UNA MOSTRA CELEBRA TOLKIEN: ATTENZIONE ALLA RETORICA

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Il 15 di questo mese si inaugura a Roma una mostra su Tolkien. Le polemiche sono iniziate già da tempo, nulla di nuovo sotto il sole. Ma qui vogliamo invece segnalare alcuni aspetti essenziali che emergono dall’opera tolkieniana che mostrano quanta retorica vi sia alfine anche in quegli ambienti che negli ultimi decenni hanno fatto di Tolkien un autore di riferimento.

Il prossimo 15 novembre a Roma, presso la Galleria Nazionale di Arte Moderna (GNAM), si inaugura l’attesa mostra su J.R.R. Tolkien, intitolata Tolkien 1973–2023 Uomo, Professore, Autore. Si troveranno esposte oltre 150 opere tra foto, lettere e altri documenti, filmati e ricostruzioni virtuali. Inoltre si potranno vedere alcune prime edizioni dei libri dello scrittore inglese. Un appuntamento senz’altro importante nel cinquantenario della sua morte.

Le polemiche sono iniziate già da tempo, nulla di nuovo sotto il sole. Ma qui vogliamo invece segnalare alcuni aspetti essenziali che emergono dall’opera tolkieniana che mostrano quanta retorica vi sia alfine anche in quegli ambienti che negli ultimi decenni hanno fatto di Tolkien un autore di riferimento: una certa destra e il mondo cattolico conservatore.

Il libro de Lo Hobbit, che dà l’avvio alle storie della Terra di Mezzo, si apre con l’incontro fra Gandalf e Bilbo. È una mattina soleggiata e quest’ultimo se ne sta comodamente seduto sulla porta di casa a fumarsi la pipa dopo aver terminato la sua prima, abbondante colazione. Gandalf gli si para davanti e dopo alcuni buffi convenevoli gli dice: «Cerco qualcuno con cui condividere un’avventura che sto organizzando ed è molto difficile trovarlo».

«Lo credo bene, da queste parti! Siamo gente tranquilla e alla buona e non sappiamo che farcene delle avventure. Brutte fastidiose, scomode cose! Fanno far tardi a cena! Non riesco a capire cosa ci si trovi di bello!» risponde Bilbo.

Nonostante questa prima resistenza, alla fine Bilbo seguirà Gandalf e i Nani in una lunga e pericolosa avventura che lo riporterà sì, alla sua amata Contea, ma lui non sarà più il Bilbo di prima.

In modo analogo prendono il via le avventure de Il Signore degli Anelli. Anche qui vi è qualcuno che parte – Frodo e i suoi compari Hobbit – e anche qui si lasciano le tranquille e serene campagne della Contea per raggiungere l’Oscuro Monte Fato a Mordor. E coloro che faranno ritorno dall’impresa saranno trasformati. Frodo per primo, che non potrà fare più ritorno alla Contea, ma salperà insieme agli Elfi. Ma anche i suoi amici, Sam, Pipino e Merry. E Gandalf il grigio, che nel corso delle avventure, diventerà Gandalf il bianco.

Qui già si delinea il primo elemento che vogliamo porre alla vostra attenzione: la partenza, il viaggio che trasforma coloro che lo compiono. Perché il viaggio esteriore è simbolo del viaggio dell’anima.

Torniamo ora all’inizio de Lo Hobbit. Il primo capitolo si chiama “Una riunione inaspettata”. Ad insaputa del povero Bilbo, Gandalf aveva dato appuntamento ai Nani per una importantissima riunione, proprio nella sua abitazione. L’indomani mattina, il gruppo partirà per la riconquista del tesoro dei Nani. E così avviene anche ne Il Signore degli Anelli, dove alcuni rappresentanti dei popoli che abitano la Terra di Mezzo si uniscono a formare la Compagnia dell’Anello che è poi anche il titolo del primo dei tre libri di cui è composta l’opera.

Insomma, ci ricorda Tolkien, non basta partire, occorre formare un gruppo, anzi un’unione di anime. E l’avventura comporta sfide da superare, battaglie. È un’avventura che si concretizza nelle azioni, nelle opere, nella lotta contro il male per la costruzione di un mondo governato dalla Giustizia e dalla Pace: leggasi bene il finale de Il Signore degli Anelli. Ci si sporca le mani, e non si resta confinati nella propria casa ad intonare canti o a meditare libri. Questo è il tempo di agire, ci rammenta Tolkien, ma perché le azioni siano “ben dirette”, è necessario rendersi disponibili ai Segni che discendono dall’alto, e alle parole di saggezza che possono giungere in qualsiasi momento. Diversamente, sarebbe solo un agitarsi da sciocchi.

Ed infine veniamo al terzo aspetto che qui vogliamo mettere in risalto. Chi sono gli eroi che Tolkien mette al centro delle sue storie? Bilbo viene scelto da Gandalf come scassinatore, per accompagnare i Nani nella loro avventura. E deve vincere le non poche riserve che questi avanzano sul buffo e impacciato Hobbit.

Sempre un Hobbit, un mezz’uomo, sarà colui che riuscirà a salire sul Monte Fato per distruggervi dentro l’Anello del potere.

Mezz’uomini che però hanno la capacità di sorprenderti sempre, come sottolinea Gandalf. Piccole creature a cui nessuno darebbe credito, se paragonate agli Elfi, agli uomini, e persino ai Nani. Nessuno, tranne un canuto stregone col cappello a punta, come Gandalf.

Cerchiamo allora di comprendere più a fondo questi elementi che vi abbiamo voluto sottolineare. Elementi che sono cruciali e mettono a nudo le piccolezze del nostro mondo, anche di quella parte che si vorrebbe autoproclamare paladina delle virtù, dei princìpi, della giustizia, della Vita, della Verità.

Iniziamo dalla chiamata al viaggio e dall’inatteso. Non vi è lotta contro l’Anticristo esteriore che non si accompagni anche alla lotta contro l’Anticristo dentro di noi. Gandalf che getta Bilbo in un’avventura che il piccolo Hobbit crede più grande di lui, ci richiama alla memoria l’immagine di Dio che chiama Abramo a sacrificare il proprio figlio Isacco. Ma Isacco, come ogni personaggio della Bibbia, va letto prima di tutto come sagoma letteraria, per cui esso simboleggia l’Io di Abramo, le sue più profonde convinzioni, l’identità che esso si è costruito. Per Abramo, quindi, puntare il coltello alla gola di Isacco significa dire: «Signore, anche se tu mi chiedessi tutto ciò che ho, tutto ciò che tu stesso mi hai donato, anche tutte le mie qualità, se è per un Bene più grande, io lo farò, anche se la mia piccola mente e la mia piccola fede ora non comprendono. Ma so che alla fine tu mi renderai tutto chiaro». È il riconoscere che ci viene domandato di distaccarci da ciò che pensiamo di essere, da ciò che abbiamo costruito e che crediamo buono e bello, perché a qualcosa di infinitamente più grande siamo chiamati.

E tutto questo avviene ovviamente in modo per noi inatteso, perché altrimenti avremmo il tempo di alzare immediatamente le nostre resistenze. Ma comunque dobbiamo pur rimanere disponibili all’inaspettato, a lasciarci sconvolgere. La chiamata attende il nostro sì.

Cosa vediamo invece attorno a noi, anche. e forse più talvolta, in quei circoli che altro non sono che banalmente reazionari? Staticità. Il granitico aggrapparsi alle certezze conquistate e alle immagini di sé costruite negli anni. Pura e semplice reazione ad un mondo in cui le forze rivoluzionarie hanno preso il timone della nave. E ci si trastulla con questo. Con il reiterare ammuffito di forme del passato che non possono ovviamente essere replicate nell’oggi. Ben altra cosa è infatti la Tradizione. Essa è dinamica e non parla il linguaggio degli uomini, anche se forbiti, ma quello dello spirito che per sua soprannaturale natura è ineffabile e misterico e non si lascia rinchiudere da bei teoremi confezionati dagli intellettuali e teologi del momento. Gli Eterni Princìpi sono sì immutabili, ma il loro incarnarsi prende forme differenti a seconda del tempo in cui ci si trova a vivere. Davvero, dopo millenni, le figure dei profeti, dei santi e dei mistici non ci hanno insegnato nulla?

© The Tolkien Estate Limited

Questi tempi, poi, per chi ha una chiara visione escatologica, sono tempi che chiamano ad una trasformazione, ad una comprensione più profonda e matura dei Misteri e della Vita. Sono i tempi in cui i veli mano a mano cadranno. E beati gli uomini che non temeranno di lasciarli cadere!

Le avventure di Tolkien ci parlano poi del senso della comunità che è preludio al traguardo della comunione delle anime. Mettersi in cammino significa uscire dalla dimensione individualistica. E la nostra era non è forse il trionfo conclamato dell’individualismo? Del mito del farcela da soli? Dell’anonima accademizzazione di ogni “sapere” che ha ucciso perfino l’idea stessa dell’iniziazione del maestro verso il discepolo? Forse che negli ambienti conservatori si respiri un’aria completamente diversa? Abbiamo perduto il senso ultimo che è quello di sperimentarci come corpo, per cui «se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme» (1Cor 12,26). Abbiamo perduto da secoli il senso della responsabilità collettiva e con essa dell’espiazione collettiva. Non accettiamo minimamente che si cade assieme e si avanza assieme. Per cui se qualche membro è in difficoltà gli altri devono subito venire in suo soccorso. Nei racconti di Tolkien, chi combatte non perde mai di vista i compagni ed è pronto a correre in suo aiuto.

E questa compagnia è operosa, costruisce. Dove sono allora oggi tutti questi costruttori di Vita? Ci si bea di fare conferenze, di scrivere qualche bel libro. Parole sterili, senza alcuna dynamis.  Nulla si traduce mai in un fermento che provi ad edificare nuovi palazzi, mentre assistiamo al crollo di questa civiltà. Anzi, al contrario. Stiamo ben attenti a non uscire dai recinti, dalle consuetudini di un disordine sociale che non ha più nulla di umano. Le avventure di Tolkien, invece, ci chiariscono a gran voce come qualunque impresa che ha come fine il Bene, il Bello, il Vero può essere compiuta solamente fuori dagli schemi del nostro abituale pensare e vivere. Fuori dalla “nostra terra”.

Ed infine arriviamo alla figura dell’eroe tolkieniano. Bilbo, come Frodo sono i personaggi da nessun conto, gli invisibili. Eppure sono proprio loro che vengono scelti dal saggio Gandalf. L’occhio di Sauron tutto vede e tutto sente. Ma una cosa non immagina: che a portare l’Anello sia un insignificante Hobbit. Perché il male sa bene come ragionano gli uomini e conosce il loro punto debole: il potere, la vanità. Simboli dell’idolo dell’apparenza, del radicale materialismo che affligge anche le anime che si credono molto religiose. Il piccolo Frodo, invece, riesce a portare il peso dell’Anello, aiutato dal suo fedele amico Sam.

Nella lotta contro il male chi al contrario mandano in prima fila, i cattolici e i conservatori? Le loro punte di diamante. I baroni del conservatorismo. Gli esperti con mille titoli. E così non sentiamo altro che parole già masticate e rimasticate; braci ormai spente e prive di fuoco. Parole che non generano azioni, vita. Vediamo la vanità erigersi da sé una enorme statua. Il risultato: la sovversione avanza sempre più velocemente. Perché lei, sì, continua a creare! E i vari Sauron di questo mondo sogghignano bellamente. Anche questa volta sono riusciti a mettere l’uomo nel sacco, lasciando che esso, da solo, si rendesse innocuo.

Si ha paura del piccolo, del reietto, dello screditato che davanti al mondo non può elencare i suoi successi materiali e culturali. Di colui che “non ha una casa”. Perché dargli credito significherebbe ammettere che tutto ciò su cui anche noi abbiamo poggiato le nostre vite è solo apparenza. Triste retorica e non fiammante Verità.

Nelle migliaia di pagine che compongono l’opera di Tolkien si nasconde una rivelazione che sa squarciare le tenebre di questo mondo, Una luce fortissima, che può abbagliare una mente non svezzata. Si preferisce però addomesticare questa luce, così da renderla artificiosa e alla fine innocua. Si è troppo legati alle “forme” di questo mondo per comprendere realmente l’opera dello scrittore inglese, come di qualunque altro genio che il buon Dio ci ha voluto donare. Ma davanti all’ennesimo fiume di ipocrisia e di retorica era nostro dovere morale scrivere queste righe che sappiamo bene possano urtare i benpensanti e i comodi professorini. Le tenebre incalzano, e i Segni si susseguono. È tempo di lasciarsi scrostare da tutte le consuetudini e i “buoni pensieri” per oltrepassare il velo dell’apparenza. È il tempo degli Hobbit, dei reietti, dei piccoli che possono traghettare questa umanità oltre il precipizio. È il tempo di dar loro forza e voce e di accompagnarli, con spirito di sacrificio, verso l’impresa.

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3 thoughts on “UNA MOSTRA CELEBRA TOLKIEN: ATTENZIONE ALLA RETORICA

  1. Grazie a chi ha commentato e chi ha letto con attenzione. Sappiamo che non è un articolo “facile”, come non lo sono gli altri che scriviamo abitualmente sul cinema. Ma siamo sempre stati convinti che sia urgente portare la riflessione più in là, oltre le secche di un certo conservatorismo.

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