Friedrich Merz: “Lo stato non può salvare ogni azienda”.

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Friedrich Merz, l’uomo che con ogni probabilità succederà ad Angela Merkel alla guida della CDU al congresso del prossimo dicembre. Un tempo indicato come “europeista”, Merz si è rilanciato come esponente dell’ala destra della CDU: quella più fredda rispetto alla cosiddetta “solidarietà europea” e più propensa ad aperture verso la AfD, a sua volta francamente ostile all’Euro. Ciò è valso a Merz l’appoggio di Wolfgang Schäuble, oggi Presidente della Camera Bassa. Storicamente ostile alla presenza di Italia e Grecia nell’Euro, per ben tre volte offrì alla Grecia addirittura una dote, purché accettasse di andarsene.
In questa intervista, Merz scioglie gli ultimi dubbi a chi, vanamente, ancora ne coltivasse. Anzitutto, parla di Währungsverbund, una lega monetaria, che è un qualcosa di meno di una Währungsunion, un’unione monetaria. Non la federazione sognata dal PD, bensì una confederazione, dove ognuno si arrangia, da solo, come può.
In secondo luogo, ascrive all’Euro il merito di aver abbassato i tassi di interesse per “molti paesi partecipanti”: come se a contare fossero gli interessi nominali e non quelli reali; argomento in sé fiacco, quasi svogliato diremmo.
In terzo luogo, dice che gli “aiuti” per l’Italia ci sarebbero già, sottintendendo il MES e la Troika. Sì, la Troika come aiuto… credevamo di averle sentite tutte.
In quarto luogo, denuncia l’Italia in quanto “non ha alcuna grave necessità finanziaria, ma sta cercando, con la scusa del coronavirus, di trovare opzioni di rifinanziamento illimitate per il proprio bilancio pubblico”.
In quinto luogo, coglie l’occasione per precisare che il rifinanziamento illimitato dei singoli Stati “contraddice il trattato UE e non è neppure compatibile con il diritto costituzionale e le normative di bilancio tedeschi”. Insomma, un Nein a tutto tondo.
In sintesi: l’intervista a Friedrich Merz è importante, perché lo qualifica definitivamente come il campione di Wolfgang Schäuble: l’uomo che vuole Italia e Grecia fuori dall’Euro.

– Musso

L’intervista originale in tedesco, ad opera di Frank Pergande, è disponibile sulla pagina della Frankfurter Allgemeine Zeitung. Traduzione di Musso e Filippo Nesi.

Una conversazione con Friedrich Merz sulla prova di sopravvivenza dell'Europa, la lunga strada da percorrere per la presidenza della CDU e il momento in cui si è ammalato di Covid-19

Signor Merz, l’elezione del segretario della CDU avrebbe dovuto avvenire la prossima settimana, ma il congresso straordinario del partito non avrà luogo a causa del coronavirus. Pertanto, è probabile che l’elezione si terrà al normale congresso del partito a dicembre. Lei conferma la sua candidatura?
Da quello che vedo, niente è cambiato per quanto riguarda le candidature. Ma la campagna elettorale interna al partito al momento è ovviamente ferma, ci sono cose più importanti.

Da qui a dicembre il tempo è lungo. I candidati dovranno forse ripresentarsi. Ci saranno congressi regionali o altri formati?
Questo problema, al momento, non mi interessa veramente. Dopo l’estate, quando – si spera – il nostro paese avrà già superato il peggio, parleremo ancora di formati. Penso che decideremo a settembre. In ogni caso, il dibattito interno al partito verterà attorno a due questioni principali: la salute delle persone e la rivitalizzazione dell’economia, insieme a una politica intelligente sul clima e sull’ambiente.

Qual è il livello di appoggio nei suoi confronti nella CDU del NordReno-Vestfalia?
Al momento, posso averne solo un’idea approssimativa. Anche questo aspetto diventerà nuovamente importante solo in autunno.

In un’epoca in cui si sta combattendo il coronavirus, non è esattamente una buona idea che i presidenti dei vari Land si mettano a litigare tra loro a una distanza di un metro e mezzo o due, quella che la gente dovrebbe mantenere.
Tra i presidenti dei Land ci sono discussioni, ma questo è perfettamente normale. Possiamo vedere, ad esempio, in Francia o in America, come uno stato gestito in modo centralizzato mostri tutti i suoi limiti quando si tratta di affrontare una simile sfida. Con il nostro federalismo siamo attrezzati molto meglio. Il processo di formazione dell’opinione tra governo federale e governi dei Land è continuo e biunivoco, da noi non c’è un Presidente di Land che decide da solo, la soluzione migliore si raggiunge dopo una discussione approfondita.

Markus Söder, al momento, è il politico più popolare in Germania e viene improvvisamente accreditato tra i possibili candidati a  cancelliere dell’Unione. Un concorrente per lei?
Di nuovo: al momento non si tratta di chi assume quali posizioni e quando. Markus Söder è un lavoratore infaticabile. Il suo lavoro in Baviera lo svolge benissimo. Ed è un lavoro necessario, perché la Baviera, in particolare, è particolarmente a rischio a causa della sua vicinanza geografica con Austria e Italia.

Il coronavirus l’ha colpita in prima persona. In che modo questa esperienza l’ha cambiata?
Fortunatamente, nel mio caso si è trattato di una cosa leggera e, ovviamente, non ho contagiato nessuno, neanche i miei genitori, che hanno entrambi più di novant’anni e che avevo visitato poco prima della mia malattia. Però, è un’esperienza che ti fa riflettere e ti rende umile, ti fa capire come un evento del genere possa cambiare improvvisamente tutto da un momento all’altro. E come tutti noi dipendiamo da ciò che ci circonda e da come funziona. Ma questa non è una cosa ovvia e, forse, presto tutti noi impareremo ad apprezzare un po’ di più la nostra libertà e la nostra società aperta.

Secondo lei, come possiamo uscire dalla crisi del coronavirus?
L’assistenza sanitaria viene prima di ogni altra cosa ed è giusto sia così. Con la cancelliera e il ministro della salute siamo concordi nel ritenere che sia meglio non avere troppa fretta nell’allentare le restrizioni, per evitare il rischio di dover poi fare marcia indietro. Psicologicamente sarebbe difficile da accettare per la gente. È pur vero che il danno economico aumenta di giorno in giorno, così come il danno alla società nel suo insieme. Molte persone vogliono tornare alla normalità il più presto possibile, qualunque cosa significhi “normale” dopo il coronavirus. Ma lo stato non potrà compensare ogni singola perdita e non sarà in grado di salvare ogni azienda. Economicamente e socialmente parlando, questa è una situazione difficile, molto impegnativa. Dobbiamo assicurarci che nessuno cada in un pozzo senza fondo, ma ci aspettiamo anche che la disoccupazione aumenterà e ci saranno molti fallimenti. Se tutto andrà bene, se saremo fortunati e l’economia globale tornerà a funzionare, allora diventa una prospettiva concreta che l’economia possa rimettersi in piedi nel 2021. In un modo o nell’altro, le conseguenze del coronavirus ci terranno impegnati a lungo.

I pacchetti di salvataggio messi in piedi finora sono sufficienti?
È presto per dirlo. Ritengo prematuro parlare già ora di pacchetti di stimolo. Naturalmente abbiamo bisogno di rivitalizzare l’economia. Ma questo non dipenderà solo dalla domanda, ma anche dal lato offerta. Quel che è certo è che non possiamo che essere grati per la politica di bilancio restrittiva degli ultimi anni. Senza di essa, oggi la Germania non sarebbe in grado di aiutare in questa misura né sé stessa né gli altri. Non facciamoci illusioni: ne usciremo sicuramente, ma con un livello di debito pubblico molto elevato e con un elevato livello di debito privato di molte aziende e, non ultimo, famiglie. Quello che spendiamo ora dovremo nuovamente guadagnarlo in qualche momento nei prossimi dieci anni, a tutti i livelli. Oppure dovrà entrare nelle casse dello stato da un aumento delle tasse. Sono piuttosto inorridito dal fatto che la sinistra tedesca, in una situazione del genere, pensi istintivamente solo ad aumentare le tasse. È come dare un pugno a tutti coloro che, dopo la crisi, dovrebbero rimettere in movimento le aziende e mantenere i posti di lavoro. Nella politica fiscale è necessario, anzitutto, poter scaricare le perdite sugli esercizi successivi potendo contare già su una serie di esercizi in utile nel passato, affinché le aziende possano sopravvivere alla crisi. Se non si riesce a fare questo, allora diventa inutile parlare di politica fiscale.

Che ne sarà dell’Europa dopo il coronavirus?
L’Unione europea si trova probabilmente ad affrontare la più grande prova di sopravvivenza dal momento della sua fondazione. Oggi si discute molto di solidarietà tra gli stati membri, specialmente all’interno dell’unione monetaria. Ma dobbiamo anche tener d’occhio la competitività delle aziende europee in un mercato mondiale che, dopo il coronavirus, sarà probabilmente dominato dalle aziende americane e cinesi ancora più di prima. Ecco perché non possiamo rimanere indifferenti di fronte a ciò che sta accadendo in quei Paesi d’Europa che si trovavano in difficoltà già prima della crisi del coronavirus. Con la maggior parte di loro noi siamo in una lega monetaria [Währungsverbund, ndt] e, forse, tutti impareremo ad apprezzare di nuovo il valore di questa lega valutaria. L’euro ha stabilizzato in modo significativo la nostra area valutaria e molti paesi membri possono ora beneficiare di condizioni molto migliori sul mercato dei capitali, cioè prendere in prestito denaro a un costo molto più conveniente di quanto facessero prima con la propria valuta. Alcuni governi trovano naturale il fatto di poter risparmare ogni anno decine di miliardi. In realtà, non è affatto così scontato, è il risultato della nostra valuta comune [gemeinsame Währung].

Quindi, sì alla solidarietà europea attraverso Coronabond o Eurobond?
Dobbiamo aiutare i paesi che hanno problemi aggiuntivi con il coronavirus senza averne colpa. Ma non dobbiamo nemmeno aprire ulteriori possibilità di finanziamento in Europa, che non verrebbero nemmeno conteggiate nel debito nazionale di ciascun Paese. La scorsa settimana l’UE ha messo a disposizione da tre fonti diverse oltre 500 miliardi di euro. Finora l’Italia non vuole nemmeno accettare gli aiuti. Ciò dimostra che l’Italia non ha alcuna grave necessità finanziaria, ma sta solo cercando, con la scusa del coronavirus, di trovare opzioni di rifinanziamento illimitate per il proprio debito pubblico. Ma questo è in conflitto con il trattato dell’UE e non è neppure compatibile con il diritto costituzionale e le normative di bilancio tedeschi.

Questo, però, non risponde ancora alla domanda fondamentale: come andranno le cose durante e dopo la crisi?
Sono convinto da parecchio tempo che l’UE debba essere finanziata meglio, così da poter finanziare meglio anche i compiti che gli Stati membri le affidano. In questo modo, la responsabilità per le entrate e la responsabilità per le spese verrebbero a coincidere. Le decisioni sui finanziamenti dell’UE per i prossimi sette anni verranno prese tutte nella seconda metà del 2020, ossia durante il periodo di presidenza tedesca. A mio avviso, il tetto dell’1% del PIL non è sufficiente per finanziare l’UE. E viene da chiedersi se il bilancio dell’UE non sarà finanziato da entrate interne più ancora di quanto non succeda già adesso. Ma questo è un tema molto ampio.

La crisi ci insegnerà qualcosa?
Sì, certamente, ci sono anche esperienze molto positive che sicuramente non vorremmo perdere dopo il coronavirus. Ad esempio, sono convinto che ci saranno molte più conferenze audio e video in futuro. Anche dopo la crisi per molto tempo non viaggeremo più così tanto come in passato. Il nostro comportamento sociale cambierà. Mi ha impressionato vedere quante aziende sono riuscite, improvvisamente nel giro di pochi giorni, ad attrezzare i loro dipendenti per il lavoro da casa. Stiamo vivendo uno sviluppo tecnologico sorprendente, quando quasi tre generazioni stanno imparando oggi a comunicare tra loro in famiglia tramite videoconferenza. La digitalizzazione acquisirà slancio. Insomma, il sistema si sta dimostrando resistente, ma questo non significa che potrà reggere all’infinito. In questa infrastruttura digitale sia lo stato che le aziende dovranno chiaramente investire.

Anche lei sta lavorando da casa. Come giudica la sua esperienza?
Mi accorgo ora di quanto tempo trascorriamo per spostarci, tempo che potrebbe essere impiegato in modo più creativo nel lavoro. Il lavoro più importante viene svolto alla scrivania, non in treno, in macchina o durante le riunioni. Il lavoro da casa rallenta questi ritmi, ma crea anche una nuova forma di stress. Il calendario degli appuntamenti è pieno di conferenze audio e video. Il lavoro si condensa, quindi devi essere molto concentrato. Improvvisamente c’è la pressione del tempo, anche se non ci si muove affatto: siamo tutti a casa, quindi possiamo fare rapidamente una telefonata o tenere una videoconferenza. Ecco perché ora sto bloccando tempi di lettura e di lavoro, durante i quali non permetto nemmeno al telefono di interrompermi.

I tedeschi si preoccupano per le loro vacanze. Ha programmi per l’estate?
Mia moglie ed io siamo molto fortunati a vivere nel Sauerland [una regione collinare scarsamente popolata nel sud-est del Nordreno -Vestfalia, ndT], una regione in cui molte persone vengono a trascorrere le vacanze. Fino a nuovo ordine, resteremo semplicemente a casa.

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