LE ELEZIONI FRANCESI METTONO A NUDO LA SOCIETÀ DEL DECOUPLING

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I mainstream trasudano euforia per la vittoria di Macron al secondo turno delle presidenziali francesi come chi è scampato a un imminente pericolo. Un’attenta analisi del voto, tuttavia, mette in luce una realtà preoccupante. Macron è stato votato da appena il 38,5% degli aventi diritto e la Francia appare profondamente spaccata tra aree urbane e rurali, redditi alti e classi lavoratrici, precarie e disagiate. Quanto a lungo può reggere un sistema in queste condizioni?

Si erano da poco chiuse le urne ed erano stati divulgati i primi exit poll, che annunciavano la prevista netta vittoria del presidente uscente Emmanuel Macron in Francia, quando nelle piazze e nelle strade di molte città francesi già si radunavano i primi capannelli di persone per protestare contro il presidente rieletto. Qualcuno potrebbe pensare che i francesi soffrano di schizofrenia. Non è così. Chi lo pensa non ha ancora capito che questa è, invece, la fotografia più fedele della società odierna. Una società ormai irevversibilmente spaccata, in cui il gruppo dominante continua per il momento a prevalere, ma al prezzo di perdere progressivamente sempre maggiori consensi e vedere sempre più assottigliata la propria base elettorale. Come una nave che galleggia, ma continua a imbarcare acqua. Non un’implosione, dunque, non una rottura subitanea. Piuttosto, una lenta, progressiva, inesorabile erosione.

Macron vince, ma il suo consenso si erode

Questa grafica di Le Monde, basata su dati del ministero degli interni francese, ci aiuta a capire meglio la situazione.

Grafica: Le Monde

Macron vince nettamente al secondo turno con il 58,5% dei voti validi contro il 41,5% di Marine Le Pen. In tutto, però, 13.656.109 di francesi, pari al 28,01% degli aventi diritto, non si sono recati alle urne ieri per il secondo turno delle presidenziali. Ma, anche guardando ai soli voti espressi, saltano agli occhi l’elevato numero di schede bianche (2.228.044) e nulle (790.946). Se calcoliamo i voti espressi a favore di Macron sul totale degli aventi diritto, emerge che il presidente appena rieletto ha il sostegno di appena il 38,52% dei francesi (18,7 su 48,7 milioni di aventi diritto). Il restante 61,48% non lo ha scelto, o perché non è andato a votare, o perché ha votato scheda bianca o nulla o perché ha votato il candidato avversario.

Aventi diritto: 48.752.500
Macron: 18.779.641
Le Pen: 13.297.760
Astenuti: 13.656.109 (28.01%)
Votanti: 35.096.391 (71,99% degli aventi diritto)
Bianche: 2.228.044 (4,57% degli aventi diritto, 6,35% dei votanti)
Nulle: 790.946 (1,62% degli aventi diritto, 2.25% votanti)

Schematizzando, questo è il risultato finale del voto di ieri calcolato sul totale degli aventi diritto:

  • 1. Macron – 38%
  • 2. Né Macron né Le Pen – 34%
  • Le Pen – 27%

Una prima conclusione che si può trarre da questi dati è che la realtà sociale e politica francese è assai più complessa e frastagliata di quanto i titoli dei mainstream di stamattina non suggeriscano. Di fatto, Macron guiderà la Francia per altri cinque anni con l’appoggio di appena il 38,5% dei francesi. Una minoranza, che governerà su una maggioranza del 61,5%, la quale, per un motivo o per l’altro, non ha saputo o non ha voluto indicare una proposta alternativa. Per governare il 100% della società moderna, non serve avere la maggioranza del paese. Basta avere più voti di tutti quelli che non ti scelgono, ma che non sono in grado di organizzarsi e formulare un’alternativa. Ciò conferma un principio inossidabile, reso ancora più eclatante dal secondo turno francese di ieri: il mondo è sempre più governato non da maggioranze, ma da minoranze coese. Vince chi si allea e riesce ad aggregare, perde chi non si organizza e non è in grado di andare oltre se stesso.

Questa conclusione appare ancora più evidente se confrontiamo i dati di ieri con i dati del 2017.

Grafica: le Monde

Nel 2017 Macron raccolse il 66,1% dei voti validi e il 43,6% di tutti gli aventi diritto. Ciò significa che ha perso il 7,6% dei voti validi e il 5,1% dei voti degli aventi diritto. In numeri assoluti, è sceso dai 20.743.128 voti del secondo turno del 2017 ai 18.779.641 di ieri, con una perdita secca di quasi 2 milioni di voti. Da notare che rispetto al 2017 l’astensione è cresciuta ieri di un’ulteriore 2,6%, il che rende ancora più evidente l’assottigliamento del suo consenso. Macron vince, ma perde voti sia in termini relativi che in termini assoluti. Per contro, Marine Le Pen è passata dai 10.638.475 voti del secondo turno del 2017 ai 13.297.760 voti di ieri, con una crescita di oltre 2,6 milioni di voti in termini assoluti e del 7,6% in termini percentuali sui voti validi.

Il decoupling geografico: aree urbane contro aree rurali

La mappa del voto francese ci rivela poi un altro aspetto eclatante: la profonda spaccatura tra Francia urbana e Francia rurale. Macron ha trionfato a Parigi con l’85,1% e ha vinto con ampio margine in tutti gli altri maggiori centri urbani: 77% a Lille, 81% a Nantes, 75% a Lione, 60% a Marsiglia. YouTrend ci informa che i 10 dipartimenti in cui Macron ha fatto registrare la maggiore crescita rispetto al secondo turno del 2017 (Nord, Bas-Rhin, Parigi, Marne, Rhône, Haut-Rhin, Seine-Saint-Denis, Seine-Maritime, Somme, Hauts-de-Seine) hanno tutti un comune con oltre 90.000 abitanti. Al contrario, i 10 dipartimenti in cui Macron ha registrato l’oscillazione negativa peggiore rispetto al 2° turno del 2017 sono tutti comuni con meno di 50.000 abitanti: Landes, Hautes-Pyrénées, Aveyron, Dordogne, Lozère, Lot, Haute-Loire, Creuse, Cantal, Corrèze. Per contro, Marine Le Pen è avanzata molto rispetto al 2017 nel Centro-Sud occidentale e rurale (Creuse, Corrèze, Hauts-Pyrénées ecc.) e ha continuato ad avanzare nel Nord-Est de-industrializzato (Pas-de-Calais, Aisne ecc.), dove ha stravinto ed era già fortissima cinque anni fa.

Il decoupling sociale: redditi alti contro redditi bassi

Un’altra importante fotografia della società francese ci viene dall’analisi sociologica del voto di ieri. Macron vince tra i redditi sopra i 2.500 euro al mese e stravince tra coloro che guadagnano oltre 3.500 euro al mese. Perde tra le classi medie e meno agiate, tra coloro che guadagnano meno di 1500 euro al mese. L’elettorato di Macron è quello tipicamente urbano: professionisti, dirigenti, quadri aziendali, categorie del terziario, pensionati. Preferiscono, invece, la Le Pen lavoratori autonomi, operai, impiegati, in breve, le classi più disagiate, quelle che hanno pagato il prezzo maggiore della globalizzazione e sono asfissiate dalla fiscalità.

Fonte: BVA France
Fonte: Mathieu Gallard

Quanto ancora potrà reggere il sistema?

Questa è la domanda che tutti ci poniamo dopo aver letto questi dati. Quanto a lungo potrà reggere ancora un sistema che si fonda su un consenso sempre più esile, che contrappone in modo sempre più netto le aree urbane a quelle rurali, che premia sempre più le classi abbienti e le categorie professionali a scapito della classe produttiva (operai, impiegati, piccoli imprenditori, lavoratori autonomi)?

Nessuno può saperlo con certezza. Nessuno è in grado di indicare date. Analizzando il trend, tuttavia, non è azzardato concludere che il problema non è se il sistema alla fine cederà, ma piuttosto quando. La fotografia della società francese del 2022 non è troppo diversa da quella della società italiana e da quella di molte altre realtà occidentali, da entrambi i lati dell’oceano Atlantico. Non è il prodotto di un cambiamento istantaneo, ma piuttosto il risultato finale di un lungo processo di sgretolamento dell’unità democratica del dopoguerra, iniziato da almeno tre decenni e oggi già in fase avanzata. Un progressivo decoupling, come già lo definimmo lo scorso anno, che sta allontanando progressivamente dai centri decisionali, dalla ricchezza, dall’accesso al benessere, dalla partecipazione attiva alla politica fasce della popolazione e dell’elettorato sempre più ampie. Salvo improbabili inversioni di rotta, tutto lascia presagire che questo processo tenderà ad acuirsi ulteriormente nel prossimo futuro, probabilmente nel giro di pochi anni.

C’è un momento in cui, presto o tardi, un edificio pericolante crolla. Ma quel cedimento, benché subitaneo, fragoroso e devastante, è sempre preceduto da un periodo di indebolimento strutturale lento, lungo, silenzioso. Ci vogliono anni perché una crepa si allarghi fino al punto in cui l’equilibrio strutturale dell’edificio risulta irrimediabilmente compromesso. Il Titanic non affondò subito dopo aver impattato l’iceberg. Per 2 ore e 20 minuti continuò a imbarcare acqua, mentre a bordo la maggior parte dei passeggeri faticava a capire quanto era accaduto e quanto fatalmente sarebbe successo da lì a poco. Mezzora, un’ora, due ore, cinque ore, chi poteva dirlo? Notizie contrastanti, wishful thinking, bias di autoconferma, l’orchestra che continua a suonare come se niente fosse. Lentamente si inclinò a babordo, poi progressivamente vide abbassarsi la sua linea di galleggiamento. Infine, non fu più in grado di mantenersi a galla e sprofondò nel giro di qualche minuto. Succederà così. Il quando resta l’unico vero interrogativo.

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