PIANO CINEMA PER LA SCUOLA: È ORA DI TRACCIARE NUOVE STRADE

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Mostra del Cinema di Venezia. Presentata la quarta edizione del Piano Nazionale Cinema e Immagini per la Scuola. Oltre 22 milioni di euro stanziati per indottrinare i giovani non solo con le ideologie dominanti ma anche per ingabbiarli sempre di più nell’unico immaginario sociale ed estetico consentito. Vale la pena leggere le loro parole, perché è ora che ciascuno si assuma la responsabilità di costruire non solo una scuola nuova ma anche un’arte e un cinema nuovi fuori dai binari istituzionali.

Sono i giorni dell’80ma Mostra del Cinema di Venezia. Presso l’Italian Pavilion di Cinecittà all’Hotel Excelsior è stata presentata la quarta edizione del Piano Nazionale Cinema e Immagini per la Scuola, promosso dal Ministero della Cultura e dal Ministero dell’Istruzione e del Merito. I bandi, che verranno pubblicati entro settembre, prevedono per quest’anno uno stanziamento di 22,4 milioni di euro a cui si aggiungono altri fondi non spesi nell’edizione precedente che prevedeva uno stanziamento più che doppio.

Presenti, tra gli altri, il Ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano e il Sottosegretario di Stato al Ministero della Cultura, Lucia Borgonzoni. Quest’ultima ha dichiarato: «L’obbiettivo principale del sostenere, con risorse pubbliche, l’alfabetizzazione audiovisiva e filmica è quello di aiutare gli studenti a sviluppare le abitudini di indagine e le capacità di espressione di cui hanno bisogno per essere pensatori critici (sic!) e comunicatori efficaci». L’ingenua faccia tosta di certi personaggi è sempre stupefacente. Non addentriamoci poi nella disanima dell’espressione “comunicatori efficaci”, essendo la comunicazione una dei miti portanti di quest’era moderna fatta di slogan, suggestione e manipolazione. Con sapiente ironia, diceva qualcuno: «comunicare è da insetti, l’uomo si esprime». Appunto, noi dovremmo formare uomini, ma forse dovremmo ammettere che non ne siamo più capaci. E infatti non sappiamo più esprimerci, ma solo, al massimo, comunicare.

Facendo il punto sui progetti realizzati nel passato anno scolastico, in cui sono stati coinvolti ben 650 mila studenti, all’evento si sono evidenziate le finalità principali tra le quali non possiamo non segnalarvi la “lotta contro l’analfabetismo iconico”, il “contrastare la diffusione della distrazione comunicativa”, la “comprensione critica del presente” e la “diffusione di una cultura visuale capace di dialogare con la rivoluzione digitale in atto”. Credo che sia superfluo ogni commento. Anche il semplice utilizzo di tale linguaggio parla da sé.

E tra le innumerevoli opere realizzate nell’anno scolastico 2022-2023, il documento riassuntivo segnala questa che non possiamo non citarvi. Si tratta di un lungometraggio realizzato in una scuola secondaria della periferia di Milano: Fuoricondotta. Un docufilm sulla ribellione a scuola. Vale davvero la pena leggere la descrizione completa: «Ricomincia la scuola, ogni anno tra difficoltà e problemi, eppure – in ogni momento di vita trascorso nelle mura dell’istituto, in aula e fuori, durante le lezioni – proprio il mondo scolastico continua a rappresentare il luogo e il tempo fondamentali in cui si forma l’educazione e il pensiero (sic!), gli uomini e le donne del presente e del futuro. Qui si scopre sé stessi, il rapporto con l’altro, il senso delle regole e delle vie che solo la libera espressione può percorrere. Il film porta a Milano, ai giorni nostri, in una scuola secondaria di un quartiere di periferia. Racconta la storia di alcuni studenti che, durante una normale mattinata di lezione, decidono di ribellarsi al nuovo Preside. Questi, infatti, si è dimostrato troppo normativo (sic!) nell’imporre regole ferree per riportare l’ordine all’interno dell’Istituto Scolastico. La colpa, a suo parere, è del predecessore, troppo permissivo e tollerante, e quindi decide di proibire le arti, l’intervallo e l’uso del cortile, trasformando la scuola in un luogo estremamente disciplinato ma insensibile alle problematiche e alle esigenze degli studenti. Alcuni ragazzi decidono dunque di fare qualcosa per cambiare la situazione».

Qui potete gustarvi il trailer:

Tralasciando le “qualità artistiche”, oltre alla stanca retorica del preside cattivo che incarna un legalismo ammuffito e dall’altra i ragazzi che vi oppongono la loro vitalità e creatività, che comunque serve a far passare sottotraccia una certa ideologia, l’aspetto più tragico è che quest’opera sia stata prodotta durante l’anno scolastico che rappresentava un ritorno fra i banchi – solo in apparenza normale – dopo la “parentesi” della scuola lager iper-normativa del “periodo pandemico”. Lasciamo da parte ogni stupore, accantoniamo le lamentele, e superiamo una buona volta anche la pur sacrosanta indignazione. Serve molto di più.

Le attività extracurricolari nel percorso della scuola dell’obbligo non sono certo una novità, ma una triste e consolidata prassi da svariati anni. Montagne di ore, spesso tolte all’insegnamento ordinario, che in maniera più o meno esplicita rinvigoriscono l’opera di “forgiare” le giovani menti a partire dalle ideologie e narrazioni dominanti. Ma anche – e questo ahimè non lo osserva nessuno! – a rinforzare quell’unico immaginario sociale ed estetico dentro il quale muoversi, e oltre il quale non può esistere nulla.

Qui però vogliamo soffermarci su un aspetto, fra i molti che si potrebbero toccare, che non può più essere evitato e che a nostro avviso è quello essenziale e profondo.

Durante la fase più acuta della dittatura pandemica da più parti si è sollevata la necessità di ripensare e ricostruire l’edificio della formazione e dell’istruzione. Non solamente iniziando con la creazione di realtà di istruzione parentale di ogni grado, ma anche con percorsi più strutturati per i ragazzi più grandi. In tutti i casi – con estremo ritardo, dovremmo dire – si è riconosciuto come l’istituzione scolastica stia ormai vivendo la sua crisi terminale e quindi irreversibile, iniziata molto tempo addietro e che quindi ha investito più generazioni.

Pur non rifiutando di adoperarsi anche all’interno delle strutture istituzionali, cercando di salvare o restaurare il possibile, la “chiamata” indicava l’urgenza di costruire realtà completamente autonome, fondate su Princìpi che sono estranei all’epoca in cui viviamo. Un compito eroico, ma che bisognava pur incominciare posando le prime pietre del nuovo edificio. E questo nasceva anche dalla comprensione, o forse ancora dalla semplice sensazione, che a crollare nel giro di pochi anni non sarebbe stata solamente la scuola come la abbiamo conosciuta, ma tutta intera questa società nella quale siamo diventati adulti o perfino invecchiati. Che tutte le “forme”, le dinamiche, le strutture che apparentemente reputiamo o abbiamo reputato normali, sarebbero state prossime a dissolversi, perché “molti veli debbono cadere”. E questo germe di consapevolezza non era condiviso solo da coloro che attivamente si stavano adoperando per costruire le fondamenta di queste nuove realtà. Ci chiediamo oggi: cosa ne è stato di questo germe?

Sappiamo bene che alcuni progetti vengono tuttora portati avanti, ma il passo si è fatto enormemente più lento e pesante. Nella pratica, prima di tutto perché quella parte della società civile che si ritiene distante dallo “spirito di questo mondo” ha abdicato al suo ruolo di protagonista attivo in quest’opera creatrice. Ma la radice del problema è molto più profonda e “invisibile” perché di natura squisitamente intellettuale e riguarda tutti, o quasi, anche coloro impegnati in prima linea nell’opera. Ci si è arrestati alla sensazione di un mondo in agonia, ma non si è davvero compresa l’origine della sua crisi e a quale “risoluzione” ci si doveva preparare, prima di tutto interiormente. Si è agito per “reazione” ad un’emergenza di giustizia e di libertà, ma terminata la fase acuta, ognuno è rientrato nel suo recinto conosciuto: la vita di sempre, il gruppo di sempre, il lavoro di sempre. Ciò che sembrava essersi imposto come un’urgenza per cui ci si batteva per la vita contro la morte, è diventata uno scopo accessorio. A cui dedicare il tempo che resta.

Non si è voluto credere che l’intero “evento pandemico”, su di un piano molto più alto rispetto allo scontro fra poteri e popolo, fosse un Segno che parlava a tutta l’umanità per mostrarle l’abisso in cui era precipitata. Un Segno, pertanto, che si rivolgeva tanto ai “buoni” che ai “cattivi” e che mostrava in maniera esplicita, come ci fossimo tutti, e ribadiamo tutti, allontanati irreparabilmente dalla Vita, dalla Bellezza, dalla Giustizia, dalla Sapienza. E non certo solo negli ultimi anni!

Ma questa umanità non ha saputo e voluto leggere il Segno per il semplice e tragico motivo che da tempi ormai lontanissimi non crede più all’esistenza dei segni. Si accontenta infatti, al massimo, del pensiero critico, ovvero del retto uso di ragione. Ma questo non ci rende ancora pienamente uomini. Per divenirlo dobbiamo raggiungere la luce del pensiero simbolico. Ciò che allora avrebbe dovuto infuocare tutti noi di uno slancio mai veduto, di un coraggio e di uno splendore di pensiero inimmaginabili, si è ridotto a stasi, a passività, a rachitismo culturale dove non si riesce mai a proporre una riflessione che non attacchi “una parte” e faccia sentire l’altra come depositaria dell’intera verità. Perché non c’è nulla da cercare che sia nascosto, nulla di nuovo che getti una luce diversa anche sull’intera nostra storia passata. Tutto è già chiaro ed evidente.

Smorzati gli entusiasmi sulla scuola, parrebbero terminate anche le invettive al mondo dell’arte – e al cinema in modo particolare – per essere triste organo di propaganda, monotona voce incapace di qualsiasi guizzo e genialità. E il motivo è il medesimo. Non si è voluto accettare che eravamo i destinatari di una “chiamata” al cambiamento, anzi ad una metanoia, che doveva investire ogni aspetto delle nostre vite, singole e collettive.

Non abbiamo gettato le basi per un’idea diversa di scuola e formazione. Non abbiamo gettato le basi per un’arte veramente libera e che sappia proporre un immaginario che oltrepassi la cornice di “questo mondo”. E questo è un compito che chiamava e chiama in causa ciascuno di noi, indipendentemente da quale sia la nostra attuale posizione nella società. Non c’è più alcuno spazio per la delega. È una chiamata alla responsabilità totale.

L’arte va liberata in un solo modo, e chi scrive lo dice da molti anni, ben prima della questione covid, ed opera in prima persona: bisogna tornare al mecenatismo, alla parte sana della società civile che si fa carico, economicamente e non solo, della costruzione di un movimento artistico nuovo e genuino. I fondi pubblici servono solo a rinforzare le ideologie, le poetiche, le narrazioni che l’attuale società vuole, o al massimo tollera. Quei milioni di euro che lo Stato riversa sulle scuole che presenteranno i progetti di cultura cinematografica, potrebbero essere messi a disposizione per creare opere dal respiro completamente diverso. Ma per fare tutto questo occorre per prima cosa comprendere a fondo quale tempo “eccezionale” siamo stati chiamati a vivere e quale nuova direzione devono prendere le nostre vite. Molti, troppi, che a parole si dicono estranei allo spirito di questo tempo, vogliono in realtà solamente essere lasciati in pace, lì dove sono, lì dove hanno costruito la loro esistenza, la loro identità. Il male appartiene solo alla parte contraria.

Una scuola diversa, un’arte e un cinema diversi, un’umanità diversa non sono solo possibili, ma sono un dovere. Dipende solamente da noi, da ciascuno di noi. Ma occorre passare per questa strettoia: comprendere e accettare il significato del Segno, entrare in crisi e riconoscere di aver vissuto nel dormiveglia se non addirittura nel sonno profondo, adoperarsi attivamente per costruire nuove realtà totalmente al di fuori dei binari istituzionali. Senza più bramare soluzioni, senza più essere schiavi del mito della vittoria, ma semplicemente rispondendo ad una chiamata che è divenuta un fuoco che ci arde dentro. Un secolo fa Pio XI proferiva queste parole che suonano ancora più urgenti per noi oggi: «Il bene e il male sono alle prese, nella nostra epoca, in un duello gigantesco: nessuno ha il diritto di essere mediocre nell’ora presente». Ognuno si chieda se vuole ancora restare un mediocre.

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