GIORDANO BRUNO – LA RELIGIONE DELLA MENTE

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Perché la figura di Giordano Bruno è così poco considerata nei percorsi scolastici? Chi ha denunciato, cosa ha criticato, come ha agito per essere condannato per eresia e arso vivo sul rogo dopo 9 anni di carcere?

di Giulio Montanaro (segui il canale Telegram di Giulio Montanaro)


Con “Giordano Bruno: avventure e misteri del grande mago nell’Europa del Cinquecento” il filosofo milanese Matteo D’Amico offre un documento di assoluto valore storico, tributo a una delle figure più singolari della cultura italiana. Filosofo, mnemotecnico, anticlericale, mago, romanziere, spia, infame, eretico: pochi italiani come Bruno si sono dannati per scovare la verità. Parleremo di panteismo magico, demoni, quantistica, anticristo, mnemotecnica, antico Egitto: il magico mondo di Giordano Bruno da Nola.

Nel libro Il Gioco Cosmico dell’Uomo, l’astrofisica Giuliana Conforto sostiene che la maggior parte delle prove scientifiche da lei addotte a suffragio delle sue tesi sulla quantistica siano già state antecedentemente spiegate, semplicemente e scientificamente, seppure solo a parole, da un altro eretico italiano: Giordano Bruno.

IL GIOCO COSMICO: TRA PANTEISMO MAGICO E QUANTISTICA

Sebbene Bruno sia il vero precursore del Rinascimento italiano, ben poca attenzione viene dedicata a lui nei percorsi scolastici. E, a leggere l’eccellente monografia redatta dal filosofo milanese Matteo D’Amico, 464 pagine pubblicate nel 2000) si individua facilmente la ragione.

Bruno era tipo veramente sui generis: filosofo, sacerdote, anticlericale, mnemotecnico, mago, romanziere, spia, infame, ed eretico. Tutto tranne che un personaggio standard. Se non è mai stato dato il giusto peso alla lungimirante opera di Giordano Bruno da Nola, molto probabilmente ciò si deve alle sue tensioni naturalistiche e intuizioni quantistiche.

Vero scienziato dello spirito, precursore della fisica quantistica, al Rinascimento umanista, Bruno vi contrapponeva il suo Rinascimento naturalista, “non essendoci nell’universo parte più importante dell’altra… l’universo è tutto cerchio e tutto circonferenza”.


Bruno disconosce il primato dell’uomo come unico possessore e dominatore del mondo: per il Nolano l’individuo è cooperatore dell’operante natura.

Il panteismo magico si apre strada nell’autore sin dai primi anni della sua vita, come emerge dalle parole del De immenso et innumerabilis seu de universo et mundis, dove descrive il suo rapporto con la natura di Nola nei dialoghi tra il monte Cicala e il Vesuvio. “Quello (dice il Cicala a Bruno riferendosi al Vesuvio nda) con il dorso ricurvo… tanto lontano di qui, così brutto, coperto di fumo, non produce alcun frutto… è privo di alberi e giardini… truce, spregevole e avaro… Eppure è mio fratello, ama e vuole bene a te. Guardalo bene, dunque e non disprezzare le sue attrattive. So che non ti farà niente che sia molesto e, se non vorrai rimanere, ritornerai.”

LA MISSIONE BRUNIANA

La sensibilità naturalistica che contraddistingue la visione di Bruno è esperienza capace di svelare il mistero della physis, della misteriosa natura che ama celarsi. Il Rinascimento come inteso dal Nolano è profezia apocalittica, missione verso un futuro carico di dimenticate e inaudite possibilità esistenziali per lo sviluppo dell’uomo. Giordano Bruno mira sostanzialmente a un programma di persuasione ecumenica che vada oltre il cristianesimo, che per lui altro non è che una forma di controllo morale. Come nota il D’Amico, la missione del Nolano è di paventare “un’umanità nuova… possibile solo se il pensiero si sa fare azione, slancio pratico e realizzativo, concreta incidenza nel mondo. Come in tutta la tradizione neoplatonica o in altri maghi rinascimentali (Campanella) metafisica e religione si rovesciano in tensione politica”.

Si vedrà nel corso della trattazione che la vita di Bruno è caratterizzata da costanti missioni, segrete o meno: un percorso che ha inizio con un ferale presagio. Bruno è pressoché neonato quando un serpente si avvicina alla sua culla, come ricorderà lui stesso agli stupiti genitori durante la pubertà e che al tempo, accorsero a salvarlo. Come evidenzia anche D’Amico “la comparsa di un serpente nella primissima infanzia la ritroviamo spesso nelle biografie dei grandi iniziati e delle personalità d’eccezione”.

LA FORMAZIONE DEL NOLANO

È la lettura di Erasmo da Rotterdam a esercitare la più profonda influenza sul pensiero del Nolano, oltre che a imprimere il marchio più indelebile sulla sua vita e la sua carriera: la messa all’indice dalla Chiesa e il suo conseguente perenne girovagare per l’Europa. La retorica grammaticale latina appresa nell’esperienza domenicana, la metafisica di Aristotele, la memoria artificiale di Tommaso d’Aquino e la mnemotecnica di Raimondo Lullo sono altre esperienze essenziali ai fini della maturazione della sua vis hermeneutica. Una forza interpretativa che affonda radici nel superamento di ogni autorità precostituita, come emerge dalla visione anti-trinitaria del Cristianesimo su cui il Nolano inizia a edificare il proprio pensiero.

Quella di Bruno è una concezione del divino come Uno-Tutto, un principio spirituale che ingloba e modella tutto il reale con il suo respiro: teoria che, come è facile presumere, lo pone presto sotto i riflettori dell’Inquisizione. È proprio per ovviare al rischio di trovarsi impantanato nei processi, che Bruno inizia a girare le grandi capitali e corti d’Europa in cerca di fissa dimora. Cosa che mai gli riuscirà, per questioni strettamente caratteriali, nel corso dell’intera vita.

Il primo monarca a restare ammaliato dall’eloquenza e dall’Ars Memoriae di Bruno è Enrico III di Valois, Re di Francia di origini medicee, figlio di Caterina de Medici. Personaggio animato da un’autentica sensibilità religiosa, che, come ci fa sapere il D’Amico, lo spinge a forme di partecipazione estreme e manierate ai riti… lo si vede talvolta indossare, in queste occasioni, abiti neri che recano teschi e scheletri ricamati…

Bruno iniziò a farsi un nome nella scena intellettuale del tempo grazie alla straordinaria capacità di ricordare e recitare a memoria (anche al contrario!) interi passi di Aristotele, oltre che per un’interpretazione non proprio tradizionale che ne forniva.

ARS MEMORIAE E MNEMOTECNICA

Giordano Bruno è stato uno dei più importanti maghi nella storia, profondo conoscitore della tradizione platonica e neoplatonica come dell’ermetismo e dello gnosticismo, come si evince dai predetti dialoghi tra Cibele e il Vesuvio.

È nell’opera Ars Memoriae, trattato sulla mnemotecnica, che Bruno pone le fondamenta della sua magia. Una dottrina che elaborerà ulteriormente in De umbris idearum (Le ombre delle idee) con il concetto di umbratilità. Il Nolano ha molto probabilmente letto anche Cicerone, che nell’Ad Herennium menziona la mnemotecnica quale conoscenza fondamentale per un buon oratore. Cicerone offre oltretutto una prima introduzione alla metodologia alla base della disciplina, parlandoci della tecnica dei loci: un’arte che si basa sulla memorizzazione di forme architettoniche o monumentali ove si trovano diversi vani o statue cui possano essere accoppiate le parti di cui il discorso si compone. Nel far ciò, conferisce a ogni vano o statua una parte della dissertazione, cui associare la ripetizione mnemonica, fino a che, per ricordarla, non sarà più necessario pensare al testo, bensì connettersi mentalmente all’oggetto fisico a cui essa è stata collegata.
Cicerone, come confermerà Bruno più oltre, dà dimostrazione di conoscere bene la magia egizia, da sempre contraddistinta dall’uso delle statue ai fini dell’vocazione demoniaca.

I FONDAMENTI DELLA MNEMOTECNICA

Scrive l’autore Matteo D’Amico: “Legare saldamente ars memoriae e magia, per dare vita a un sistema totale del sapere, dove cosmo, natura, divinità, storia, cultura, possano essere riassunti e radicalmente trasfigurati nell’anima dell’uomo, dell’iniziato”. Tale è il fondamento della mnemotecnica, riflessione che ha origine nell’idea di un’unità di Dio e Mondo, unica vera unità metafisica celata oltre i cinque sensi: un infinito organismo vivente, ove l’Uno che vi abita si rivela in ogni cosa che è vita nel mondo fisico.

L’arte della memoria – o scrittura interiore – è elemento imprescindibile per ogni mago che intenda essere tale. Essa svolge un ruolo imprescindibile nella compenetrazione del proprio spirito con la totalità dell’essere. Il mago è colui che riesce ad ammaestrare e conservare in sé i principi e i simboli tramite cui queste forze si manifestano nella realtà fisica. Nel De umbris idearum (Le ombre delle idee) l’idea d’umbratilità assurge a concetto fondamentale per la definizione della natura stessa dell’uomo, vista dal nolano come un essere a metà tra la pienezza della luce e la tenebra, come riporta lo stesso Bruno:

“una volta considerato ciò, anche questo vorrei che tu avessi presente, in modo da tenere distinta l’ombra dalla regione della tenebra. L’ombra non è tenebra, ma o traccia di tenebra nella luce, o traccia di luce nella tenebra… mescolanza di luce e tenebra…”

L’uomo è insomma un ente medianico, fallacemente relegato al mero mondo fisico e il sistema mnemotecnico sviluppato da Bruno ne offre palese dimostrazione. Bruno sviluppa un alfabeto di immagini con cui poter esprimere in forme concrete qualsiasi parola, per nulla diverso dalla tecnica dei loci di cui parla Cicerone. In tale opera, Bruno si spinge ben oltre i mnemotecnici a lui precedenti (Ficino, Pico e Camillo), ricorrendo direttamente al sistema del De occulta philosophia di Agrippa.

In che cosa consiste la sua innovazione? Come detto in apertura, Bruno è alimentato da un innato afflato rivoluzionario in qualsiasi cosa egli faccia. Il suo legittimo estremismo anti-cristiano non pone scrupolo alcuno all’utilizzo delle potentissime immagini dei decani dello zodiaco: ragion per cui, a differenza di Ficino e Pico che ancora rispettavano e temevano la religione cristiana, Bruno va dritto sui più oscuri e potenti elementi della tradizione ermetica e occultista.

Sorprende che Arthur Schopenhauer, nel suo saggio “Sul giudizio degli altri”, ricco di riferimenti ad autori terzi, non faccia menzione alcuna del nolano, senza dubbio un precursore di molte idee poi sviluppate dal filosofo tedesco che ispirò Nietzsche e Wagner.

LA TALISMANICA MACCHINA DELLA MEMORIA DI BRUNO

È dalla Logica Universale di Raimondo Lullo che prende corpo la struttura mentale “delle ruote mobili” necessarie per apprendere le tecniche mnemoniche di Giordano Bruno. Tale tecnica immaginale, quindi magica, si articola tramite una serie di cinque ruote concentriche, ognuna delle quali è divisa in trenta parti recanti lettere dell’alfabeto latino dalla A alla Z, greche ed ebraiche, ripartite poi, a loro volta, in cinque settori. Su ognuna delle tre ruote esterne vanno posti, mentalmente, i differenti elenchi di cento cinquanta immagini ciascuno. Ogni immagine è contrassegnata da due lettere: una che segnala a quale delle trenta caselle della ruota appartiene e l’altra, che è una delle cinque vocali, indica il settore dei cinque in cui è suddivisa la casella d’appartenenza.

Oggi giorno, grazie alla tecnologia digitale, fatichiamo a tenere a mente i cinque numeri di telefono che chiamiamo più spesso. Per questo, abbiamo ritenuto di dettagliare almeno sommariamente il sistema elaborato dall’eretico Giordano Bruno da Nola.
Sistema che il Nolano riprende da Teucro Babilonese e che perciò fa imprescindibilmente perno sulle divinità astrali egizie, tra cui il Draco Lunae e le ventotto mansiones lunari. È grazie a tali tecniche (e altre), che il mago può imprimere in sé e prendere controllo delle forze celesti: le immagini diventano in sostanza talismani delle stelle.

LA RELIGIONE DELLA MENTE

La loro interiorizzazione è essenziale ai fini della creazione di una costellazione interiore che permetta il raggiungimento delle forze celesti: processo che Bruno sviluppa trasformando le ruote di Raimondo Lullo in “Cabala pratica”, ossia in una serie di scongiuri atti a dominare a proprio uso e consumo entità angeliche o demoniche. È cosi che il Nolano crea una vera e propria “religione della mente”, in cui le pratiche di memoria ermetica divengono esercizi spirituali di una religione che si basa sulla potenza dell’immaginazione e sull’arte di contenere in se stessi e dominare l’Universo intero.

A tal fine, bisogna letteralmente dare vita alle immagini, lasciandosi penetrare e pervadere da esse, tramite il silenzio, l’ascolto, l’apertura, la disponibilità e l’assoluta attenzione. Solo così le immagini potranno vivere nella mente del mago e operare su di essa affinché possa entrare in contatto ed evocare spiriti e potenze, dando prova della sua divinità.

METAFISICA BRUNIANA E IL CANDELAIO: TRA ETICA E ANTROPOLOGIA

Coerentemente con la tradizione platonica e neoplatonica su cui poggia la riflessione di Bruno, la metafisica è una visione della vita e del mondo fondata su etica e religione. Tema su cui è centrato il primo romanzo e opera che più di tutte gli diede successo in vita, Il Candelaio, la cui trama, come dice lui stesso, verte su tre materie principal: l’amor di Bonifacio, l’alchimia di Bartolomeo e la pedanteria di Manfurio.

È un’antropologia negativa quella che emerge dalla trama della commedia, come d’altronde non potrebbe essere altrimenti per un rivoluzionario, iper-critico – quasi alla soglia della mitomania –com’era il nolano ricostruito dall’ottimo Matteo D’Amico. I tre protagonisti sono ritratti tramite le loro debolezze, la loro inconcludenza e vacuità: è un’umanità senza speranza, che non può riformarsi se non secondo i dettami dell’autore. Bonificio, l’omosessuale sposato che ricorre alla magia per garantirsi l’amore di un’altra donna; Bartolomeo, l’apprendista alchimista che crede di poter trasmutare i metalli in oro, e il grammatico Manfurio, un idiota trionfante perché, seppur dotto, dice Bruno, non riesce a darsi conto della limitatezza del proprio essere.

L’argomento della crisi umana trattato in Il Candelaio è il fulcro di tutta la riflessione di Giordano Bruno, ma ciò che colpisce è che sia tema tuttora attualissimo. Crisi che, in assoluta coerenza con il carattere del mago di Nola, va affrontata con gioia e spavalderia, in ragione del fatto che solo tramite essa l’uomo può ambire a un’evoluzione.

Bruno ci mostra come la soluzione ai problemi dei suoi tempi sia tuttora valida, oltre che necessaria: l’umanità, come una fenice, deve morire e risorgere per tornare se stessa. I malvagi del Candelaio sono infatti gli anti-eroi positivi della commedia, ricoprono un ruolo quasi maieutico, pedagogico, volto a distruggere per ricostruire. Per Bruno, i 1500 anni di tradizione cristiana sono stati uno stupro alla vera essenza dell’uomo e, perciò, ne va fatta tabula rasa: sic et simpliciter.

IL CANTICO DI CIRCE

La denuncia della crisi che attanaglia l’umanità risuona profondamente nell’invocazione al sole della maga Circe con cui si apre il primo dialogo de il Cantus Circaues:

“Per i rapidi passi dei tuoi cavalli impetuosi mi rivolgo a te, che riportando alla luce tutte le cose percorri i due oscuri emisferi. Quale, ti chiedo, è la misura che fu imposta alle cose? Ecco che sotto scorza umana sono celati animi ferini. Conviene forse che un’anima bestiale abiti un corpo di uomo come se questo fosse una dimora cieca e ingannevole?… Ecco che invece siamo caduti in potere di un Chaos niente affatto occulto… Non è cosa da poco che noi siamo tratti in inganno dagli ingegni sia di esseri visibili, sia di esseri raziocinanti che i sensi non possono percepire?… Vi scongiuro… fate si che questi esseri si mostrino nelle loro figure esteriori e veritiere.”

Dopo tale invocazione magica, la maggior parte degli uomini si trasforma in animali e Circe riprende a dialogare con Meri asserendo il seguente: “Questi che adesso vedi nel loro aspetto di animali bruti e di bestie non sono per niente diversi da quelli che poco fa vedevi come uomini, se non perché ora soltanto hanno reso evidenti quelle unghie, quei denti, quegli aculei e quelle corna che prima celavano.”

Giordano Bruno da Nola non le mandava certo a dire, né tanto meno si preoccupò mai di lasciare troppi dubbi sul da farsi con la sua persona, alla Santissima Inquisizione.

LA SPIA HENRY FAGOT E IL VERO VOLTO DI BRUNO

D’Amico sostiene, e appare difficile smentirlo, che Bruno abbia prevalentemente sbarcato il lunario grazie all’attività d’informatore presso per le principali corti europee, piuttosto che per la sua attività di filosofo: la documentazione storica e le ricostruzioni logiche da lui effettuate propendono per una palese dimostrazione di tale tesi.

Il tutto ha inizio il 28 Marzo 1583 quando Henry Cobham, ambasciatore inglese a Parigi, invia un messaggio a Londra a Sir Francis Walsingham, primo segretario del regno d’Inghilterra, nonché ministro degli esteri, dell’Interno e capo dei servizi segreti del tempo. Il messaggio riguarda un insolito filosofo italiano che si sta recando a Londra: “Intende venire in Inghilterra il dottor Giordano Bruno, Nolano, professore di Filosofia, la cui religione non posso approvare.”
È proprio durante l’esperienza londinese che Bruno inizia a vestire i panni della spia, in questo caso dietro lo pseudonimo di Henry Fagot. Bruno era l’informatore di Walsingham e direttamente dall’ambasciata francese, dove era ospitato grazie dall’ambasciatore Castelnau. E fu sempre grazie a Castelnau, che era solito coinvolgerlo negli incontri con gli intellettuali del tempo, che Bruno entrò in contatto con l’occultista e spiritista John Dee.

Se sono infatti ammirabili la sensibilità, la visione e il coraggio intellettuale del nolano, non tutti si sentirebbero di poter dire esattamente lo stesso della persona, dell’essere umano. Giordano Bruno era tutto tranne che uomo “d’onore”, invischiato com’era in tradimenti e cospirazioni verso i propri amici o nei confronti di persone di cui aveva carpito la fiducia. A sua difesa, va detto che il denominatore comune di qualsiasi attività svolta da Bruno, anche nei panni di spia, era il suo violento odio anticattolico: la distruzione dell’abominevole papato e di tutte le sue opere è l’unico vero fil rouge delle informazioni di Henry Fagot.

Inizia cosi una serie di viaggi tra Londra, Parigi, Francoforte e Praga che permetterà a Bruno di entrare in contatto con tutte le figure più importanti del tempo; a partir dalla regina Elisabetta, con cui Bruno avrà diversi incontri. Un pellegrinaggio lungo una vita e motivato dai processi che lo avrebbero atteso in Italia.

PER UNA NUOVA COSMOLOGIA OLTRE ARISTOTELE E COPERNICO

Bruno è ancorato a una metafisica dell’immanenza, il cui cuore è legato al superamento di ogni distinzione tra alto e basso, tra uomo e divino, tra celeste e terreno. I corpi celesti e la terra sono vivi e danno vita a chi li abita: è questa l’essenza della magia di Bruno, una fusione di metafisica e cosmologia poi poste in un’unica tensione filosofica. Perciò, assume nuovo senso la sua crociata contro Aristotele: la fisica, cosmologia, la metafisica aristotelica, sono obiettivi d’abbattere, senza se e senza ma.

Come dice egli stesso in una missiva inviata per introdursi all’ateneo inglese di Oxford, egli “è proclamatore di una filantropia universale che non preferisce gli Italiani ai Britanni, i maschi alle femmine, le teste mitrate a quelle incoronate… che non prende in considerazione la testa unta, la fronte segnata, le mani lavate, il pene circonciso ma la cultura della mente e dell’anima.”

In tale ottica, la cosmologia non può prescindere dagli assunti di Copernico né a essi limitarsi: se la visione eliocentrica del sole al centro dell’Universo è il punto di partenza per Bruno, a essa, e ai suoi aspetti geometrici e matematici, egli non si può fermare. Per il nolano è essenziale inaugurare una novella metafisica tramite una nuova immagine del cosmo, che oltrepassi la fisica dualistica di Aristotele e la visione finita di Copernico.

Dio nella visione di Bruno è un tutto che pervade ogni cosa nel cosmo, che assume i connotati dell’ἀρχή presocratico o dell’ente inconoscibile di cui parlano gli gnostici. Questo completo bouleversement, rovesciamento della cosmologia conosciuta tanto perorato da Bruno, implica stravolgimenti profondi nella visione del mondo e dell’uomo. Se il cielo è infinito, tali sono i mondi che può vivere l’uomo: infiniti sono gli spazi ove possa ora proiettare il proprio spirito, pensiero, azione e quindi, esperienza.

Sono le stesse dottrine cosmologiche che Cusano introduce nel 1440 nel testo “De docta ignorantia” e che varranno il rogo a Bruno e la persecuzione e scomunica a Galileo Galilei. Solo nell’alveo di tale sensibilità l’uomo troverà la sua vera dimensione, fatta di una libertà fino a quel momento mai conosciuta: è una cosmologia ermetica, di cui il nolano ci offre un preciso ritratto nella Cena delle ceneri:

“Alla mente… piacque dotarmi le spalle di ali e condurre il mio cuore verso una meta stabilita da un ordine eccelso: in nome del quale è possibile disprezzare la fortuna e la morte… così io sorgo impavido… senza che il pregiudizio mi faccia arrestare contro le sfere celesti, la cui esistenza fu erroneamente dedotta, da un falso principio, affinché fossimo rinchiusi in un fittizio carcere…”

L’Eliocentrismo copernicano muta in Bruno in “caldo rinascimento” un canto d’infinità cosmica, di professione di fede nell’aldiquà, più che nell’aldilà, per dirla con Ernst Bloch.

LO SPACCIO DELLA BESTIA TRIONFANTE E L’ANTICRISTO

Bruno è sintesi del vero intellettuale, un rivoluzionario che lotta per la restaurazione dei valori primitivi, come emerge da un’altra sua opera fondamentale, Lo Spaccio della Bestia. Opera che evidenzia la necessità delle divinità della tradizione olimpica di prendersi carico di una profonda riforma dei cieli, che ovvi alla loro caduta, che inverta i valori rovesciati dalla malvagia chiesa per rimpiazzarli con quelli propri della visione divina del nolano.

La negazione dell’anima individuale, l’ammissione della possibilità della metempsicosi e la visione di un mondo segnato da una temporalità ciclica dove tutto torna, eternamente. Lo stesso Cristo assume in Bruno i connotati del malvagio, un mago che seduce e domina gli uomini per imbrogliarli, impedendogli di godere in pienezza della loro ricchezza. È una figura “ricattatrice” che soggioga gli uomini con il timore della morte e la promessa di una vita eterna raggiungibile solo tramite l’adesione e il rispetto dei suoi precetti.

L’asino protagonista dell’opera è appunto lo stolto incapace si elevarsi oltre i fantasmi della propria immaginazione ed è quindi destinato a rimanere schiavo del dominio dei demoni. Divinizzare l’uomo, superare la frattura cristiana tra egli e Dio è l’essenza del pensiero di Bruno, della sua cosmologia infinitista, della rifondazione magico-neopagana per cui vive.

L’infinito del nolano è qualitativo e spirituale, non quantitativo e materialistico: in tale visione, il papa assume nulla più che il ruolo di un vero demonio, dell’anticristo.

MAGIA EGIZIA E ERMETISMO: UN CULTO INTERIORE

Prima di chiudere, torniamo a dare spazio alla visione della magia secondo Giordano Bruno, vista come tentativo di creare una memoria che derivi la sua unità dall’uso d’immagini o segni che mettano l’uomo in contatto diretto con la realtà. Seppur indicibile, incomunicabile, ed esperibile solo come dimensione interiore, è nella magia e nell’ermetismo che alberga l’esperienza che ci permette di comprendere il reale: poteri governabili dal mago solo grazie alla massima freddezza e autocontrollo emotivo.

Il mondo attuale, alla pari di quello di Bruno, è vittima di un rovesciamento, di un’inversione di valori: solo la magia egizia, secondo il nolano, può riformarlo con nuovi valori essenziali. Avvicinarsi al principio divino che anima il cosmo, lasciarsi andare al processo infinito di contemplazione dell’infinito stesso e di sua ricezione interiore, è la sola strada percorribile.

A leggere alcuni tratti della traduzione di Bruno del Lamento Ermetico pare che l’Europa del 1500, rispetto alla contemporanea, non sia poi granché mutata:

“Per questa come per molte altre cose da lui dette e da noi non riportate, per colpa di un carattere oltre il sicuro di se, tanto ingenuo nel manifestare tale sicurezza, quanto sciagurato nell’ambizione di voler insegnare all’Ateneo Bo di Padova, Bruno cadrà nella rete dell’Inquisizione, che lo farà ardere vivo sulle pile di legna in Campo de Fiori a Roma il 17 Febbraio del 1600.”

Per questa come per molte altre cose da lui dette e da noi non riportate, per colpa di un carattere oltre il sicuro di se, tanto ingenuo nel manifestare tale sicurezza, quanto sciagurato nell’ambizione di voler insegnare all’Ateneo Bo di Padova, Bruno cadrà nella rete dell’Inquisizione, che lo farà ardere vivo sulle pile di legna in Campo de Fiori a Roma il 17 Febbraio del 1600.

Per questa come per molte altre cose da lui dette e da noi non riportate, per colpa di un carattere oltre il sicuro di se, tanto ingenuo nel manifestare tale sicurezza, quanto sciagurato nell’ambizione di voler insegnare all’Ateneo Bo di Padova, Bruno cadrà nella rete dell’Inquisizione, che lo farà ardere vivo sulle pile di legna in Campo de Fiori a Roma il 17 Febbraio del 1600.

PERCHE’ MORI GIORDANO BRUNO?

Il panteismo magico, ma ancora di più l’animismo, furono fatali a Bruno più di ogni innovazione sul fronte cosmologico. La sua idea di metafisica, l’unità e coesione tra mondo e Dio destabilizzavano alle fondamenta l’idea cristiana del Dio trascendente. E, di certo, la richiesta di Papa Clemente V di sottoporre a censura lo Spaccio de la bestia trionfante mise Bruno con le spalle al muro: “La bestia”, era noto fosse l’appellativo usato dai protestanti per riferirsi al principale inquilino del Vaticano.

Nonostante l’ostinazione della Chiesa, che cercò in ogni modo di far pentire e abiurare Giordano Bruno onde evitar di garantirgli martirio, egli rimase coerente con le sue tesi e rifiutò ogni pentimento, pur consapevole che fascine e fiamme ai piedi lo avrebbero atteso. Frances A. Yates, una delle fonti principali della monografia scritta da D’Amico, sostiene che il Vaticano abbia arso vivo Bruno anche per mandare un segnale ad altri potenziali eretici che in quel momento stavano mettendo a rischio il potere in Italia con rivolte. È il caso di un altro domenicano e rivoluzionario, il calabrese Tommaso Campanella, che proprio pochi mesi prima dell’esecuzione di Bruno, fu arrestato, incarcerato a Napoli e torturato specularmente come successe al Nolano. Yates vede, quindi, nel rogo di Bruno a Campo dei Fiori, dopo 9 anni di carcerazione e oltre venti interrogatori, anche uno strumento per lanciare un monito a suoi possibili emulatori.

L’ULTIMO DIALOGO ANTE MORTEM

Chiudiamo la nostra parziale recensione dell’eccellente libro scritto da Matteo D’Amico riportando l’ultimo dialogo avuto da Bruno con il suo scolaro Sagredo prima di morire.

B: Anche gli uomini di Chiesa sono parte dell’Uno. La mia morte servirà per mostrare il vero potere, quello occulto, che si muove dietro tutte le Chiese e tutti i poteri del mondo.
In questo mondo illusorio, ove menzogna, bontà ipocrita e paura dominano, una morte illustre è più efficace di un’intera vita. Le umane genti la ricordano. L’uomo che infligge morte è colui che più la teme; è un paradosso, ma chi procura la morte, cerca disperatamente di comprenderla, di penetrare la mente di Dio.

S: Maestro, ma perché tutto questo, perché tutta questa sofferenza, queste atrocità, ingiustizie, dolori: fratelli, che uccidono loro fratelli! Come può Bellarmino firmare ad animo leggero la sentenza della vostra morte?

B: Egli non ha coscienza, non sente l’unità dell’infinito universo, non sa che la sua azione di oggi avrà per lui una reazione, in altra sua vita futura; questo vale anche per me e tutti coloro che hanno cercato invano di risvegliare l’umanità dall’inganno. La terra è una dura scuola: ogni opera lascia una traccia, perché la giustizia vera esiste, figliuolo, anche se in questo mondo non appare. Che ci piaccia o no, siamo noi la causa di noi stessi. L’Essere non teme la morte, perché sa bene che non esiste. Nascendo in questo mondo, cadiamo nell’illusione dei sensi; crediamo a ciò che appare. Ignoriamo che siamo ciechi e sordi. Allora ci assale la paura e dimentichiamo che siamo divini, che possiamo modificare il corso degli eventi, persino lo Zodiaco… Siamo figli dell’unico vero sole che illumina i mondi. Il dolore e la sofferenza non c’erano all’inizio della storia, ai tempi dell’antico Egitto che conservava ancora memoria delle gloriose e immortali origini.
Un giorno non lontano, una nuova era giungerà finalmente sulla Terra. La morte non esiste. La miseria, il dolore e le sue tante tragedie, sono il frutto della paura e dell’ignoranza di ciò che è la vera realtà…

S: Maestro, come posso ritrovarvi?

B: Guarda dentro di te, Sagredo, ascolta la tua voce interiore e ricorda che l’unico vero maestro è l’Essere che sussurra al tuo interno. Ascoltala: è la verità ed è dentro di te: sei divino, non lo dimenticare mai.

Ode a te, Giordano Bruno da Nola.

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