secolo, agli attori sia civili sia di stampo terrorista che ne combatterono le gesta e poi si spartirono la torta una volta ristabilita la democrazia.

Videla e il suo regime, oltre che per la sparizione di 30.000 dissidenti politici, dovrebbero essere ricordati per l’enorme danno economico che portarono all’Argentina, quintuplicando il debito pubblico e mettendosi in tasca praticamente tutto (spicca il caso YPF – compagnia petrolifera di Stato argentina – dalla quale il generale Guillermo Suárez Mason da amministratore intascò circa US$ 6 miliardi, che usò per finanziare la P2, di cui era membro, e i Contras in Nicaragua).

Nel caso specifico della Kirchner, uno dei tanti casi di corruzione e peculato in cui è o è stata indagata, l’illecito riguarderebbe una somma di circa US$1 miliardo, intascata dai Kirchner grazie alla Austral Construcciones (di loro proprietà e amministrata dall’amico di famiglia Lázaro Báez), che si aggiudicò praticamente la totalità degli appalti per costruire strade e autostrade nella provincia di Santa Cruz nel periodo 2003-2015, corrispondente ai mandati presidenziali di Néstor e Cristina Kirchner.

La sentenza fa riflettere sullo stato della politica argentina. In particolare, fa sorridere che Kirchner rappresenti il primo caso di alta carica istituzionale ad essere condannata per casi di corruzione o appropriazione indebita, in un Paese notoriamente avvezzo a questi scandali: l’ex-presidente Mauricio Macri (acerrimo nemico del kirchnerismo e candidato alle prossime presidenziali), solo per fare un esempio, è titolare della SOCMA (potentissima holding argentina che gestì, tra le altre, anche la succursale argentina di SEVEL, e fu destinataria di vari regali da parte delle dittature militari degli anni ’60 e ’70). oltre ad essere protagonista dello smantellamento, la privatizzazione coatta e l’appropriazione indebita di proventi del servizio postale argentino ed essere coinvolto nello scandalo Panama Papers per riciclaggio di denaro ed evasione fiscale attraverso due compagnie offshore alle Bahamas.

In maniera del tutto simile, l’ex presidente Carlos Saúl Menem (1989-1999) e il suo ministro dell’Economia Domingo Cavallo furono accusati e condannati (con circa 20 anni di ritardo) per peculato. Menem collezionò anche una condanna (poi prescritta) per traffico illegale di armi (sotto stretti ordini della NATO spedì fucili d’assalto a Croazia, Bosnia ed Ecuador, partecipando indirettamente in due dei conflitti che segnarono la fine del secolo scorso), una per occultamento di prove in un’esplosione di una fabbrica di munizioni (collegata al traffico illegale di armi di cui sopra), e una per il suo coinvolgimento nella strage dell’AMIA (associazione giudeo-argentina) in cui rimasero uccise 85 persone. Il duo fu protagonista di un periodo di privatizzazioni estreme, in cui riuscirono a svendere persino una piazza pubblica del centro di Buenos Aires. La causa è ancora in corso.

Sfogliando le pagine della storia ancora un po’, troviamo che molteplici figure di spessore della politica argentina sono spesso coinvolte in cause del genere. Lo stesso Juan Domingo Perón, che nel bene e soprattutto nel male rappresenta forse la figura più di rilievo lungo tutto il XX secolo, fu coinvolto in una miriade di situazioni di illegalità, tra i famosi lingotti d’oro spariti dalla cassaforte della Banca Centrale immediatamente prima del suo primo esilio e la supposta associazione alla Triple A, loggia anticomunista e filo-atlantista collegata alla P2 di Licio Gelli.


Perón diede vita ad un movimento, il peronismo, che negli anni successivi alla sua morte nel 1974 portò gradualmente ad un completo appiattimento del panorama politico argentino, oggi completamente diviso in base alla mera approvazione o meno della sua figura, creando il famigerato bipolarismo peronismo – antiperonismo.

Da una costola della terza fase del percorso politico di Perón nasce, trent’anni dopo, il kirchnerismo, che vede le figure di Néstor Kirchner e Cristina Fernández de Kirchner come massimi riferimenti politici, e li sovrappone allo stesso Perón nella nuova battaglia “K – antiK”, appiattita ancora di più soprattutto in campo economico, condannando l’Argentina ad una classe politica corrotta fino al midollo, oltre che completamente inetta ed incapace di creare soluzioni per tirare fuori il Paese da una situazione di povertà e insignificanza geopolitica, anche solo regionale, che fino agli anni ’70 era inimmaginabile.

In questo contesto, e con l’assistenzialismo estremo e la lotta ideologica (femminismo, diritti LGBTQ+, gender) come unica bandiera, il kirchnerismo è protagonista della scena politica nazionale argentina da quasi due decenni e riesce a muovere pedine all’interno e all’esterno del Paese per assicurarsi enormi introiti.
L’opposizione, d’altro canto (anche quella all’interno dello stesso peronismo), rimette la fiducia in Macri, candidato apertamente neoliberista, propenso allo smembramento di ogni singola vittoria del welfare di Stato e all’abolizione di ogni genere di sicurezza sociale, oltre che ad una nuova privatizzazione della totalità degli enti statali, cercando il profitto tramite lo schema già assodato da Menem negli anni ’90, che vide la sua azienda di famiglia protagonista di profitti miliardari.

Entrambe le fazioni non sembrano aver intenzione di dedicarsi alle tre principali questioni che affliggono il Paese australe da più di quarant’anni: corruzione, crescita economica e sicurezza.

L’eloquenza dei politici argentini, però, è tale da imbambolare la popolazione, incapace di uscire da questa trappola ideologica e di trovare soluzioni esterne al bipolarismo peronista, e sottoporla in un modo o nell’altro ad un voto di scambio: da una parte la popolazione più povera si lega al peronismo per via dell’assistenzialismo fine a sé stesso dei Kirchner, dall’altra la classe media industriale e proprietaria rivendica liberalizzazioni per massimizzare i profitti a scapito dei lavoratori, in uno schema comune anche al resto del Sudamerica, ma veicolato verso vette insuperabili in Argentina. A rimetterci è, come sempre, la classe lavoratrice, che sempre più emigra verso altri lidi più prosperi.

La Kirchner non andrà in prigione per via della sua immunità parlamentare. E, anche se ha annunciato di non candidarsi alle politiche del prossimo dicembre, potrà appellarsi alla decisione della giura il prossimo anno, che si preannuncia già un vulcano politico e sociale in via di eruzione.

Condividi!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *