COME L’EUROPA È RIMASTA VINCOLATA AL GAS RUSSO NONOSTANTE GLI AVVERTIMENTI DI REAGAN

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La battaglia per separare l’Europa dal gas russo non è certo nata con la guerra in Ucraina. Questo articolo di Hiroko Tabuchi, pubblicato sul New York Times il 23 marzo scorso, ricorda come già nel 1981 la CIA avesse fatto pressione sull’allora presidente Ronald Reagan per bloccare il gasdotto trans-siberiano prevedendo che ciò avrebbe alla lunga determinato una dipendenza degli alleati europei dall’energia russa. Reagan impose sanzioni, ma alla fine dovette cedere di fronte la pressione dell’industria petrolifera e del gas. L’articolo soffre di un palese bias filodemocratico e ambientalista nella misura in cui attribuisce tutti gli errori e i ritardi nel decoupling dalla Russia alla sete di denaro delle industrie petrolifere e di gas americane, senza tralasciare una stoccata all’ex segretario di stato di Trump, nonché ex CEO di Exxon, Rex Tillerson. Al netto di questi limiti e di una ricostruzione indubbiamente di parte, per non dire a tratti fanatica, resta comunque un articolo interessante che mette in luce la battaglia avvenuta negli ultimi 40 anni in seno agli USA sui rapporti da tenere con la Russia, avversario militare e geopolitico da un lato, ma anche immensa fonte di risorse naturale e, quindi, paese fatalmente attrattivo dall’altra.

Il presidente Ronald Reagan impose sanzioni nel 1981 nel tentativo di bloccare un progetto di gasdotto sovietico, ma presto dovette scontrarsi con la dura opposizione dell’industria petrolifera. Credit: NBC NewsWire, tramite Getty Images
Hiroko Tabuchi

Di Hiroko Tabuchi, New York Times, 23 marzo 2022


Il linguaggio nella nota della CIA era inequivocabile: il gasdotto di 3.500 miglia dalla Siberia alla Germania è una minaccia diretta per il futuro dell’Europa occidentale – affermava – creando “serie ripercussioni” a causa di una pericolosa dipendenza dal carburante russo.

Non si tratta di un’informativa presentata oggi dall’agenzia al presidente Biden. Fu inviata al presidente Reagan più di quattro decenni fa.

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Il promemoria era preveggente. Quel gasdotto dell’era sovietica, oggetto di un’aspra battaglia durante l’amministrazione Reagan, segnò l’inizio della forte dipendenza dell’Europa dal gas naturale russo per riscaldare le case e alimentare l’industria. Tuttavia, questi acquisti di gas ora aiutano a finanziare la macchina da guerra di Vladimir V. Putin in Ucraina, nonostante la condanna mondiale degli attacchi e gli sforzi globali per punire finanziariamente la Russia.

Nel 1981, Reagan impose sanzioni per tentare di bloccare il gasdotto, un’importante iniziativa sovietica progettata per trasportare enormi quantità di carburante agli alleati critici dell’America in Europa. Ma ha subito affrontato una dura opposizione, non solo da parte del Cremlino e dalle nazioni europee, desiderose di una fonte di gas a basso costo, ma anche di una potente lobby vicino casa: le compagnie petrolifere e del gas, che avrebbero tratto profitto dall’accesso alle gigantesche riserve di gas della Russia.

In un blitz, fatto di pubbliche relazioni e lobbismo che ebbero luogo attraverso le pagine di opinione dei giornali, i comitati del Congresso e un appello diretto alla Casa Bianca, dirigenti e lobbisti del settore combatterono le sanzioni. “Reagan non ha assolutamente alcun motivo per vietare questa attività”, disse all’epoca Wolfgang Oehme, presidente di una filiale Exxon che aveva una partecipazione nel gasdotto.

Questa battaglia avvenuta quasi mezzo secolo fa mostra come alcune delle più grandi compagnie petrolifere e del gas del mondo abbiano svolto un ruolo fondamentale nel dare il via libera alle riserve russe opponendosi alle sanzioni, anteponendo gli interessi commerciali alla sicurezza nazionale, ai diritti umani o alle preoccupazioni per l’ambiente.

Oggi, la dipendenza dell’Europa dal gas russo ha messo le nazioni europee in una posizione alquanto scomoda: continuano ad acquistare energia russa, trasferendo enormi somme di denaro a Mosca, la quale finanzia un’invasione russa che esse denunciano.

Il tentativo di Reagan di bloccare il gasdotto decenni fa, che alla fine fallì, ha anche gettato le basi per un enorme accumulo di gas naturale, che adesso sta ostacolando i tentativi dell’Europa di affrontare il cambiamento climatico. Anche se il gas naturale ha contribuito a sostituire il carbone più sporco, i gasdotti e le altre infrastrutture del gas che ne sono seguite hanno di fatto vincolato l’Europa a una dipendenza dal gas russo che non solo perdura ancor’oggi, ma rimane difficile da abbattere anche in un momento di unità globale contro l’aggressione russa.

“L’Unione Sovietica è una superpotenza che deve effettivamente la propria ascesa alle sue esportazioni di petrolio e gas”, ha affermato Agnia Grigas, senior fellow presso il Consiglio Atlantico ed esperta sulle questioni di sicurezza ed energia della Russia e degli ex stati sovietici. “Niente è cambiato”.

Pipes that were intended for use in the Nord Stream 2 project, a pipeline that was halted becasue of Russia’s attack on Ukraine.
Tubi destinati all’uso nel progetto Nord Stream 2, un gasdotto interrotto a causa dell’attacco russo all’Ucraina. Credito: Odd Andersen/Agence France-Presse — Getty Images

Di fronte all’opposizione sia in patria che all’estero, Reagan nel 1982 annullò le sanzioni, che avevano impedito alle società americane di fornire o partecipare al progetto. Il gasdotto dalla Siberia alla Germania occidentale fu inaugurato due anni dopo.

La lobby del settore è continuata fino ad oggi.

Nel 2014, quando l’amministrazione Obama impose sanzioni contro la Russia a seguito del sequestro militare della penisola di Crimea dall’Ucraina, Exxon si oppose alla decisione incontrando i funzionari della Casa Bianca.

Quando quest’anno la Russia ha iniziato ad ammassareo truppe al confine ucraino, l’American Petroleum Institute, il potente gruppo industriale, ha fatto pressioni per evitare sanzioni più severe, affermando che qualsiasi misura avrebbe dovutoa essere “il più mirata possibile, al fine di limitare i potenziali danni alla competitività delle società statunitensi”.

Sulla scia della brutale invasione russa dell’Ucraina, Shell, BP ed Exxon hanno dichiarato che porranno fine alle loro attività in Russia.

Casey Norton, portavoce di Exxon, ha affermato che la società “non è né a favore né contro le sanzioni”, ma ha comunicato con il governo degli Stati Uniti “per fornire informazioni sui potenziali impatti sui mercati energetici e sugli investimenti”. Ha detto che Exxon sta rispettando tutte le sanzioni, ha interrotto il suo progetto di punta in Russia e sta trattenendo nuovi investimenti in quel paese.

Bethany Williams, portavoce dell’American Petroleum Institute, ha affermato che qualsiasi interazione dei suoi membri con i responsabili politici sulle sanzioni si è limitata a “garantire che le misure di ritorsione siano scritte chiaramente per ridurre qualsiasi margine di incertezza e garantire la massima conformità”.

John Murphy, vicepresidente senior per la politica internazionale presso la Camera di commercio degli Stati Uniti, ha affermato che la sua organizzazione crede da tempo che le sanzioni molto probabilmente falliranno se saranno unilaterali. Exxon, l’American Petroleum Institute e la Camera di Commercio hanno tutti condannato l’invasione russa. Shell e BP non hanno commentato.

Le preoccupazioni sollevate durante l’amministrazione Reagan quattro decenni fa sono state confermate. Prima dell’attacco russo all’Ucraina il mese scorso, la Germania faceva affidamento sulla Russia per il 55% del suo gas, ad esempio, complicando la risposta dell’Europa all’aggressione russa in Ucraina.

Per l’Ucraina le conseguenze sono state devastanti. “Le società che hanno lavorato con il regime russo erano guidate solo dal puro interesse finanziario”, ha affermato Oleg Ustenko, uno dei massimi consiglieri del presidente ucraino, Volodymyr Zelensky. “Hanno chiuso gli occhi sulla moralità e ora ne paghiamo le conseguenze”.

Vladimir V. Putin, then prime minister, and  Gazprom chief executive Alexey B. Miller during a  2009  dispute in which Russia shut off supplies to Europe.
Vladimir V. Putin, allora primo ministro, e l’amministratore delegato di Gazprom, Alexey B. Miller, durante una disputa del 2009 in cui la Russia ha interrotto le forniture all’Europa. Credito: Mikhail Metzel/Associated Press

In una gelida domenica mattina del dicembre 1981, milioni di polacchi si svegliarono e trovarono il loro paese in uno stato di legge marziale. La condanna globale delle autorità polacche e dei loro sostenitori al Cremlino fu rapida.

Già diffidente nei confronti del piano dei sovietici di costruire un gasdotto per l’Europa occidentale, l’amministrazione Reagan produsse un elenco di sanzioni economiche che sostanzialmente vietavano alle compagnie americane di partecipare alla sua costruzione. “È in gioco il destino di una nazione orgogliosa e antica”, disse Reagan nel suo discorso di Natale.

La misura suscitò l’ira immediata degli alleati europei dell’America, dove il gasdotto da 25 miliardi di dollari prometteva una stabile fonte di gas in un momento in cui le nazioni stavano ancora tentando di riprendersi dagli shock petroliferi degli anni ’70. Ma negli Stati Uniti fu la lobby del petrolio e del gas a reagire.

Le sanzioni “aggraverebbero ulteriormente la nostra reputazione internazionale di affidabilità commerciale”, avvertì in una lettera alla Casa Bianca la Camera di Commercio degli Stati Uniti, che rappresentava le principali compagnie petrolifere e del gas e produttori di oleodotti tra numerosi altri settori. L’oleodotto, infatti, avrebbe dato all’Europa occidentale “un certo grado di influenza sui sovietici piuttosto che viceversa”, disse in seguito al Washington Post Richard Lesher, il presidente del gruppo.

A seguito di un’intensa attività di lobby, la commissione per gli affari esteri della Camera votò per revocare le sanzioni, nonostante una lettera del segretario di Stato George P. Shultz avvertisse che questa decisione avrebbe “paralizzato gravemente” la capacità dell’amministrazione di affrontare la crisi polacca.

Questa battaglia combattuta quattro decenni fa ha segnato l’inizio di un enorme sviluppo di infrastrutture del gas in Europa. Oggi, una vasta rete di gasdotti si estende dalla Russia all’Europa, fornendo circa il 40% del gas del continente.

Quella rete ha dato a Mosca una leva sui suoi vicini europei. Nel 2009, quando Russia e Ucraina sono state coinvolte in una disputa diplomatica, la Russia ha interrotto le sue forniture di gas, lasciando decine di migliaia di case senza riscaldamento. Più di una dozzina di persone sono morte per congelamento, principalmente in Polonia, prima che la Russia riaprisse i suoi gasdotti.

Secondo gli esperti, un abbondante flusso di gas dalla Russia ha avuto conseguenze al di là della sicurezza, rallentando gli sforzi dell’Europa per affrontare il cambiamento climatico passando alle energie rinnovabili. L’Unione europea ha affermato che adesso mira a ridurre di due terzi le sue importazioni di gas e ad aumentare rapidamente l’uso di energia eolica, solare e altre forme di energia rinnovabile.

“Ovviamente avrebbero potuto farlo prima, ma non c’era alcun incentivo a farlo”, ha affermato Margarita Balmaceda, docente di diplomazia e relazioni internazionali alla Seton Hall University e associata all’Harvard Ukraine Research Institute. L’accesso al gas russo, ha affermato, ha “decisamente rallentato il passaggio alle energie rinnovabili”.

Mr. Putin and   Exxon  chairman Rex Tillerson, wearing the Order of Friendship, a Russian state decoration, in St. Petersburg in 2013.
Putin e il presidente della Exxon, Rex Tillerson, indossando l’Ordine dell’Amicizia, una decorazione dello stato russo, a San Pietroburgo nel 2013. Credito: Mikhail Klimentyev/TASS, tramite Alamy

Il primo coinvolgimento delle compagnie di combustibili fossili nel gasdotto siberiano fu anche l’inizio del corteggiamento di una regione con alcune delle più grandi riserve mondiali di petrolio, gas naturale e altre materie prime. Dopo la caduta dell’Unione Sovietica nel 1991, le successive amministrazioni statunitensi hanno anche scambiato la loro vigilanza per un abbraccio sempre più caloroso di Mosca, spingendo per legami energetici più stretti. (Nel 2001, il presidente George W. Bush disse di aver guardato negli occhi il signor Putin e di aver percepito che aveva un’anima, osservazione di cui in seguito disse di essersi pentito.)

Spinte da un disgelo nelle relazioni est-ovest, le compagnie di combustibili fossili hanno perseguito joint venture per sviluppare i giacimenti di petrolio e gas della Russia con i giganti del petrolio e del gas controllati dallo stato russo. BP ha acquisito una partecipazione di quasi il 20% in Rosneft, il gigante petrolifero russo, che rappresentava un terzo della produzione di petrolio e gas di BP e più della metà delle sue riserve. Shell ha collaborato con Gazprom, la società di gas di proprietà statale, per lavorare a progetti tra cui il primo impianto di gas naturale liquefatto della Russia e ha investito nel gasdotto Nordstream 2.

Sia BP che Shell affermano che ora stanno uscendo da quei progetti.

Exxon, che ha investito in un progetto di gas vicino all’isola di Sakhalin nel Pacifico negli anni ’90, negli ultimi anni aveva perseguito una quota maggiore nella produzione russa di petrolio e gas, firmando un accordo con Rosneft per un possibile investimento di 500 miliardi di dollari. Un video prodotto da Rosneft nel 2012 ritraeva l’ampio raggio del loro piano di partnership: quartier generale congiunto a San Pietroburgo e Houston, una fetta delle operazioni di Exxon nel bacino del Permiano in Texas e Golfo del Messico e condivisione di tecnologia di perforazione fracking e offshore.

Nel 2013, Putin ha conferito all’amministratore delegato della Exxon, Rex Tillerson, l’Ordine dell’Amicizia, uno dei più alti riconoscimenti che la Russia conferisce ai cittadini stranieri.

Le ricadute dell’annessione russa della penisola di Crimea l’anno successivo costrinsero Exxon a bloccare l’accordo, ma non senza combattere. Anche dopo che gli Stati Uniti hanno adottato le sanzioni, Exxon ha cercato di portare avanti l’accordo Rosneft, firmando documenti legali con il presidente della società statale, Igor I. Sechin. Exxon è stata successivamente multata di $ 2 milioni per azioni che, per usare le parole del Dipartimento del Tesoro “hanno dimostrato un disprezzo sconsiderato per i requisiti delle sanzioni statunitensi”.

Exxon ricorse in giudizio, affermando che le sanzioni statunitensi coprivano solo gli affari personali del signor Sechin, non la società da lui presieduta. Un giudice del Texas si è pronunciò a favore di Exxon, anche se il giudice definì la condotta di Exxon “rischiosa e, forse, imprudente”.

Exxon ha anche lavorato per influenzare i tentativi del Congresso di approvare sanzioni contro la Russia in quel periodo, mostrano le rivelazioni di lobby. A causa della riluttanza di alcuni membri del Congresso a opporsi a tali sanzioni, “abbiamo dovuto prendere l’iniziativa e spiegare loro come ciò stesse danneggiando le imprese statunitensi”, ha detto Keith McCoy, un ex lobbista della Exxon in un video del 2021 pubblicato come parte di un’operazione pungente del gruppo ambientalista Greenpeace.

Di recente, nel gennaio 2022, l’American Petroleum Institute ha esercitato pressioni per ammorbidire le sanzioni contro la Russia, affermando che dovrebbero essere mirate, in modo da limitare i danni alle imprese americane.

Alla sua udienza di conferma per diventare Segretario di Stato sotto l’ex presidente Donald J. Trump, il signor Tillerson, amministratore delegato della Exxon, ha dichiarato di non aver “mai fatto pressioni contro le sanzioni personalmente” e che “per quanto ne so, la Exxon non ha mai fatto pressioni direttamente contro le sanzioni”.

Bob Corker, un senatore repubblicano del Tennessee, che all’epoca era presidente della commissione per le relazioni estere del Senato, intervenne: “Penso che tu mi abbia telefonato all’epoca”.

Rispondendo sul contenuto di quella telefonata questa settimana, il signor Corker ha detto che i due discutevano regolarmente di politica al telefono.

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