COLLASSO

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L’Ucraina si rifiuta di accettare l’impossibilità di vincere. La NATO è intrappolata nel suo investimento politico e propagandistico in questa guerra e la Russia non ha fretta di porre fine al conflitto. A questo punto, forse la via d’uscita più rapida (e soprattutto sicura) sarebbe un crollo improvviso dell’esercito ucraino. Ipotesi per nulla infondata.

Perché non si è verificato

Già lo scorso anno mi chiedevo quanto ancora avrebbe resistito l’esercito ucraino prima di collassare. Ritenevo infatti che l’impatto delle forze russe – sia materiale che psicologico – unito alla consapevolezza dell’impossibilità della vittoria, avrebbe finito col determinare una rottura del fragile equilibrio che sempre tiene in piedi un esercito.
Nell’antichità, a porre fine alle guerre era quasi sempre una battaglia decisiva; ed a decidere quella battaglia era a sua volta, quasi sempre, il momento in cui uno dei due eserciti riusciva a spezzare lo schieramento nemico, producendo dapprima lo sfondamento delle linee nemiche, poi la fuga disordinata delle schiere avverse – o, nel migliore dei casi, la loro ritirata. Battaglie e guerre, quindi, erano assai spesso decise nel momento in cui si determinava un collasso in uno dei due schieramenti.
Ovviamente, oggi questo tipo di determinazione è pressoché ormai scomparso. Le guerre non si vincono solo sul campo di battaglia. Ma, se l’esercito collassa, qualsiasi altro elemento cessa di avere valore, e ne consegue la sconfitta.

A questo punto, pertanto, c’è da chiedersi come mai l’esercito ucraino non sia collassato, e se vi siano elementi (realisticamente prevedibili) che possano determinare tale evento. Non si tratta qui, ovviamente, di stabilire un nesso causale deterministico tra questo ipotetico collasso e la fine del conflitto, ma sicuramente – stante la determinazione dell’attuale leadership ucraina a rigettare qualsiasi ipotesi negoziale, e l’incapacità della NATO di darsi un obiettivo strategico conseguibile – questo rimane uno dei possibili scenari capaci di porre fine alla guerra, nonché (come vedremo) di modificarne non poco l’esito.
Tanto per cominciare, possiamo chiederci quali sono gli elementi che hanno fatto sì che l’evento non si concretizzasse. A mio avviso vi sono almeno tre fattori che lo hanno (sinora) impedito.
Il primo, ovvio, è motivazionale: per buona parte dei militari in servizio al fronte, ed indipendentemente dalle singole opinioni sulle ragioni del conflitto (e nel conflitto), si tratta di difendere la patria da un attacco esterno.

Il secondo fattore è costituito dalla propaganda martellante. Tutto il sistema mediatico occidentale (nel quale l’Ucraina è completamente inserita) in questo anno e mezzo ha alacremente lavorato nel nascondere le sconfitte e le perdite, nell’esaltare il supporto della NATO, e nel dipingere i russi come i cattivi per antonomasia. Quest’ultimo elemento, va ricordato, si colloca in un contesto di feroce russofobia, che attraversa l’Ucraina da un decennio, tra il nazionalismo governativo e quello feroce delle ampie formazioni naziste. Inoltre, l’idea che alle brutte sarebbe intervenuta direttamente la NATO, alimenta la fiducia in un possibile rovesciamento delle sorti.
Terzo elemento, il fatto che la Russia abbia concentrato i suoi attacchi nelle retrovie sulle strutture militari, ha consentito alla popolazione civile di continuare una vita quasi normale (a Kiev e Lviv, i giovani vanno in piscina e in discoteca, come se non ci fosse una guerra) [1], mentre la ferrea censura sul numero dei caduti occulta la portata delle perdite. Ne consegue che la società ucraina, nel suo complesso, non soffre esageratamente il conflitto, ed i suoi militari restano privi di una visione complessiva, che gli restituisca la dimensione del disastro.

E naturalmente, il fatto che la linea del fronte sia per certi versi stabile, e non registri clamorosi mutamenti, rassicura i combattenti sul fatto che il loro impegno e sacrificio produca risultati tangibili; essendo stati convinti che la Russia voglia invadere l’intero paese, pensano di stare impedendo che ciò accada. Del resto, come esaminato in precedenti analisi, questa è la distorsione prospettica che acceca l’intero occidente collettivo, e persino le sue leadership politiche e militari, e non c’è quindi di che stupirsi.
Se passiamo invece ad esaminare i fattori critici, per la tenuta dell’esercito ucraino, ne troviamo svariati, e non certo di poco conto.
Il principale è ovviamente l’incidenza delle perdite. Ormai anche le fonti semiufficiali occidentali concordano su una cifra di circa 400.000 uomini perduti, tra caduti accertati e dispersi. A questi vanno aggiunti i feriti, che possiamo calcolare solo approssimativamente, basandoci sul normale rapporto numerico che intercorre tra questi ed i caduti, che si aggira tra i 4:1 ed i 3:1; il che porta a stimarne il numero tra 1.200.000 ed 1.600.000. Nel valutarne l’impatto va certamente considerato che il primo è il totale di quanti sono morti, mentre il secondo (che possiamo stabilire mediamente intorno ad 1.400.000) è il totale di quanti sono stati feriti. In parole povere, il primo è un dato che segna perdite definitive, il secondo è un dato che raccoglie perdite solo temporaneamente tali.

Perché si potrebbe verificare

Naturalmente una parte dei feriti rimane inabile al servizio [2], un’altra parte richiede una lunga degenza prima di poter riprendere il proprio posto nell’unità di appartenenza, mentre per altri è sufficiente una medicazione sul posto o un breve passaggio in un ospedale da campo nelle retrovie. Nel corso di questa guerra gli ucraini hanno avuto spesso difficoltà logistiche nel recupero dei feriti, sia per l’intensità del fuoco russo che per la scarsità di mezzi, e questo ha ovviamente fatto aumentare l’incidenza sia dei decessi che dell’aggravamento delle ferite.
In ogni caso, sia i morti che i feriti (questi ultimi anche solo temporaneamente) sottraggono forza combattente ai reparti, ed incidono non solo sull’efficacia operativa, ma anche sul morale delle truppe.
C’è inoltre da tener conto, al riguardo, anche di un altro aspetto. Come comincia ad emergere con sempre maggiore chiarezza, il conflitto ucraino ha fatto da terreno di coltura perfetto per svariate attività criminali, dal traffico d’armi a quello di bambini, a quello di organi [3].

Com’è noto, le precondizioni necessarie per l’espianto di organi sono l’immediatezza (subito dopo il decesso) ed un luogo attrezzato all’uopo. Anche se il governo Zelensky si è premurato di offrire una copertura legislativa, rendendo possibile l’espianto anche in assenza del consenso dei parenti, queste due condizioni materiali sono ineludibili. Pertanto è chiaro che ciò significa due cose molto semplici: la presenza di centri di espianto in prossimità della linea del fronte, e la possibilità di dirottarvi tempestivamente i feriti più gravi – vogliamo sperare quelli che al triage vengono considerati insalvabili.
Già solo questi due elementi richiedono una rete di complicità di base, tra medici, infermieri e personale della sanità militare. Ed è impensabile credere che tale rete possa rimanere del tutto ignota a lungo; quantomeno il sospetto deve essere arrivato ai reparti di linea. Così come il timore che si possa essere avviati un po’ troppo sbrigativamente verso questi centri. Tutte cose che non favoriscono certo la saldezza psicologica degli uomini al fronte.
Sempre relativamente alla questione delle perdite umane, va considerato che queste si riflettono direttamente sulla capacità di combattimento non solo sul piano quantitativo, ma anche su quello qualitativo. Ogni volta che un soldato esperto muore o viene ferito, viene sostituito (appena possibile…) da un coscritto, senza alcuna esperienza di combattimento. L’impatto sull’efficienza operativa è evidente, ed è ancor più significativo quando a venir meno sono sottufficiali ed ufficiali di truppa, per i quali addestramento ed esperienza sono assai più rilevanti.

C’è infine da tener presente un ultimo fattore di depauperamento dell’esercito ucraino, ovvero i prigionieri di guerra. Nonostante dovrebbe essere prassi normale che nominativo e numero di matricola dei prigionieri siano segnalati alla Croce Rossa Internazionale (che a sua volta li trasmette al paese cui appartengono), è estremamente difficile avere numeri, anche solo approssimativi. I pochi elementi su cui possiamo avanzare delle stime ipotetiche sono, ovviamente, di parte russa. Quello che sappiamo con certezza è che, solo nella resa dell’Azovstal, furono fatti prigionieri oltre duemila ucraini; e poco più di un anno fa, le autorità delle repubbliche di Donetsk e Lugansk dichiararono di detenerne circa 8.000. Nel frattempo ci sono stati vari scambi di prigionieri, anche se hanno quasi sempre riguardato piccoli gruppi – in genere poche decine o un centinaio di uomini. Da quando gli ucraini hanno lanciato la loro controffensiva, infine, sembra che siano aumentati i casi di interi reparti ucraini che si consegnano spontaneamente ai russi. Riassumendo, si può ipotizzare una cifra tra i 10 ed i 20.000 uomini attualmente prigionieri dei russi.

A conti fatti, questi numeri ci restituiscono un quadro dell’impatto delle perdite sul potenziale bellico ucraino. Possiamo ragionevolmente pensare ad un totale – tra caduti, dispersi, feriti gravi e prigionieri – intorno ai 500.000 uomini, sottratti alla forza combattente (ed al paese). Da un certo punto di vista, può apparire una cifra non esageratamente significativa, specie se paragonata a quella di altri conflitti moderni. Ma questa va comunque posta in relazione alle condizioni specifiche del paese.
Tale relazione diviene assai rilevante, non tanto rispetto alla popolazione residua totale [4], dalla quale sarebbe ancora possibile attingere ampiamente con nuove mobilitazioni (in teoria, anche sino a 4 milioni di richiamati) [5], quanto alla capacità/possibilità di addestrarli ed armarli.
Notoriamente, sono questi – già oggi – i fattori critici con cui deve confrontarsi l’esercito ucraino. Da questo punto di vista, quindi, la questione cruciale non è la disponibilità o meno di ulteriore carne da cannone, ma la possibilità di farne – sia pure sommariamente – una forza combattente.

E con questo, arriviamo agli aspetti materiali della questione.
La guerra ucraina, come è stato detto più volte, è un conflitto ad elevatissimo consumo, e le perdite materiali non sono meno cruciali di quelle umane, anche se certamente meno dolorose. Siamo quindi dinanzi ad una guerra in cui la produzione bellica, e la capacità di riparazione, sono fattori decisivi. Ciò mette l’Ucraina in una condizione di ulteriore inferiorità, poiché la sua capacità – in entrambe i settori – è assai limitata; e comunque sarebbe (ed è) esposta ai colpi delle forze aerospaziali russe, che hanno il completo dominio dell’aria.
Il fatto di condurre poi una proxy war, e quindi di essersi trovati nella condizione di un esercito dopato dalle forniture NATO, ha reso la situazione ancor più complicata, poiché sia la produzione che la riparazione è dislocata altrove (il che, per quanto riguarda quest’ultima, significa tempi più lunghi), e dipendono comunque completamente dalla disponibilità e volontà dei paesi sostenitori.
Attualmente, questo flusso è in rallentamento, se non proprio in crisi, sia per l’esaurimento delle capacità immediate dei paesi NATO, sia per una crescente insoddisfazione di questi circa l’uso che viene fatto del materiale bellico fornito.

Le forze armate ucraine sono quindi dinanzi alla prospettiva che, mentre la guerra mantiene i suoi elevati standard di consumo, le proprie capacità di tenere il ritmo si affievoliscono.
Oltretutto – e di ciò la leadership militare ucraina non può non essere consapevole – si trovano nella difficile situazione di dover consumare uomini e materiali anche solo per rispondere alle esigenze politiche e propagandistiche dei paesi NATO. Basti pensare che, in soli due mesi di tentativi offensivi, sono andati perduti carri armati e mezzi corazzati equivalenti a circa il 30% del totale ricevuto nel corso del 2023. E tutto per una penetrazione che, nel migliore dei casi, non è andata oltre un chilometro in profondità [6].
È chiaro, inoltre, che questo tipo di disponibilità occidentale si sta esaurendo, un po’ per effettiva mancanza di mezzi da inviare, un po’ per una crescente riottosità a passare dagli annunci roboanti all’effettivo invio. La Germania, per dire, che aveva promesso di inviare 100 Leopard 1, sinora ne ha mandati appena una decina…

Si è più volte detto che i trasferimenti di materiale bellico dalla NATO all’Ucraina sono sempre stati di qualità medio-bassa, insufficienti quantitativamente, e troppo scaglionati nel tempo. Ma, con l’ondata di trasferimenti primaverili che dovevano servire per la controffensiva, il flusso ha ormai raggiunto il suo apice. Ragion per cui, essendo ormai in via di esaurimento la possibilità di inviare carri MBT, corazzati da combattimento ed artiglierie (per non parlare del munizionamento), il focus si sta lentamente spostando verso altre tipologie di sistemi d’arma.
È adesso la fase dei missili a lungo raggio, come gli Storm Shadow britannici e gli omologhi francesi (SCALP), presto arriveranno i Taurus tedeschi, e forse il prossimo anno gli F-16.
Il punto è che si tratta di sistemi d’arma il cui rifornimento è ancora più limitato (oltre che più oneroso) [7], e che soprattutto ha praticamente un impatto zero sulle effettive possibilità dell’esercito ucraino.

La fornitura dei caccia bombardieri F-16, ad esempio, che sarà per l’ennesima volta propagandata come la panacea risolutiva, sarà assolutamente irrilevante. Non solo perché – è notizia di questi giorni – i piloti ucraini che saranno addestrati sono solo 8 (problemi di sufficiente conoscenza dell’inglese…), ma perché – se tutto va bene – ne saranno trasferiti una decina.
Dieci caccia, pilotati da ufficiali senza esperienza di combattimento con quello specifico velivolo, che dovranno vedersela con la fortissima contraerea russa, con la capacità nemica di colpire anche il più remoto aeroporto del paese, e che comunque dovrebbero contrastare in efficacia la seconda flotta di aria al mondo (4.173 velivoli)! È fin troppo evidente l’assoluta inutilità. Ciò di cui semmai avrebbe bisogno Kiev sono 5/600 carri MBT moderni, un migliaio di corazzati, centinaia di pezzi d’artiglieria e milioni di proiettili; e tutto insieme, non a spizzichi e bocconi [8]. Solo che è semplicemente impossibile, se pure volesse (e non ne ha la minima intenzione) la NATO non potrebbe fornire una tale quantità di mezzi neppure tra 4/5 anni.

Siamo quindi, e sempre di più, nell’ambito della pura e semplice propaganda.
Ma mentre capacità e volontà di continuare a sostenere le forze armate ucraine, da parte della NATO, sono in calo tendenziale, la consunzione cui sono sottoposte dalla guerra d’attrito portata avanti dalla Russia non si arresta. Di là quindi dalla tenuta psicologica e morale delle truppe (e vi sono non pochi segnali di cedimento), la questione fondamentale diventa: sino a quando l’esercito ucraino manterrà una capacità di combattimento, tale quanto meno da non farsi travolgere dalle forze russe?
A parte le mosse ad effetto, come cercare di colpire nuovamente il ponte di Kersh, attaccare la flotta russa nel mar Nero, o colpire Mosca con qualche drone – tutte cose che fanno notizia nei tg occidentali, ma a cui fa seguito una risposta devastante da parte russa [9] – il problema è chiaramente sul terreno. L’esercito ucraino non ha più una capacità offensiva, neanche a livello tattico, d’un qualche peso. La sforzo che continua a portare avanti, quasi per forza d’inerzia, e che sta pagando amaramente, sembra rispondere più all’esigenza di mantenere aperto il cordone ombelicale con la NATO (e ritardare una possibile offensiva russa) che non alla convinzione di poter mutare il quadro strategico.

Sinora le forze armate russe hanno impostato una guerra di logoramento, che tiene insieme il massimo risparmio delle proprie forze e la massima consunzione di quelle nemiche. Strategicamente, continuano ad attirare le forze ucraine in battaglie tattiche, da cui queste ultime escono pesantemente decurtate.
Tra la progressiva riduzione del sostegno militare occidentale da un lato, e consumo del proprio potenziale umano e materiale dall’altro, l’esercito ucraino si trova tra l’incudine ed il martello [10].
E chiaramente, in questa situazione prima o poi si determinerà – da qualche parte lungo i mille chilometri della linea di fronte – un cedimento. Sarà magari quest’inverno, o la primavera prossima; o magari ancora più in là. Ma ad un certo punto un settore del fronte cederà, e le forze russe sfonderanno. Ed allora ci sarà, di fatto, il collasso [11]. Il cedimento si allargherà a macchia d’olio, investendo l’intera linea di contatto. Le forze armate ucraine cesseranno di offrire una resistenza organizzata, e le armate russe si spingeranno sin dove vorranno.

Molto semplicemente, se non negozieranno prima che l’esercito ucraino si avvicini al punto di rottura – e dovranno farlo alle condizioni della Russia, quanto più tardi vi accedono tanto più dovranno cedere – l’Ucraina e la NATO si troveranno nella condizione oggi provocatoriamente auspicata da Medvedev, il vae victis. Ma attenzione, il breakeven point non è il collasso ucraino, ma il momento in cui apparirà chiaro che è prossimo ed inevitabile.
Da quel punto in avanti, Mosca non avrà più alcun interesse a negoziare. E se, ancora oggi, continua a sostenere che il suo obiettivo non prevede di estendersi oltre i quattro oblast annessi alla Federazione Russa, potrebbe invece considerare utile e fattibile spingersi ad ovest sino all’oblast di Odessa – che a quel punto sarebbe facile da liberare, diversamente da quanto non sia adesso. In fondo, mettere al sicuro il mar Nero, e la propria flotta, togliendo alla NATO ogni possibilità di avervi una sponda, sarebbe il coronamento dello sforzo sostenuto.


1 – L’ONU conteggia poco più di ottomila vittime civili in Ucraina, anche se – accodandosi alla propaganda occidentale – stima che siano molte di più. Se consideriamo che durante la guerra civile (2014-2022) le vittime civili nel Donbass sono state 17.000, e che – contrariamente a quel che fa con i caduti militari – l’Ucraina ha tutto l’interesse a gonfiare questo dato, anche a volerlo stimare in 10.000 risulta evidente che siamo lontani anni luce dalle vittime civili provocate dalle guerre NATO. E che, comunque, l’impatto psicologico sulla popolazione civile è, sotto questo aspetto, pressoché irrilevante.

2 – Secondo alcune fonti, ad esempio, durante questi ultimi due mesi di tentativi di offensiva, si sarebbe elevato di molto il numero di soldati rimasti privi di almeno un arto, soprattutto in conseguenza dei vasti campi minati russi. La stima parla di 20/30.000 uomini (50.000 dall’inizio del conflitto).

3 – Secondo notizie non verificate, vi sarebbe tra l’altro un traffico con destinazione Turchia, che passerebbe attraverso una triangolazione con l’Italia, dove opererebbero cliniche compiacenti. L’ipotesi, quantomeno per quanto riguarda il ruolo di cliniche italiane, mi sembra improbabile, se non altro per ragioni logistiche.

4 – La popolazione ucraina, tra il 1991 – anno dell’indipendenza – ed il 2022, ha perso quasi 20 milioni di abitanti, tutti in conseguenza di una forte emigrazione. Situazione poi aggravata, a seguito del conflitto, dalla fuga dei profughi e dal passaggio sotto l’autorità russa di alcuni milioni di abitanti.

5 – Nonostante non abbia ancora effettuato una vera e propria mobilitazione generale (ma una serie di mobilitazioni parziali, spesso territorializzate), e l’estensione delle classi mobilitate sia scarsa e variabile, tra il 2022 ed il 2023 le forze armate ucraine avevano in servizio circa un milione di uomini (più o meno il triplo dei russi impegnati nel conflitto).

6 – Zelensky e lo Stato Maggiore ucraino sventolano continuamente un riconquista di circa 60 chilometri quadrati (quasi tutti all’interno della grey zone), quando i russi, in pochi giorni di offensiva nel settore di Liman, in questo stesso periodo ne hanno liberati una quarantina.

7 – Ad esempio, uno dei sistemi d’arma trasferiti nell’ultimo anno all’Ucraina, è costituito da moderni complessi di difesa aerea come i Patriot, i Nasam, gli IRIS-T tedeschi ed i sistemi di difesa aerea Crotale francesi. Ma – come scrive The Times, citando un colonnello ucraino – questi sistemi “sono ostacolati da un enorme problema di carenza di munizioni. (…) Non si può pianificare una guerra con una produzione annuale di 150-160 missili Patriot. Li abbiamo esauriti in un mese…Non si può pianificare una guerra con una produzione annuale di 150-160 missili Patriot. Li abbiamo esauriti in un mese…”.

8 – Naturalmente queste cifre (indicative) avrebbero senso solo fosse possibile un utilizzo di tali forze concentrato nel tempo e nello spazio. Anche a prescindere dalla potenza dell’industria bellica russa, enormemente maggiore di quella occidentale), Mosca può contare su sterminati arsenali di epoca sovietica. Mentre i paesi NATO, ad esempio, hanno praticamente svuotato gli arsenali di vecchi mezzi dismessi, in quelli russi ci sono ancora almeno 60.000 carri armati.

9 – Dopo gli ultimi attacchi ucraini di questo tipo, è cominciata un’ondata di bombardamenti ed attacchi missilistici su tutta l’Ucraina, andata avanti per più di due settimane di fila.

10 – Questa è anche l’espressione con cui si suole indicare una manovra tattica tipica di Alessandro Magno: mentre la famosa falange macedone avanzava al centro, col suo muro di sarisse, sull’ala destra la cavalleria pesante sfondava le difese dell’ala sinistra nemica e poi subito convergeva al centro, spingendo il grosso delle forze avverse contro la falange, e quindi – appunto – schiacciandolo tra questa (l’incudine) e la cavalleria (il martello).

11 – “Un esercito sconfitto e uno distrutto sono due cose diverse. Un esercito semplicemente sconfitto in battaglia può spesso ritirarsi con successo, riformarsi e ricostituire la propria forza, come fece Roma dopo l’umiliazione di Cannae, distruggendo alla fine la sua grande rivale, Cartagine. Ma quando interi eserciti si spezzano, quando perdono la volontà di combattere, anche l’intera nazione può spezzarsi. È quello che è successo ai grandi imperi nella Prima Guerra Mondiale ed è anche il destino che attende l’esercito ucraino.”, in: Michael Vlahos, “The Ukrainian Army Is Breaking”Compactmag.com

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3 thoughts on “COLLASSO

  1. Il fattore è la potente propaganda della russia e dei suoi scagnozzi. Il loro intero sistema mediatico (in cui la Russia è pienamente inclusa) ha lavorato duramente nell’ultimo anno e mezzo per nascondere sconfitte e perdite, promuovere il sostegno ai loro partner e corrompere utili idioti. Descrivendo gli ucraini come nazifascisti e i loro partner come cattivi assoluti. Va ricordato che quest’ultimo elemento è collocato nel contesto della brutale ucrainofobia e fobia antioccidentale che attanaglia la russia da un decennio, tra il nazionalismo del governo e il feroce nazionalismo delle principali forze naziste.
    Ma soprattutto la russia crede in un possibile scherzo del destino e ispira l’idea che la NATO possa intervenire direttamente in questi eventi.

    1. Mi spiace dirlo, ma ho l’impressione che lei viva in una realtà parallela e rovesciata, una sorta di Matrix…
      Le auguro, se non altro, che il risveglio alla realtà non sia per lei troppo traumatico. 🙂

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