CRISI OCCIDENTALE DI CHIP, TAIWAN E UCRAINA: CON LA PROBABILE PRESA DA PARTE DELLA CINA DI TAIWAN, L’EUROPA SI STA PREPARANDO (IN RITARDO) AD EVITARE UN RITORNO AL VENTESIMO SECOLO

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Guerra/guerre, pandemia, blocchi commerciali contrapposti, sviluppo e crisi delle materie prime sono le principali cause della crisi dei chip a livello globale.

Chip

Aumentare velocemente la produzione di chip è imperativo. Ma, nel momento in cui si parla di processori, il know how, le tecnologie e le risorse necessarie sono particolarmente complesse da implementare. Ci vogliono almeno un paio d’anni per concretizzare impianti produttivi e i margini per le aziende private sono particolarmente bassi. Diverso è, invece, quando iniziano ad arrivare fondi pubblici in quantità in questo settore strategico. Ed è esattamente qui che ora le grandi aziende possono far esplodere i profitti: tramite fondi pubblici, al solito, in emergenza.

Già l’attuale situazione basta da sola a determinare una discreta carenza di semiconduttori. Se poi la Cina dovesse approfittare dell’attenzione rivolta alla guerra in Ucraina per invadere Taiwan (ipotesi tutt’altro che remota), la crisi dei chip potrebbe esplodere, dato che circa il 60% della produzione mondiale avviene proprio nell’isola est asiatica (Fonte: Truenumbers.it)

Con molto in ritardo e con grave colpa avendo demandato troppe produzioni strategiche a Paesi potenzialmente ostili, l’Europa tenta oggi con l’European Chips Act di invertire la tendenza che la vede attualmente debole attore globale con appena il 9% della preparazione di chip.

In relazione alla nota carenza di chip BCE ed FMI ci fanno sapere di aver stimato un mancato aumento del 2% del Pil UE, sottolineando che la domanda rimane più elevata dell’offerta in tantissimi settori strategici e produttivi, tra i quali il settore trainante dell’automotive (ma abbiamo la sensazione che ciò presto avverrà anche nel campo degli armamenti).

Parlando di volume d’affari, i chip nel 2021 hanno registrato il volume più elevato di sempre, per un totale di 556 miliardi di dollari, addirittura in aumento del 26,2% rispetto al 2020, secondo i dati di Semiconductor Industry Association, che rappresenta un’ottima fetta dei produttori di chip globali, centrando nel 2021 una produzione di oltre 1,1 miliardi di unità confezionate. 

Sia la Banca Centrale Europea che il Fondo Monetario Internazionale ci avvisano che la scarsità di materiali, attrezzature e manodopera potrebbero condizionare molti settori economici, tranquillamente fino al 2023. Possibile dunque immaginare che cosa avverrebbe nel caso in cui Taiwan dovesse finire in mano cinese.

Non solo Taiwan. C’è anche la problematica dell’Ucraina, terra ricca di materie prime necessarie in particolare per i chip. Solo per fare un esempio, l’Ucraina spicca per la produzione di circa il 90% del gas neon (fondamentale nella catena dei semiconduttori), gran parte del quale viene prodotto proprio in Donbass. Oltre al litio, fondamentale per le batterie, ma non solo. Possiamo, dunque, pensare davvero che aggravando la posizione politica e commerciale con la Russia, che attualmente controlla proprio il Donbass, riusciremo ad ottenere un commercio fiorente di materie prime come quello attuale?

Questa carenza, solo per fare un esempio, impatta già in maniera pesante l’automotive, settorenel quale ormai le vetture sono un concentrato di tecnologia. Una carenza che ovviamente non finirà nel 2022, anche secondo uno dei più grandi produttori globali, Advanced Micro Devices (Amd).

Per superare tutto questo, l’UE ha messo in campo 43 miliardi attraverso l’European Chips Act, di cui una miseria di 4 miliardi finiranno in Italia. Con questo progetto l’UE intende “spingere” la produzione dal 9% globale attuale al 20% entro il 2030. Possibile, ma molto, molto difficile. Se il riferimento è il modo in cui l’UE ha gestito in emergenza la pandemia, non c’è di che essere particolarmente ottimisti.

Quello che appare certo, però, è che l’Europa sarà tra le più penalizzate dalla regressione della globalizzazione spinta, modello su cui aveva puntato tutto. Con il rischio, davvero, di tornare al “ventesimo secolo”.

Redazione Giubbe Rosse, seguici su Telegram @rossobruni

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