AMERICAN SUPER STRIKE!

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Indipendenza energetica, zero manifattura, tanti servizi e dollaro forte. Ecco perché l’America parte avvantaggiata in questa crisi rispetto ai propri competitor. L’editoriale di Guido Salerno Aletta.

Fonte: Teleborsa


L’anno si apre con grandi incertezze per tutti, ma la situazione statunitense sembra essere comparativamente la migliore di tutte, soprattutto rispetto all’Europa.
È ben vero, innanzitutto, che negli Usa l’inflazione picchia duro, con il +5,4% su base annua registrato a dicembre, ma il tasso di disoccupazione è sceso al 3,9%: un livello bassissimo rispetto alle percentuali registrate in Europa e soprattutto in Italia, simile a quello del febbraio del 2020, dunque alla vigilia della pandemia di Covid-19, quando era stato del 3,5%.

Merito della politica monetaria espansiva e di quella fiscale estremamente generosa, con gli interventi di emergenza che erano stati varati nel 2020 durante la presidenza Trump, cui si sono aggiunte le iniziative della presidenza Biden.

I risultati del primo anno alla Casa Bianca sono presentati con toni trionfalistici:

  • più di 200 milioni di americani completamente vaccinati
  • 6,4 milioni di nuovi posti di lavoro in un anno, record di tutti i tempi
  • l’approvazione dell’American Rescue Plan e della Bipartisan Infrastructure Law, per la riduzione in via di emergenza della povertà infantile e della disoccupazione ed intervenendo in modo strutturale per creare posti di lavoro, fornire acqua potabile, migliorare strade, aeroporti e ferrovie
  • la più veloce riduzione dei sussidi di disoccupazione mai registrata prima, con i beneficiari ridotti in un anno da 18 a 2 milioni
  • il più basso livello di povertà infantile in assoluto, riducendolo del 32%, e raggiungendo così il più basso numero di famiglie che dichiarano di “non avere nulla o abbastanza per dar loro da mangiare”
  • il raddoppio delle vendite di auto elettriche
  • altri 5 milioni di americani con la polizza sanitaria, favoriti dall’Affordable Care Act che consente di pagare un premio minimo di 10$.

Il quadro internazionale è caratterizzato da:

  • un’alta inflazione, generalizzata, trainata dai prezzi dell’energia, da quelli delle materie prime e dei prodotti agricoli
  • forti preoccupazioni per le strette monetarie da parte delle banche centrali, in primo luogo della Fed
  • incertezze sulla ripresa economica per via della perdurante necessità di controllare i contagi
  • tensioni geopolitiche in Europa, per via della crisi in Ucraina
  • perdurante complessità della gestione del comparto immobiliare cinese.

La posizione americana è comparativamente migliore rispetto a quella dei suoi competitori per una lunga serie di motivi:

  • Non soltanto ha raggiunto la completa indipendenza energetica, ma è divenuto un Paese esportatore netto. Con gli attuali prezzi di mercato, è diventato competitivo anche il trasporto via nave del suo LNG (gas naturale liquefatto). L’aumento dei prezzi mondiali dei prodotti energetici ha dunque migliorato la competitività del gas americano.
  • La produzione agricola interna è straordinariamente rilevante, tanto da farne uno dei principali Paesi esportatori al mondo. Se è ben vero che i prezzi di questi prodotti salgono dappertutto, negli Usa non ci sono i problemi di approvvigionamento dall’estero, che invece incombono ad esempio sulla Cina, per non parlare dei tantissimi Paesi dell’Africa: e si tratta di grandi esborsi in valuta, quasi sempre in dollari.
  • Gli aumenti dei prezzi delle altre materie prime, soprattutto dei minerali necessari per le industrie manifatturiere, dal rame all’alluminio, fino al litio, influenzano poco la produzione americana. Nel 2020, il peso percentuale sul Pnl americano dell’industria manifatturiera è arrivato appena al 10,9%, quello delle produzione automobilistica ad un miserrimo 0,7%. Il settore tessile è quasi inesistente, con lo 0,1%.
  • L’economia americana vive di servizi: tanto per essere chiari, il settore commerciale della vendita al dettaglio delle auto vale l’1,1% del Pnl, molto più della produzione automobilistica che vale lo 0,7% segnalato sopra. Il settore dell’informazione vale il 5,6% del Pnl, mentre il comparto FIRE (Finance, Insurance, Real Estate) vale addirittura il 22% del Pnl: più di un quarto dell’economia americana è dunque assolutamente impermeabile all’aumento dei costi dell’energia e delle materie prime: è un vantaggio comparativamente immenso rispetto alle economie della Cina e della Germania, che sono focalizzate sulla manifattura industriale, trasformando in prodotti finiti i minerali importati.
  • L’America esporta servizi, soprattutto in campo tecnologico e finanziario, mentre importa gran parte dei prodotti della manifattura dall’estero: e saranno i produttori esteri, dai cinesi agli italiani, ai tedeschi a doversi fare carico dell’aumento delle materie prime ed a dover competere tra di loro per continuare a vendere in America.
  • L’aumento dei tassi di interesse da parte della Fed aumenterà l’afflusso di capitali sul dollaro, rendendo più difficile la vita delle imprese e dei Paesi indebitati in dollari che si trovano al di fuori degli Usa, e che quindi non possono beneficiare della dinamica economica statunitense.
  • Le tensioni in Europa, per via della situazione sempre critica in Ucraina e per la dipendenza dal gas russo, non sono minimamente percepite negli Usa: è la lontana periferia che si dimena.
  • In Cina, la “fabbrica del mondo” che importa a tal fine enormi quantità di energia e di materie prime, c’è da assorbire lo shock dei prezzi, nonostante le eccezionali cautele che da anni presidiano tutto il sistema degli approvvigionamenti dall’estero. L’aumento della domanda interna, da diversi anni sostitutivo della dinamica dell’export, può sicuramente soffrire di questa situazione: si registra infatti un allineamento delle condizioni creditizie da parte della PBOC, la Banca centrale cinese, mentre permane in sofferenza il settore immobiliare che pesa quasi un quinto del PIL.

Nella competizione globale non conta tanto la propria forza ma la debolezza altrui.

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