NOI E LE DISTOPIE: SUPERARE L’INGANNO

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Il racconto dell’ancella, Westworld, La barriera, Black Mirror, sono alcuni fra i moltissimi titoli che ormai popolano l’universo distopico di questo inizio di terzo millennio. Vedere rappresentato un futuro oppressivo e violento dovrebbe aprire gli occhi dello spettatore anche sul presente. Ma avviene veramente questo?

Nell’era moderna, la letteratura per prima e oggi più che mai il cinema risultano attratti dai generi delle distopie e delle ucronie. Per distopia si intende la rappresentazione di un futuro immaginario che ha assunto caratteristiche oppressive e totalitarie. L’ucronia invece racconta di un mondo, anche al presente, in cui la storia ha seguito una linea differente rispetto a quella che conosciamo.

Oltre a questi generi, dovuto anche all’enorme progresso tecnologico degli ultimissimi anni, la proposta cinematografica abbonda di titoli che mescolano l’epica con universi fantastici. Vi sarebbe e molto da riflettere anche solo su questo, perché le “cose del mondo” non capitano mai “a caso”, noi riteniamo. Ma lo scopo del presente scritto è un altro: osservare gli effetti che tali opere cinematografiche hanno sul pubblico e risalire alle cause profonde.

Le parole immagine e magia sono strette da un legame profondo. Eppure ce ne dimentichiamo, o forse nemmeno lo sospettiamo. Creare immagini significa avere l’abilità di forgiare la materia dandole una forma plastica. E questa forma ha il potere di intervenire sugli strati sottili, eterei e psichici dell’uomo. L’arte tutta è in fondo magia, è sogno, ma sappiamo bene che anche le nostre fantasie oniriche possono essere oscure più ancora che luminose e profetiche. Dove ci conducono dunque queste immagini? Fuori di noi, o dentro di noi? Il viaggio può avere due direzioni opposte e due traguardi alquanto differenti.

Nel sogno, l’uomo si distacca dalla pesantezza del corpo, dalle gabbie del tempo e dello spazio. Noi tutti sperimentiamo infatti come le coordinate spazio-temporali della vita diurna vengano “tradite” durante le nostre peregrinazioni oniriche. Sperimentiamo così l’ingresso in una dimensione magica che lascia risonanze anche dopo il risveglio, sia che si tratti di sogni premonitori o luminosi – quelli più rari – sia che si tratti all’opposto di veri e propri incubi. Le immagini di questi ultimi, soprattutto, ci restano appiccicate addosso anche a lungo con tutto il loro compendio di residui psichici.

Il cinema, come ogni arte, avrebbe il compito di elevare lo spettatore perlomeno verso il “regno intermedio”, la dimensione sottile appunto, che può essere fatta però tanto di luce che di oscurità, può liberare come sedurre ipnoticamente.

Black mirror

Le opere distopiche e ucroniche sono in molti casi dei prodotti seriali. Sono pensate per un pubblico vastissimo comodamente affondato nel divano del proprio salotto, quando non addirittura adagiato sotto le coperte del letto. Opere che per la loro lunghezza hanno la capacità di entrare ancora più in profondità nella psiche del pubblico. Una puntata per volta. Una serie per volta.

Il racconto dell’ancella, Westworld, La barriera, Black Mirror, sono alcuni fra i moltissimi titoli che ormai popolano l’universo distopico di questo inizio di terzo millennio. Vedere rappresentato un futuro, talvolta prossimo, in cui l’oppressione, la violenza, l’ingiustizia e spesso il controllo attraverso la tecnologia sono la norma e la “forma” di una società dovrebbe aprire gli occhi dello spettatore anche sul presente. Dovrebbe renderlo vigile e attento ai segnali che possono essere oggi i prodromi di quelle derive.

Così, il ritrovato gusto per i mondi fantastici, per le storie dal sapore epico, o anche semplicemente per vicende in cui i protagonisti assumono alla statura di “eroi” pur nel quotidiano, avrebbero dovuto “allenare” questa generazione al sacrificio, alla capacità di lottare per delle idee, ad avere slanci di puro idealismo.

Guardiamo allora a quanto ad esempio sta succedendo nel nostro paese, ma non solo, da tre anni a questa parte. Tralasciando le eccezioni che, si sa, confermano la regola, dov’erano le sentinelle capaci di destare gli altri ai primi segni di una distopia nascente? Dov’erano gli uomini invasi dalla forza eroica di combattere per delle idee fino a sacrificare tutto se stessi? Dov’era la cavalleresca solidarietà che fa dire che si cade e si risorge uniti e nessuno va lasciato solo?

The man in the high castle

Non può in effetti non stupire questa apparente contraddizione. Ma è appunto solo apparente. Tutte queste opere cinematografiche e televisive lavorano sul piano ipnotico della magia. Da una parte lo spettatore è visceralmente coinvolto nelle vicende, parteggia per l’eroe di turno, ma non è realmente in grado di elaborare tutto ad un livello più profondo. Il cinema qui è appunto spettacolo, illusione, artificio, ma non Arte.

Poi c’è anche l’assuefazione. Questo tipo di immagini, che non evocano, ma aggrediscono le nostre conformazioni psichiche più elementari, ripetute da serie a serie, rendono le vicende narrate, innocue per l’intelletto. Si è appunto trasportati in un’altra dimensione, quasi di sogno, ma non riusciamo a condurre gli insegnamenti qui nella vita reale.

Questa forza ipnotica ottiene poi il risultato finale: la dissociazione. Ciò che noi vediamo, che sia il racconto di un orribile futuro dove la vera vita sembra un ricordo, che siano le gesta di qualche uomo disposto anche al sacrificio in nome di un ideale o della libertà degli altri, resta confinato al di là dello schermo. Io, spettatore, vi entro con le mie parti più basse, viscerali, psichiche, ma non con quelle dell’anima. Le distopie, gli eroi, stanno là. Qui la vita è un’altra cosa, noi siamo altre persone con altre “chiamate”.

Che sia consapevole volontà di coloro che producono tali opere, l’ottenere questo torpore delle coscienze, non è il cuore della questione, anche se a qualcuno potrebbe venirne il sospetto. Siamo noi che dobbiamo divenire sempre più coscienti di come le immagini che scorrono a 24 fotogrammi al secondo hanno davvero un potere sulla nostra mente e sulla nostra psiche.

Quando esse sono innocue significa che si tratta di un’opera assolutamente mediocre, sia nel bene che nel male. Quando avvinghiano il nostro essere con tutti in trucchi di cui sono capaci, facendo scendere un terribile torpore sull’intelletto, allora è bene trattarle con distacco ed avvertire le menti più deboli. Quando ci trasportano su più alte stazioni, accompagnando le parti più nobili ed elevate di noi stessi, solo allora esse sono Arte.

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2 thoughts on “NOI E LE DISTOPIE: SUPERARE L’INGANNO

  1. Penso che uno degli inganni della “finzione oltre lo schermo” è nel fatto che siamo talmente assuefatti e alienati dalla vita reale che la serie ci fornisce solo elementi di evasione. Ci proiettiamo in una realtà che sappiamo essere lontana e che ci può coinvolgere solo nella percezione del ns essere virtuale. Probabilmente i social e internet hanno favorito tale percezione che ci porta a sviluppare un alter ego fittizio che vive realtà parallele senza tuttavia essersene coinvolto realmente(carne, sangue, sensazioni sono dell'”avatar”) In tale realtà, oltretutto, ogni cosa è spiegata in maniera verosimile e funzionale alla storia e c’è solo il minimo spazio per astrazione o immaginazione o deduzione o qualunque ragionamento. Il narratore ci fabbrica la storia, noi la consumiamo, ci crea problemi, situazioni, dubbi che poi sappiamo che risolve e scioglie, dandoci, se bravo, il tempo per arrivare da soli alle soluzioni e confermando la ns capacità di soddisfazione. Giusto il necessario per venderci il prodotto successivo.

    1. Come hai giustamente sottolineato anche i social hanno un peso nell’aver creato questa nostra “dissociazione” dalla realtà. Stiamo lentamente perdendo la capacità di assimilare quanto ci viene detto e proposto. Ingurgitiamo, ma non assimiliamo. E tutto il mondo della cultura e anche dell’istruzione sta camminando sulla medesima rotta. Pensiamo di essere consapevoli invece siamo sempre più ignari. Abbiamo quantità, ma non profondità. la domanda però allora è: ma noi la cerchiamo ancora la profondità? Ognuno di noi dovrebbe darsi la risposta.
      ’è solo il minimo spazio per astrazione o immaginazione o deduzione o qualunque ragionamento”. Anche qui mi trovi assolutamente d’accordo. Mi permetto di segnalarti, se non lo avessi già letto, il mio precedente contributo, sul cinema del Terzo Millennio. Si provano a dare sguardi differenti e ad indicare rotte coraggiose.

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