DELLA GUERRA (POST-UCRAINA)

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Il conflitto NATO-Russia costituisce visibilmente un importante giro di boa, che attesta ed accelera un radicale cambiamento negli equilibri geopolitici. Ma, al tempo stesso, se pure meno visibilmente, rappresenta una svolta nelle dottrine strategiche, il cui impatto (non solo sulle strutture militari, ma sulle intere società occidentali) è destinato a segnare i lustri a venire.

Le molte facce della guerra

Ogni guerra – e significativamente ogni guerra moderna – presenta innumerevoli aspetti, tutti costantemente intrecciati tra di loro. C’è ovviamente un aspetto politico – che, almeno teoricamente, sovrasta e racchiude tutti gli altri. C’è un aspetto territoriale – ovvero i mutamenti nei confini geografici che il conflitto produce. C’è un aspetto industriale – che attiene non solo alla capacità dei singoli belligeranti di alimentare il proprio esercito, ma anche i risvolti economici (positivi o negativi) che questo comporta. Ci sono aspetti demografici, economici, psicologici e molti altri ancora.
Uno degli aspetti più importanti, su cui in genere ci si sofferma però solo a guerra finita ed in ristretti circoli di addetti ai lavori, è quello della guerra come terreno di verifica, sia dell’efficacia dei sistemi d’arma che, ancor più, delle tattiche e delle strategie immaginate prima della guerra. Il conflitto in Ucraina sta dicendo in merito moltissime cose, su cui vale la pena cominciare a soffermarsi.

Come prima cosa, dobbiamo provare a sgombrare il campo dagli effetti delle avverse propagande. Che non sono semplicemente riassumibili in menzogne ed omissioni, ma anche – il più delle volte – in mistificazioni, ovverosia un mix di verità e falsità finalizzato a distorcere la percezione e la comprensione della prima.
È necessario pertanto – nei limiti del possibile – operare una demistificazione delle narrazioni sul conflitto, nel tentativo di approssimare il più possibile la realtà effettiva.
In tal senso, la prima operazione da fare è proprio cercare di analizzare il più oggettivamente possibile le due forze armate coinvolte nel conflitto.
Nella percezione dominante in occidente – che varia a seconda dello schieramento a favore dell’una o l’altra parte – per quanto riguarda le forze ucraine, queste vengono sostanzialmente rappresentate secondo lo schema retorico del “Davide vs Golia”; in base alle esigenze del momento, questo schema narrativo può propendere verso l’accentuazione delle debolezze (che ne fanno risaltare l’eroismo), oppure – all’opposto – verso l’accentuazione delle capacità offensive (che alimentano la fiducia nella vittoria finale).

La realtà è che le forze armate ucraine, al momento dello scoppio del conflitto con la Federazione Russa, erano un potente esercito europeo, armato ed addestrato dalla NATO almeno a partire dal 2014, e che solo nel 2021 avevano ospitato ben tre importanti esercitazioni NATO (due terrestri ed una navale), con la partecipazione di numerose forze dell’Alleanza Atlantica. Pur non essendone quindi membro effettivo, l’Ucraina era già da tempo integrata di fatto nella NATO e, come molti altri paesi membri (precedentemente parte del Patto di Varsavia), dotato ancora di armamento e struttura operativa misti, in via di transizione dal modello sovietico a quello occidentale.
Questa integrazione di fatto è risultata evidente anche dalla rapidità con cui sono (ri)cominciati i trasferimenti di armi, all’indomani – letteralmente – del 24 febbraio 2022. Che sono stati infatti avviati a partire dal 26 febbraio – cosa praticamente impossibile se non vi fosse già stato un pregresso livello di integrazione logistica e, soprattutto, di addestramento all’uso di armamento occidentale.

Naturalmente, le forze armate ucraine erano e sono inferiori a quelle russe in alcuni settori chiave, come l’artiglieria, la forze aerea, l’electronic warfare; inoltre, c’è un evidente gap quantitativo anche nella disponibilità di corazzati e dello stesso personale militare. Ma erano e sono una forza armata di ottimo livello. Diversamente dagli eserciti europei della NATO, che fondamentalmente contano sull’ombrello protettivo USA, e che dispongono di poche migliaia di uomini effettivamente dotati di capacità di combattimento (quelli inviati in giro per il mondo, come forze di complemento per i militari statunitensi), quello ucraino – pur con tutti i suoi limiti – è un potente esercito di terra.
I suoi limiti maggiori, in effetti, a parte le differenze quantitative con la Russia, risiedono essenzialmente nel trovarsi ancora a metà del guado, tra un esercito di tipo sovietico ed uno su standard NATO. Questa condizione ibrida si riflette negativamente soprattutto sulla logistica; mentre per l’armamento ex-sovietico dispone di fabbriche di produzione, depositi di pezzi di ricambio, officine e personale per le riparazioni, insomma tutta una filiera in grado di supportare i reparti operativi, per quanto riguarda i sistemi d’arma occidentali dipende integralmente dai paesi fornitori.
A loro volta, le forze armate russe non sono né una invincibile macchina di guerra, né un’armata svogliata ed allo sbando, come pure la propaganda NATO le ha spesso dipinte.

Fondamentalmente sono a loro volta una considerevole forza militare, molto proiettata nello sviluppo tecnologico, e con alle spalle tutto il portato dell’epoca sovietica, sia in termini di capacità industriale bellica, sia in termini di arsenali (enormi).Anche l’esercito russo è a sua volta impegnato in un processo di trasformazione, dal vecchio modello sovietico ad uno più contemporaneo. Processo che deve innanzitutto fare i conti con la estrema burocratizzazione che lo caratterizza, e che rappresenta l’eredità più persistente dell’ex URSS. Per ovvie e comprensibili ragioni, infatti, le strutture militari sono quelle che hanno più resistito ai cambiamenti avvenuti nella società russa.
Infine, cosa niente affatto secondaria, mentre gli eserciti NATO hanno dalla propria l’esperienza di guerre pressoché continue da decenni (gli USA sono stati protagonisti di conflitti dalla fine della seconda guerra mondiale ad oggi), l’esercito russo può annoverare un numero assai più limitato di esperienze operative: a prescindere dall’ultima esperienza sovietica in Afghanistan, si contano la breve guerra con la Georgia, le due guerre cecene, e l’intervento in Siria.

La dottrina militare della NATO

Fondamentalmente, l’ultima grande teorizzazione della dottrina militare statunitense è quella sviluppata – in funzione ancora anti-sovietica – all’inizio degli anni ‘80, e denominata Air-Land Battle (1). Benché poi sostituita dalla successiva (2001) Full Spectrum Dominance (2), che però ne costituisce sostanzialmente una estensione, l’ALB ha rappresentato – e rappresenta tuttora – il cuore del pensiero strategico NATO, ed ha visto la sua massima (ed al tempo stesso unica) applicazione nel corso delle guerre in Iraq.
Sostanzialmente, questa dottrina strategica si basa sull’idea di una guerra ad alto impatto distruttivo, e relativamente veloce, che si articola in due momenti: una prima fase di massicci e devastanti attacchi dall’aria, sia sulle forze armate nemiche che sulle infrastrutture logistiche, di comunicazione e comando, seguita poi da una seconda, in cui le forze corazzate procedono a spazzare via le forze nemiche sopravvissute. In ragione di questa dottrina, gli USA e la NATO hanno sviluppato una potente forza aerea – che oltretutto offre il grande vantaggio di poter colpire anche a grande distanza, e di ridurre al minimo le perdite.

L’Air-Land Battle non è mai stata verificata sul campo contro l’Unione Sovietica, in funzione della quale era stata pensata, ma si è mostrata efficace nel caso di guerre asimmetriche. Nel ricordato caso dell’Iraq, pur essendo quello iracheno un esercito potente e numeroso, con alle spalle l’esperienza acquisita nella recente guerra con l’Iran (durata ben otto anni), il più completo dominio dell’aria da parte della coalizione NATO (3) fu sufficiente ad annichilirne la capacità di combattimento. Anzi, era talmente soverchiante che vennero portate a termine vere e proprie missioni di sterminio – come quella sulla colonna irachena che si ritirava da Kuwait.
Dopo la guerra di Corea (1950-53), l’occidente non ha comunque mai più combattuto una guerra simmetrica, contro un avversario di potenza equiparabile. Ciò ha fatto sì che la dottrina (e la prassi) bellica pendesse sempre di più verso il dominio dell’aria, mettendo in secondo piano la capacità di combattimento terrestre. Che, del resto, dal Vietnam in avanti ha visto sempre impegnati gli eserciti occidentali contro avversari che propendevano per forme di guerra irregolare.

La nuova guerra

Qualsiasi riflessione sulla guerra in Ucraina non può prescindere da due considerazioni fondamentali. La prima, è che l’Ucraina ha alle spalle il supporto pressoché totale della NATO (e di altri paesi occidentali), al punto da poter correttamente affermare che allo stato attuale non solo siamo di fronte ad uno scontro tra Alleanza Atlantica e Russia, ma che l’apporto ucraino al conflitto è ormai pressoché esclusivamente in termini di personale combattente.
La seconda è che le forze russe impegnate nel conflitto, benché abbiano subito un incremento nel corso di questi sedici mesi, rappresentano solo una parte del potenziale bellico della Federazione, sia sotto il profilo quantitativo (uomini e mezzi) che qualitativo (tipologia e qualità dei sistemi d’arma utilizzati).
Se, dunque, inquadriamo l’attuale conflitto ucraino come una guerra in cui gli eserciti che si combattono sono relativamente equiparabili – pur nella diversa potenza in termini assoluti – possiamo non solo ricavarne una più chiara chiave di lettura del conflitto in sé, ma anche trarne degli elementi interpretativi che attengono a quella che, presumibilmente, sarà la guerra convenzionale (non nucleare) dei prossimi decenni.

Vi è in effetti una terza considerazione preliminare che va fatta, e cioè che le scelte politiche che determinano ed indirizzano quelle strategiche sul campo, soprattutto per quanto riguarda la Russia, non sono al momento sufficientemente chiare, e c’è quindi un margine di indeterminatezza con cui fare i conti. Benché sia evidente che gli obiettivi politici siano mutati nel corso del conflitto, e che di conseguenza siano mutate le strategie militari, rimane il fatto che talune scelte appaiono poco chiare, in mancanza appunto di una precisa conoscenza delle ragioni politiche che le hanno determinate.
In ogni caso, possiamo sicuramente risalire dal livello tattico a quello strategico, e quindi alle ragioni oggettive che ne determinano le caratteristiche. A partire prima di tutto dalla forse più evidente caratteristica di questo conflitto, ovvero che non è una guerra di movimento.

Per quanto le forze armate russe abbiano dalla propria il vantaggio di un forte predominio in due settori fondamentali, come l’artiglieria a terra e missilistica ed aviazione in aria, lo squilibrio non è totale, e le forze ucraine mantengono una capacità reattiva non indifferente, e per quanto riguarda l’artiglieria anche una certa capacità offensiva.
Tutto ciò, unito al fatto che i russi hanno scelto di non colpire in modo massivo le infrastrutture ucraine (4), ha contribuito a determinare una situazione di maggiore equilibrio strategico.
Ma la questione fondamentale rimane un’altra, e non è di natura soggettiva.
Una guerra di movimento, infatti, richiede non solo una elevata mobilità delle unità combattenti, ma anche – conseguentemente – la concentrazione di forze corazzate, nonché la capacità di assicurarne la copertura (aerea e di artiglieria), e mantenerne le linee logistiche di supporto. La guerra ucraina ha mostrato con chiarezza che uno di questi elementi è praticamente impossibile da realizzare.

La diffusione capillare, anche a livello delle più piccole unità tattiche, di sistemi di sorveglianza aerea infatti, ha praticamente azzerato la possibilità di realizzare vaste concentrazioni di truppe senza che siano rilevate. L’enorme disponibilità di droni, da quelli di grandi dimensioni ai piccoli quadcopter, ha determinato un aumento esponenziale della capacità di rilevamento del nemico, che non solo ne ha esteso la portata rispetto ai tempi della esclusiva sorveglianza aereo-satellitare, ma ne ha velocizzato i tempi in modo radicale. Se infatti una volta le informazioni erano sostanzialmente centralizzate, quantomeno a livello di grandi unità, e dovevano quindi percorrere l’intera linea di comando per trasformarsi in azione operativa, adesso ogni singola unità è in grado di monitorare in tempo reale il proprio settore, e quindi i tempi di reazione sono estremamente rapidi ed efficaci.
Anche se l’enfasi mediatica si concentra sui droni d’attacco – come i Bayraktar turchi usati dagli ucraini, o i Lancet Geran russi – ad incidere in maniera davvero significativa sulle modalità di combattimento sono i droni leggeri per la sorveglianza aerea.

In effetti, con il conflitto in Ucraina siamo pienamente entrati nell’era dell’ipersorveglianza del campo di battaglia, le cui immediate conseguenze sono la scomparsa della guerra di movimento (se non in caso di guerre fortemente asimmetriche), l’azzeramento del fattore sorpresa, la valorizzazione operativa delle piccole unità.
In termini più generali, ciò significa una svolta decisiva in favore della guerra difensiva, e quindi, per converso, la fine della guerra offensiva (5). Sotto il profilo strategico, questo è un problema soprattutto per la NATO, poiché le proprie dottrine militari sono tutte costruite intorno ad una impostazione offensiva. Da questo punto di vista, sia la lunga battaglia per la conquista di Bakhmut/Artyomovsk, che l’offensiva ucraina in corso da un mese, rappresentano delle perfette esemplificazioni di ciò. Nel primo caso, pur in presenza di una considerevole preponderanza russa nell’artiglieria (arma decisiva in questo tipo di guerra), per espugnare una cittadina di 40 Km quadrati sono stati necessari 10 mesi di accaniti combattimenti; mentre, nel secondo caso, abbiamo visto come “le linee del fronte si sono appena mosse e l’Ucraina ha perso un numero enorme di uomini e mezzi. (…) L’Ucraina sta usando nuove tattiche, attrezzature e piani operativi per le sue brigate d’assalto dopo mesi di addestramento intensivo da parte della NATO. La NATO ha costruito queste unità a sua immagine e somiglianza, dando priorità all’attacco, alla manovra e alle tattiche combinate di armi” (6). Il risultato è sinora disastroso.

Entrambe gli esempi citati mostrano, in modo abbastanza evidente, che siamo in presenza di una guerra d’attrito, in cui le forze contrapposte esercitano reciprocamente una frizione, la cui azione può essere alternativamente esercitata maggiormente dall’una o dall’altra, ma in cui – in ogni caso – a risultare prevalente sarà la capacità di soverchiare il nemico in termini di volume di fuoco. Ed in cui, quindi, l’elemento decisivo è rappresentato dal fattore consumo; le perdite umane, ed ancor più le perdite di mezzi e sistemi d’arma. Esattamente ciò a cui la NATO non è preparata, e quanto più le forze armate ucraine vengono convertite agli standard dell’Alleanza Atlantica, tanto più ne risulteranno indebolite (7).
Mentre le dottrine strategiche concepite in ambito NATO (quindi in USA) sono sempre focalizzate sulla minimizzazione delle perdite (la lezione dei contraccolpi politici derivanti dalla guerra del Vietnam è incisa nella memoria storica statunitense), e quindi sulla rapidità della vittoria – la shock and awe – il conflitto ucraino mostra come invece sia necessario dare “la priorità alla distruzione del manpower, delle attrezzature e del morale” (8) nemico, facendone il vero centro di gravità della guerra.

Le conseguenze strategiche

Quanto sta accadendo in Ucraina costituisce pertanto un formidabile banco di prova per le dottrine strategiche occidentali e russe, che dovranno trarre le opportune conclusioni. Per quanto riguarda la NATO, è fin troppo evidente che “i risultati dell’Ucraina sono un banco di prova per il modo americano di fare la guerra contro un avversario convenzionale” (9), e quindi – nei prossimi anni – assisteremo ad un profondo ripensamento non solo della dottrina militare occidentale, ma del suo stesso complesso militare-industriale, che dovrà necessariamente essere a sua volta adeguato alla nuova realtà.
Allo stato attuale delle tecnologie belliche, infatti, torna di grandissima attualità l’assunto di von Clausewitz sul prevalere della guerra difensiva (“la forma difensiva della guerra è di per sé più forte dell’offensiva”); al di fuori del ricorso alle armi nucleari, infatti, non c’è alcun “antidoto a un numero enorme di artiglieria, mine, trincee, missili terra-aria e anticarro” (10). È possibile che in futuro emergeranno nuove tecnologie in grado di ribaltare questo schema (11), ma fintanto che ciò non accadrà, la guerra moderna convenzionale sarà ancora segnata da queste caratteristiche.

In un interessante articolo (12) pubblicato dal Modern War Institute di West Point (13), è stata analizzata la condotta di guerra russa in Ucraina, ricavandone la convinzione che la Russia è in realtà in anticipo sui tempi in termini di avanzamento strategico militare concettuale. Al netto delle letture semplicistiche – e degli obiettivi errori commessi – infatti, l’intera condotta del conflitto da parte delle forze armate della Federazione Russa sarebbe – a giudizio dell’autore – da attribuire ad una serie di scelte tattiche precisamente volute, e che dimostrerebbero non solo una considerevole capacità di adattamento, ma ancor più una vera e propria proiezione verso la future warfare.
Nell’articolo si fa ripetutamente riferimento all’arte operativa (14), che si colloca tra la tattica, la strategia, e la leadership politica (intesa come guida clausewitziana meta-strategica), e che comprende quattro elementi essenziali: tempo, spazio, mezzi e scopo (15). Ma soprattutto l’articolo si concentra sull’analisi dell’evoluzione del pensiero strategico sovietico-russo, in stretto collegamento con l’evoluzione delle tecnologie belliche, traendone appunto la conclusione che le attuali dottrine strategico-tattiche russe siano molto più avanzate, e molto più efficaci, di quelle occidentali.

Nelle parole di un altro analista americano (“Qualsiasi guerra al punto di svolta delle epoche tecnologiche (e siamo proprio in un tale stato di transizione) è gravata da una mancanza di comprensione dei principi di funzionamento delle nuove armi e delle tattiche del loro uso, nonché della strategia complessiva dell’intero complesso di azioni militari e politiche”) (16), viene evidenziato appunto come l’uso di nuove tecnologie tenda a sopravanzare la piena comprensione del loro utilizzo, e di come influenzi l’intero campo di battaglia.
In particolare, va ricordato che il conflitto ucraino è in effetti, sotto questo punto di vista, il primo reale test operativo di massa della tecnologia dei droni, il cui impatto sul combattimento viene qui verificato per la prima volta.
Se quindi possiamo già trarre una qualche lezione dalla guerra in corso, dobbiamo distinguere tra un piano tattico-operativo, ed uno strategico-geopolitico.

Nel primo caso, la lezione è che, quanto più le forze in campo sono equivalenti, tanto più esse dovranno dispiegarsi in modo sparso, dilatando l’ampiezza del fronte, e cercando la prevalenza attraverso una pressione lenta e costante sul nemico, volta a consumarne l’intero potenziale.
Nel secondo caso, la lezione è invece che le future guerre convenzionali saranno protratte nel tempo e ad elevato consumo di uomini e mezzi, tanto più lente e distruttive quanto più le forze in campo sono equilibrate. Con il corollario che l’idea delle vittorie rapide e rassicuranti è cancellata dall’orizzonte, ed al suo posto emerge come la risoluzione vittoriosa sul campo deriva direttamente dalla capacità (industriale, economica, psicologica) di reggere più a lungo dell’avversario, pagando un costo – umano e non solo – assai elevato.
Con questo scenario presumibile, è abbastanza evidente che non solo l’attuale conflitto in Europa, ma anche quelli probabili nel futuro (Iran, Cina), vedono decisamente in svantaggio l’occidente. Un aspetto che soprattutto le leadership europee dovrebbero tenere in conto, considerando l’assoluta debolezza delle proprie forze armate (ulteriormente assottigliate dagli aiuti all’Ucraina), il forte depauperamento del proprio apparato industriale (sempre in conseguenza dell’attuale conflitto), nonché – last but not least – l’aspetto demografico e psicologico di un continente invecchiato e che ripudia la guerra.


1 – Cfr. AirLand BattleWikipedia
2 – Cfr. Full Spectrum Dominance, Wikipedia
3 – Le difese anti-aeree ed anti-missile irachene erano scarse ed obsolete, rispetto al livello dell’attaccante, mentre l’aviazione irachena fu addirittura spostata nel vicino Iran per evitarne la distruzione.
4 – Se si fa eccezione per la campagna di attacchi contro la rete elettrica, sostanzialmente le forze aerospaziali russe hanno concentrato il fuoco su obiettivi strettamente militari (depositi di armi, officine di riparazione, concentrazioni di truppe), lasciando quasi del tutto integra la rete di comunicazione (strade, ponti, nodi ferroviari) che pure sono elementi fondamentali per lo spostamento ed il rifornimento delle unità combattenti. Non c’è sostanzialmente stata alcuna azione che puntasse seriamente ad interrompere le vie attraverso le quali affluiscono i rifornimenti della NATO.
La stessa campagna contro la rete elettrica si è concentrata prevalentemente sui nodi di distribuzione, più che sugli impianti di produzione, e comunque è stata ad un certo punto abbandonata, senza aver raggiunto l’obiettivo di una significativa e duratura messa fuori uso del sistema.
5 – Cfr. “The End of Offensive Warfare”, Christopher Roach, American Greatness
6 – Cfr. “The End of Offensive Warfare”, ibidem
7 – “Sebbene la NATO abbia dedicato molte energie e denaro all’addestramento, ha poca esperienza recente con questo tipo di guerra. L’addestramento della NATO era basato su un’elaborata teoria di come sarebbero andate le guerre convenzionali, ma l’esperienza è necessaria per affinare e modificare tali dottrine. È significativo che l’unica brigata che ha compiuto progressi significativi durante la controffensiva non fosse una di quelle nuove, ma piuttosto una brigata composta da soldati ucraini veterani che utilizzavano attrezzature ex sovietiche”“The End of Offensive Warfare”, ibidem
8 – Cfr. “The End of Offensive Warfare”, ibidem
9 – Cfr. “The End of Offensive Warfare”, ibidem
10 – Cfr. “The End of Offensive Warfare”, ibidem
11 – Interessante notare, in proposito, come siano in rapido sviluppo – soprattutto da parte russa – gli strumenti di Electronic Warfare specificamente destinati a contrastare i droni, anche in modelli spalleggiabili.
12 – “The russian way of war in Ukraine: a military approach nine decades in the making”, Randy Noorman, ModernWarInstitute
13 – Una sorta di think tank presieduto da Mark Esper (un politico ed ex militare statunitense, segretario della Difesa nella presidenza Trump dal 2019 al 2020) e che fa parte del Department of Military Instruction.
14 – Lo sforzo per organizzare e allineare gli effetti delle azioni tattiche rispetto agli obiettivi generali. Il concetto fu elaborato in Unione Sovietica, principalmente da Georgii Isserson, comandante e teorico militare russo, nel corso degli anni ’30.
15 – Per una interessante disamina dell’articolo citato, si rimanda alla lettura di “La nuova analisi del think-tank di West Point sull’evoluzione militare della Russia”, traduzione italiana di un articolo statunitense (“Dissecting West Point Think-tank’s New Analysis of Russia’s Military Evolution”) ad opera dell’analista geopolitico Simplicius The Thinker; l’articolo italiano è disponibile qui: ItaliaeilMondo
16 – “All Seeing Eye: Can Russia Break Through The West’s ISR Overmatch?”, Simplicius The Thinker, Simplicius76

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