LA SINEDDOCHE DELLE CLUSTER BOMB

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C’è una guerra reale, che si combatte sul campo, e una guerra mediatica, che non segue gli eventi, ma il wishful thinking dei leader occidentali e della stampa. In questo contesto, le munizioni a grappolo, vendute come ennesimo “game changer”, diventano la sineddoche dell’approccio occidentale al conflitto russo-ucraino. Un approccio in cui è la fantasia a guidare la realtà e non viceversa.

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Quando all’inizio della guerra russo-ucraina si ventilò l’ipotesi che i russi stessero utilizzando questo tipo di munizionamento, la Casa Bianca parlò di ‘crimine di guerra’ e ‘violazione del diritto internazionale’.

Il 28 febbraio 2022 Jen Psaki, allora portavoce della Casa Bianca, affermò, rispondendo alla domanda di una giornalista, che l’uso di munizioni a grappolo costituirebbe un crimine di guerra. Si noti l’enfasi sul fatto che queste bombe, che gli Stati Uniti stanno ora fornendo all’Ucraina, uccidono civili.

Adesso la stessa Casa Bianca ha deciso di fornirle all’esercito ucraino (vedi video qui sopra). La questione, qui, non è tanto l’ipocrisia ed il doppio standard – che ormai sono la costante assoluta della politica internazionale statunitense – quanto le vere ragioni di questa decisione.

Non si tratta infatti di una qualche forma di escalation – l’ennesima – ma, in realtà, del suo opposto. Il punto è che gli USA hanno deciso di fornire questo tipo di munizionamento (stoccato dagli anni ’80) per la semplice ragione che hanno esaurito la capacità di fornire munizionamento convenzionale. Le cluster bomb, quindi, in un momento in cui l’Ucraina cerca disperatamente di conseguire qualche successo con una mezza offensiva, servono a sopperire un deficit di munizioni per l’artiglieria di grosso calibro.

Sfortunatamente – al di là del pericolo per i civili – le cluster bomb sono molto meno efficaci rispetto a quelle che sono le attuali esigenze ucraine. In questo senso, perciò, è possibile parlare di de-escalation.

In un certo senso, di episodi simili è piena la breve storia degli aiuti militari occidentali all’Ucraina. Fondamentalmente, questi sono sempre stati ispirati al conseguimento di due obiettivi: il prolungamento della guerra (e quindi evitare che una qualche accelerazione la potesse abbreviare), ed evitare che armamenti sofisticati finissero in mano russa. Da qui una certa riluttanza a fornire armamenti troppo moderni, ed in quantità significative. Basti pensare ai carri MBT Abrams, promessi per forzare la mano alla Germania affinché fornisse i Leopard, ma che non sono mai arrivati a Kiev…

C’è davvero una sfilza di casi clamorosi, dai 5000 Javelin malfunzionanti agli M109 italiani (praticamente dei rottami). Nota a margine: recentemente Zelensky ha avuto modo di affermare che conosce dettagliatamente il contenuto degli arsenali dei paesi NATO, e che su tale base avanza le sue richieste. Cosa che sembra confermata da altri elementi (ad esempio, i semoventi M109 furono esplicitamente richiesti). In pratica, l’Alleanza Atlantica ha fornito a Kiev informazioni riservate, affinché potesse fare le sue scelte consultando una sorta di catalogo Amazon degli armamenti NATO…

Ma adesso, se partiamo dal particolare per andare al generale, possiamo porci delle domande più stringenti. Se è vero che buona parte delle forniture occidentali all’Ucraina sono in realtà fondi di magazzino, più o meno inservibili e/o inadeguati, come mai adesso i paesi dell’Alleanza Atlantica sono tutti in seria difficoltà nel fornire il necessario, affinché l’Ucraina non soccomba?

La risposta è in realtà molto semplice. Hanno sbagliato i calcoli. È evidente che, quando gli USA e la NATO hanno deciso di impegnarsi in una proxy war con la Russia, facevano conto che il logoramento militare russo sarebbe stato molto maggiore e molto più veloce. Le cose sono invece andate esattamente al contrario.
Del resto, quei gran geni che guidano l’occidente collettivo erano altrettanto convinti che le sanzioni avrebbero messo in ginocchio Mosca, ma le cose sono invece andate esattamente al contrario. Erano assolutamente convinti che avrebbero isolato internazionalmente la Russia, ma anche in questo caso le cose sono andate in maniera molto diversa. Ogni previsione si è rivelata fallace.

Come è stato possibile tutto ciò?

Si tratta del deflagrante combinato disposto di due fattori. Il primo, è il furore ideologico che anima la leadership statunitense e che ha in qualche misura contagiato quelle europee; la quali, a loro volta, hanno investito talmente tanto su questa scommessa da non poter più recedere, pena il proprio azzeramento.
Quella che si è realizzata negli Stati Uniti, negli ultimi decenni è la saldatura tra il mondo dei neocon (estrema destra conservatrice) e quello democratico (progressismo liberal), che al di là della apparente contraddizione hanno invece trovato terreno comune nella affermazione – aggressiva e fanatica – della supremazia americana. Come tutti gli approcci ideologici, anche questo tende a rifiutare quegli aspetti della realtà che collidono con la propria visione.

Il secondo fattore è il clamoroso fallimento dell’intelligence, a qualsiasi livello. Che non è qui da intendersi semplicemente nella raccolta di informazioni, ma anche nella capacità di interpretazione e valutazione, nella formulazione di scenari possibili; e che quindi non riguarda semplicemente le agenzie di spionaggio, ma investe la stessa capacità analitica e previsionale della politica.

Il risultato è stato che la scarsità di informazioni sul ‘nemico’, o comunque la loro scarsa qualità, è stata sopperita facendo ricorso a supposizioni, e queste a loro volta sono state formulate a partire dal proprio wishful thinking. Il vuoto di conoscenza è riempito proiettando le proprie speranze aprioristiche. L’occidente, insomma, ha confuso la propria immagine mentale della Russia con la sua realtà effettiva.

Il risultato è il disastro che comincia a trasparire tra le nebbie di una propaganda iperpervasiva, che ha finito per condizionare gli stessi propagandisti, i quali hanno finito col credere alle loro stesse narrazioni fasulle.

Questo conflitto tra realtà e wishful thinking si sovrappone al conflitto materiale che si svolge in Ucraina e vede contrapposti i pragmatici agli ideoligizzati. I primi colgono tutti i rischi di una strategia basata su fantasie ideologiche, che sta fallendo su tutta la linea. I secondi allontanano da sé la realtà, consapevoli che riconoscerla implicherebbe il proprio annullamento come leadership.

Ed è questo conflitto che determinerà quanto ancora durerà la guerra reale sul campo, se questa si svilupperà verso una soluzione negoziale (e eventualmente quale) o se piuttosto evolverà verso una escalation dalle imprevedibili conseguenze.

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