SU KHERSON E ZAPOROZHYE

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Alcune considerazioni sulla controffensiva ucraina verso Kherson, e la tentata riconquista della centrale nucleare di Zaporozhye.

La controffensiva su Kherson

A lungo attesa, più volte annunciata, alla fine di agosto è arrivata la famosa controffensiva ucraina. Articolato su più direttrici, l’attacco delle forze armate di Kyev puntava sostanzialmente su Kherson, nel tentativo di riconquistarla. Forte di circa 10.000 uomini, con buon supporto di carri e blindati ed appoggio dell’artiglieria, si è però infranto contro le difese russe. Ad eccezione di piccole direttrici di penetrazione, che non hanno portato alla conquista di alcun punto strategico, e che si sono rovesciate in auto-insaccamenti, l’offensiva non ha prodotto neanche successi tattici significativi.

Il punto è che si trattava di una mossa disperata. Per un verso, Kyev avvertiva la necessità di dare un segnale ai suoi supporter, soprattutto europei, che cominciano a dare segni di stanchezza ed insofferenza, dimostrando in qualche modo che le armi ricevute non sono servite solo ad alimentare il mercato nero. Dall’altro, c’era una forte pressione, in particolare da parte della Gran Bretagna (vera e propria anima nera della NATO, in questo conflitto), che spingeva fortemente perché fossero messe in campo azioni offensive.
Ma lo scarto tra esigenze politiche e capacità militare era troppo alto e non poteva che tradursi in un tragico fiasco. A sfavore dell’Ucraina, infatti, giocavano praticamente tutti i fattori.

Le vaste pianure ucraine del sud ovest

Innanzitutto, il terreno. Il sud-ovest del paese è una vastissima pianura, priva di ostacoli e di grandi foreste, per cui non solo era impossibile nascondere l’accumulo di forze, ma, una volta iniziati i combattimenti, sia le unità di prima linea che le linee di rifornimento si trovavano allo scoperto. Cosa tanto più significativa, se si tiene conto del fatto che (altro fattore determinante) la Russia ha il pieno dominio dell’aria, dispone di una potentissima artiglieria ed ha una capacità missilistica infinitamente superiore a quella nemica.

Un terzo fattore negativo è stato il rapporto di forze sul terreno. Dovendo attaccare truppe sicuramente più preparate ed esperte, meglio equipaggiate e fortemente supportate da carri ed artiglieria, era necessario assicurarsi una considerevole preponderanza numerica, in uomini e mezzi. Non che diecimila uomini siano pochi, in termini assoluti. Ma la scelta di attaccare su un fronte di circa 100 km implica che l’impatto risulterà diluito; forse sarebbe stato più proficuo concentrare il grosso in direzione di Kherson, che dista solo una ventina di kilometri dalla linea di contatto, e provare a sfondare massicciamente lì. Era in ogni caso un azzardo, data la combinazione dei due fattori terreno e dominio nemico dell’aria, ma magari avrebbe prodotto risultati più significativi sul piano politico – che era poi l’unico vero obiettivo.

La portata delle perdite subite è infatti tale che finisce per oscurare il fatto che, in ogni caso, è il primo tentativo da mesi di riprendere l’iniziativa. Anche a prendere con le molle le stime russe (che parlano di 2000 ucraini morti), una serie di notizie provenienti dalle retrovie ucraine sembrano confermare un quadro drammatico. A Odessa e Nikolaev si segnalano file per donare il sangue, il personale sanitario parla di situazione ingestibile, addirittura in Transcarpazia (regione da cui provenivano molti dei militari) è stato proclamato il lutto.

Ragionevolmente, si possono ipotizzare perdite per 1000 caduti e 3/4000 feriti. Il che, considerato che si sono consumate nel giro di pochi giorni, e che non hanno corrisposto ad alcun successo significativo, rappresenta una ennesima batosta, che non mancherà di incidere profondamente sia sul morale dell’esercito (già non particolarmente alto), sia sulla fiducia degli alleati.

Dopo la resa del battaglione Azov a Mariupol, questo è sicuramente il colpo maggiore subito dalle forze armate ucraine negli ultimi mesi.

Il tentato assalto a Zaporozhye

Un altro clamoroso fallimento è stato il blitz con cui gli ucraini hanno cercato di riprendere la centrale nucleare di Enerhodar, nella regione di Zaporozhye. Nelle intenzioni di Kyev – ma soprattutto in quelle di Londra, perchè tutta l’operazione è made in UK – doveva essere un clamoroso coup de théâtre, che avrebbe dovuto rilanciare (opportunamente supportato dalla propaganda occidentale) l’immagine dell’Ucraina indomita, capace di spettacolari colpi di coda.

La questione della centrale nucleare, com’è noto, è aperta da tempo. Oltretutto, si tratta della più grande d’Europa, costruita in epoca sovietica. Al di là del valore simbolico – e della potenziale minaccia – l’importanza strategica della centrale risiede esattamente nella sua capacità di erogare energia elettrica. Per gli ucraini, si tratta di un’importante fonte energetica, che, qualora venisse a mancare, creerebbe non pochi problemi, soprattutto nelle aree adiacenti la linea di combattimento e le relative retrovie. Sin da quando la centrale è stata conquistata dai russi, lo scorso marzo, il timore di Kyev è che venga appunto distaccata dalla rete nazionale ucraina ed utilizzata invece per fornire energia elettrica alla Crimea. L’operazione non è ovviamente semplice come switchare da un dispositivo ad un altro e oltretutto non può essere fatta fintanto che si trova esposta al fuoco nemico. Ragione per la quale, appunto, gli ucraini non hanno smesso di colpirla.

Va precisato che, in effetti, il pericolo dell’esplosione di un reattore, come conseguenza di un colpo d’artiglieria o di un missile, è in effetti estremamente remoto. La struttura, come tutte quelle costruite in URSS, è estremamente blindata da una possente corazzatura di cemento; e peraltro, gli ucraini non hanno mai cercato di colpire direttamente uno dei reattori. Il loro fuoco si è concentrato sugli edifici e gli impianti vicini, come l’alimentazione elettrica e quelli di raffreddamento. Solo un serio danneggiamento di questi avrebbe potuto, eventualmente, innescare un processo capace di portare all’esplosione di un reattore. Si può in effetti dire che non fosse questo l’esito ricercato, ma era comunque ritenuto accettabilmente possibile. Del resto, qualora si fosse verificata un’esplosione, con tutte le conseguenze facilmente immaginabili, è evidente che ciò avrebbe comportato lo stop di tutte le operazioni militari, mentre i russi si sarebbero dovuti preoccupare di mettere in sicurezza le proprie truppe e le popolazioni delle regioni liberate. E, d’altro canto, la cosa sarebbe stata immediatamente sfruttata dalla NATO, che avrebbe approfittato del panico suscitato in tutta Europa per allestire una colossale opera di mistificazione propagandistica, attribuendone la colpa ai russi. Sarebbe inoltre servito come pretesto per fare intervenire reparti NBC di paesi NATO, e comunque per una immediata internazionalizzazione sul campo del conflitto.

Per lungo tempo, quindi, la strategia ucraina è stata volta ad impedire una deviazione dell’energia elettrica prodotta dalla centrale. Ma, ad un certo punto, la Russia ha cominciato a chiedere insistentemente che venisse inviata una commissione dell’AIEA. Con lo scopo, evidente, di mettere in sicurezza l’impianto, schermandolo con la presenza della commissione internazionale. Una condizione, questa, però assai indigesta a Kyev.

È così che, mentre la cosa cominciava a prendere forma, con tutte le lentezze dell’ONU (specie quando non sono in gioco interessi occidentali), e quelle obiettivamente dovute al fatto che la centrale si trova esattamente sulla linea di contatto tra due eserciti belligeranti, a Londra ha cominciato a farsi strada l’idea del blitz.

A tal fine, si è intensificata la preparazione delle unità ucraine che avrebbero dovuto effettuare l’operazione (quelle con cui Boris Johnson si è fatto fotografare al centro d’addestramento britannico); operazione che avrebbe dovuto essere coordinata di fatto con la missione AIEA. L’idea, infatti, era precisamente quella di occupare la centrale appena prima dell’arrivo degli ispettori internazionali, in modo tale che questi avrebbero preso atto del nuovo status del sito e, lasciando in loco come previsto parte del personale, avrebbero praticamente impedito qualsiasi azione russa per riprenderla.
La ragione per cui la parte ucraina ha lungamente insistito affinché la missione arrivasse alla centrale dal territorio ucraino (quindi. attraversando una linea di fuoco), piuttosto che tramite la Russia e poi il territorio liberato (cioè il percorso più sicuro), oltre che ad una questione formale, rispondeva esattamente a questa logica, poiché avrebbe permesso di coordinare l’arrivo della missione stessa con il successo dell’operazione militare.

Il piano prevedeva lo sbarco nell’area della centrale – che si trova sulla sponda sud di un grande bacino idrico creato dal fiume Dniepr, mentre la sponda nord è in mano ucraina – di un’a ‘unità speciale del GRU, il servizio segreto militare, che avrebbe dovuto costituire la testa di ponte.

Per ulteriore sicurezza, il GRU ha cercato di infiltrare falsi giornalisti nel convoglio della missione. Tra l’altro, è ben possibile (per quanto ovviamente non provato) che all’interno della missione stessa vi fossero agenti NATO. Va infatti ricordato che della missione fanno parte esperti provenienti da vari paesi, tra cui alcuni membri dell’Alleanza Atlantica, e che non sarebbe la prima volta che questo genere di missioni internazionali registrano la presenza di agenti dei servizi occidentali. È successo a suo tempo in Iraq, è successo nella stessa Ucraina, dove l’Operazione Speciale russa ha portato alla luce il coinvolgimento attivo di membri della missione OSCE in favore dell’esercito ucraino.

In ogni caso, ancora una volta si è dimostrata l’efficacia della rete informativa russa, che ha reso possibile tendere un’imboscata all’unità ucraina, che è stata completamente sgominata.

A conclusione di questa ulteriore occasione mancata, appena il grosso della missione AIEA è ripartita, l’Ucraina ha ricominciato a bombardare la centrale. Però stavolta la reazione russa è stata più decisa. La centrale è stata infatti distaccata dalla rete elettrica ucraina, per ragioni di sicurezza.

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8 thoughts on “SU KHERSON E ZAPOROZHYE

    1. Le mie sono analisi della situazione politico-militare, e non avrebbe senso – in questo contesto – manifestare simpatie per l’una o per l’altra parte. Distaccarsi dalla partigianeria è funzionale appunto alla possibilità di analizzare i fatti in maniera oggettiva, per quanto possibile.
      Peraltro, non capisco proprio da cosa si possa desumere il ‘dispiacere’ di cui parla; se non, forse, dall’assenza di ciò che si aspettava, e cioè l’esaltazione acritica della Russia.

  1. E’ difficile evitare una guerra , che gli altri hanno iniziato 8 anni prima …o no ??
    O forse avevate un modo anche prima di evitarla ?
    Saluti Pollini massimo

  2. Abitando dove abitiamo noi , pensiamo che si poteva evitare … alla peggio cambiamo canale alla tv e siamo a posto!!

    1. In realtà, se solo l’Europa avesse avuto un briciolo di indipendenza, e di intelligenza politica, avrebbe potuto benissimo evitare il conflitto. Lo avrebbe potuto fare, se non se ne fosse infischiata per otto anni della mancata applicazione degli accordi di Minsk. Ed avrebbe potuto farlo ancora a febbraio di quest’anno, quando la Russia chiedeva a gran voce un accordo sulla sicurezza in Europa (e soltanto l’autonomia per le ‘repubbliche’ del Donbass); persino dopo il 24 febbraio, c’erano ancora margini di ricomposizione del conflitto. Ma l’Europa ha scelto di schierarsi in modo subalterno agli USA ed alla Gran Bretagna – che la guerra la volevano a tutti i costi – e adesso, appunto, dopo gli ucraini sono gli europei a pagare quei costi.

  3. Credo che Enrico Tomaselli abbia condotto un”analisi molto accurata e condivisibile. Poi c’è la situazione militare che in questa parte dell’Ucraina sarà la tomba dell’ AFU. Il totale fallimento della controffensiva peserà più della disfatta del battaglione Azov a Mariupol . La strategia russa è sempre più vincente.

  4. Credo che la nato cercasse la guerra a tutti i costi già dopo la crisi di Cuba erano state disattese le promesse verbali di non espansione ad est
    Il tutto poi da inserire in un quadro economico finanziario globale del dollaro non più moneta di riferimento per gli scambi brics

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