FOUCAULT: POTERI E STRATEGIE
Questa settimana deponiamo temporaneamente l’ascia di guerra, mettendo da parte la tecnologia e proponiamo una recensione del testo Poteri e Strategie di Michel Foucault. E passiamo ad analizzare sette idee quanto mai attuali: soggettivazione, plebe, elemento sfuggente e impotenza del potere, regime del sapere, pastorale e rivoluzione.
Nemmeno la rivoluzione ci salverà dal progresso? A Michel Foucault non mancavano risposte ai grandi interrogativi della società. E noi, ora, invece, come siamo messi?
Teoria, ragione e intelletto sono i soli utensili, dicevano sia Gilles Deleuze che Foucault, che permettano la comprensione delle dinamiche del potere e, quindi, la costruzione di un sapere strategico alternativo ad esse.
La soggettivazione
Come mai Foucault si è concentrato sulla necessità del potere di svilupparsi e ristrutturarsi tramite la catalogazione psichiatrica, la manipolazione della sessualità e l’incarceramento?
Che fine ha lo studio della soggettivazione della plebe costantemente muta? Che cosa cercava di dirci, apertamente e meno, Michel Foucault?
L’intento storicizzante, dell’opera dell’autore francese, mira a offrire un’altra visione e considerazione, rispetto a quella classica, di fenomeni sociali fondamentali per il potere nella Storia.
Per il Foucault di Poteri e Strategie, edito dall’ottima Mimesis Edizioni, è innanzitutto fondamentale comprendere l’aspetto in cui il potere manifesta i suoi effetti: esso non assoggetta, ma soggettiva.
Il nuovo potere non è un potere fisico e visibile, ma etereo e invisibile. Non si impone con violenza per assoggettare, bensì crea norme, regole di condotta, tramite le proprie strutture e apparati che la plebe, percepisce passivamente, soggettivandoli, facendoli propri e considerandoli come naturali e storici.
L’intento storicizzante, dell’opera dell’autore francese, mira a offrire un’altra visione e considerazione, rispetto a quella classica, di fenomeni sociali fondamentali per il potere nella Storia.
Per il Foucault di Poteri e Strategie, edito dall’ottima Mimesis Edizioni, è innanzitutto fondamentale comprendere l’aspetto in cui il potere manifesta i suoi effetti: esso non assoggetta, ma soggettiva.
Il nuovo potere non è un potere fisico e visibile, ma etereo e invisibile. Non si impone con violenza per assoggettare, bensì crea norme, regole di condotta, tramite le proprie strutture e apparati che la plebe, percepisce passivamente, soggettivandoli, facendoli propri e considerandoli come naturali e storici.
La plebe
Plebe che Foucault definisce fondo della storia, obiettivo finale di ogni pratica di soggettivazione. Un bersaglio silenzioso caratterizzato dalla sua costante attitudine negativa.
Un’attitudine collettiva alla soggettivazione, che si manifesta in un fanatismo totalizzante, che porta l’autore a una riflessione essenziale. Ripercorrendo le vie d’indagine che resero celebri altri suoi due connazionali, Gabriel Tarde e Gustav Le Bon, l’autore ricorda come ogni potere è fascista nelle sue procedure come tutte le masse lo sono nei loro desideri. Un potere che controlla, grazie all’esigenza di controllo, che esso stesso genera nei controllati. Un potere che non proibisce, non vieta, ma edifica la figura di ciò che ritiene vietabile, tramite la costruzione di nuovi ordini e classificazioni discorsive.
Un potere di cui si faceva cantore l’intellettuale comunista, modello che rivediamo oggi tristemente ammodernato nelle figure di Bassetti o Parenzo: presunti intellettuali che spiegano alla plebe come la realtà dovrebbe essere, dicendo che sarà come deve essere solo il giorno in cui tutti faranno come dicono loro.
Plebe immolata, sulla via crucis della ragion di stato, di questo costrutto che afferma una razionalità propria degli apparati statali, disancorata dall’arte di governo della società, affrancata da ogni regola e visione trascendentale, cosmologica e filosofico-morale.
Safety first, per il sistema, si direbbe oggi.
Un fenomeno che porterà Foucault a declinare il concetto di società disciplinare, un modello dove trovano sublimazione sovranità, disciplina e gestione di governo, che mirano esclusivamente alla soggettivazione del popolo tramite i dispositivi di sicurezza: la tecnologia.
L’elemento sfuggente e l’impotenza del potere
Un potere che è forza relazionale, che si impone ai corpi fisici della plebe. Un potere coestensivo al corpo sociale, che non lascia zone di libertà se non piccoli, infimi, ma altrettanto essenziali spiragli, per l’energia di segno opposto: l’elemento sfuggente.
Elemento sfuggente, anche oggi, sempre più oggetto di persecuzione o bollato d’eresia; anti-sistema, russofilo o no vax che sia. Per fortuna, ricorda Foucault, non possono esservi relazioni di potere senza resistenze. E queste, sono più reali, ed efficaci, proprio laddove si formano le relazioni di potere stesse.
Secondo l’autore, ogni cambiamento, riforma, del potere e delle sue strutture, palesa l’impotenza del potere stesso. Il potere sa di non poter essere sempre totalizzante e omnicomprensivo. Perciò, continua a mutare nelle sue forme e nei suoi strumenti.
È perciò che il concetto di désévenementialisation assurge a ruolo di strumento teorico e politico chiave per rompere le evidenze su cui poggiano il nostro sapere, i nostri consensi, le costanti pratiche storico-antropologiche che si presumono inevitabili, necessarie, evidenti.
Nessun’altra strategia offre più chances alla plebe per opporsi alla governamentalità. È qui che l’intento storicizzante di Foucault assume maggior chiarezza e vigore, portandolo a dire che sia ormai noto da tempo che gli storici non amino più gli eventi.
Il regime del sapere
L’autore denuncia un’opera storica frutto di un’analisi unitaria, inevitabile ed esterna alla storia stessa. Una storia che è ormai ridotta a oggettivazione dell’oggettività e che, quindi, rivendica una ricerca degli effetti prodotti dal sapere storico, delle attribuzioni di senso che la storia ha affisso agli eventi.
Un’analisi, una disamina scientifica di quei meccanismi cognitivi e discorsivi che mascherano la vera natura della realtà: un processo che andrebbe riformato tramite la demoltiplicazione causale.
Studiare il potere è l’unico modo per fare storia dei diversi modi in cui nella nostra cultura gli esseri umani sono resi dei soggetti, ci ricorda Foucault. Perciò una decostruzione dei processi che costituiscono gli eventi storici stessi diventa fondamentale.
È una serie di processi che mira, nelle speranze dell’autore, alla creazione di un regime del sapere che, allora come nella contemporaneità, smascheri, contrasti le lotte contro il governo dell’individualizzazione, quelle lotte che si caratterizzano per l’opposizione al potere dell’uomo sulla donna come dei genitori sui bambini e che propugnano un maggiore ascendente sulla società di medicina e amministrazione pubblica.
Foucault caratterizza questi eventi come lotte trasversali, non locali, bensì globali. Lotte che hanno come obiettivo solo gli effetti dei poteri quanto tali. Lotte immediate, che non cercano il nemico principale, bensì quello immediato.
Un quadro che nella contemporaneità ritrae alla perfezione le lotte per cui l’allocca massa apolide si strugge in nome del vessillo arcobaleno.
O le lotte per le minoranze, per l’immigrazione incontrollata, per i presunti diritti umani, per una supposta necessaria tutela ambientale o per l’affermazione di una nuova iconoclastia, atta a paventare l’ascesa della dea tecnologia. Lotte che ambiscono a diventare toppe, ma che falliscono anche solo nell’intento di essere vacui rammendi.
Ça va sans dire, avrebbe obiettato Foucault, che ritiene auspicabili tecniche, forme di potere che rigettino le categorizzazioni, l’individualizzazione, l’identificazione degli individui.
Individuo ridotto alla dimensione di un soggetto sotto il controllo di terzi o che è soggetto alla propria identità in virtù della coscienza o conoscenza di sé.
È in virtù di ciò che l’autore propugna l’esigenza di tre tipi di lotta: contro le forme di dominio, contro la separazione dell’individuo dai suoi prodotti e contro ciò che lega l’individuo a se stesso.
La Pastorale
Lotte essenziali a combattere la natura pastorale del potere, la vecchia tecnica delle istituzioni cristiane che ha creato un codice etico per cui alcuni individui acquistano le qualità di pastori.
L’esperienza del collettivismo pandemico ci ha portato a definirlo l’ineluttabile appello morale, quello tramite cui siamo assoggettati dal potere. Un potere che si connota contemporaneamente come individualizzante e totalizzante.
Foucault dimostra come, in tre passi, il pastore abbia ceduto il bastone allo Stato. Che ora, tramite ammodernamenti delle tecniche pastorali, rimodella le individualità contemporanee.
Ciò è avvenuto con un cambio di obiettivi, da religiosi a mondani. Non più salvezza nell’aldilà, ma sopravvivenza qua. Con l’aumento delle funzioni pastorali, degli attori: filantropi, organizzazioni non governative ed enti assistenzialisti che supervisionano il pascolo di ogni asin bigio intento a brucar serio e lento, come avrebbe detto Carducci.
E, dulcis in fundo, lo sviluppo del sapere su due funzioni. Una globale, quantitativa, per il popolo. E una analitica, rivolta all’individuo.
È cosi che il potere pastorale si è trasformato in tattica individualizzante, caratterizzata da una serie di poteri, modelli, tecniche specifiche, chiamate famiglia, psichiatria, educazione, lavoro…
La Rivoluzione come spettacolo
Riprendendo il procedimento logico del trattato di Kant “Che cos’è l’Illuminismo?”, Foucault individua l’iter tramite il quale avviene l’inganno storico individualizzante e totalizzante per cui la storia mostra un’apparente costante tendenza verso il progresso.
Per l’autore è chiaro che la realtà di un effetto non potrà essere stabilita che tramite l’esistenza di un avvenimento. Bisogna quindi isolare nella storia un evento, che avrà poi valore di segno.
Segno che assumerà una triplice valenza, come dice Foucault: rememorativum, demonstrativum, prognosticum.
Un segno che, in virtù della ripetizione dell’evento, dimostrerà la continuità. Che darà dimostrazione, conferma, che funzionando cosi in passato, altrettanto farà in futuro. E che, quindi, è pronosticabile, che tutto continuerà a svolgersi così, per sempre.
Nemmeno la rivoluzione ci potrà liberare da questa serpe che striscia nel buio dei secoli, cambiando pelle e forma, rimodellando simboli, tecniche e supplizi, con un unico costante bersaglio silenzioso?
Riprendendo Kant e, forse traendo ispirazione anche da un suo contemporaneo, Guy Debord, Foucault ricorda come non sia il sovvertimento a produrre senso, bensì il modo in cui la rivoluzione fa spettacolo, come è accolta da chi le assiste e da essa si lascia trascinare.
La rivoluzione come spettacolo è l’unica dimensione in cui essa esprime una garanzia di tendenza al progresso, proprio perchè assume la predetta triplice valenza.
È rememorativum, perchè l’entusiasmo che genera in chi l’assiste rivela la presenza di questa tendenza; demonstrativum, perchè esprime l’efficacia di questa tendenza e prognosticum, perché se essa porta qualche risultato, allora non si può scordare la tendenza che la rivoluzione rivela.
Insomma, mettiamoci l’animo in pace: Michel Foucault aveva già capito anche questo. Se non sarà per l’energia di segno opposto, l’elemento sfuggente al potere e al controllo, nemmeno una rivoluzione salverà l’uomo da progresso e tecnologia.