JAMES BRIDLE: “NEW DARK AGE: TECHNOLOGY AND THE END OF FUTURE”

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Come la Scienza diventa sempre più tecnologizzata, cosi ogni dominio del pensiero, e azione umana rivela gradualmente le dimensioni della nostra ignoranza, seppur lasci intravedere anche nuove possibilità. E siccome gli strumenti determinano quello che può esser fatto, essi determinano anche ciò che può esser pensato. Stiamo diventando degli esseri computazionali. Giulio Montanaro recensisce “New Dark Age: Technology and the End of Future” di James Bridle.

In che termini la tecnologia è responsabile del processo di miniaturizzazione dell’intelligenza, delle capacità cognitive e della sensibilità umana? E in che modo tale processo inficia la nostra capacità di comprendere cosa succeda attorno a noi?

L’esperienza della pandemia ha ribadito un’esigenza: quando una tecnica diventa scienza, un’indagine seria sulla natura e i fini del mutamento, è raccomandabile. L’inglese James Bridle, con il suo testo “New Dark Age”, offre strumenti che aiutano a riflettere su questo deficit di comprensione. 

Bridle evidenzia, infatti, l’impatto devastante che la tecnologia sta avendo sull’uomo e sul pianeta. Nel silenzio di chi, tramite la tecnologia e il riduzionismo scientista che ne caratterizza la traiettoria, ambisce a schiavizzare l’uomo. 

Anche se non ci si troviamo interamente d’accordo con la visione dell’autore, il testo di Bridle fornisce un contributo importante per la comprensione della “Nuova Era Oscura” in cui la tecnologia sta accompagnando l’uomo. 

Un’era che si ha paura sarà sempre più dominata dallo spirito cui s’informa quella famosa citazione di Montaigne, secondo cui “l’uomo tende a credere ciò che meno comprende”. In un Occidente in balia della decostruzione dei suoi valori, dove l’unica sacralità ammessa è il Sano Intrattenimento, dove è relegata la considerazione per l’idea di comprensione? 

È questo uno degli aspetti più critici e sottovalutati della tecnologia: la sua capacità di intrattenerci, confonderci, stordirci. Al punto da renderci dimentichi anche di cosa gli infallibili Big Data ci insegnano. Il sano intrattenimento offerto da YouTube, ad esempio, quale impatto ha sull’ambiente? La quotidiana overdose messaggistica dei social media, in che modo contribuisce alla stabilità del clima (per non parlare di quella psico-fisica)? Gli antivirus, fino a dove tutelano l’ecosistema del pianeta? L’esponenziale aumento dei dispositivi digitali, quali insidie presenta per il futuro? 

Andiamo con ordine.

Una delle più singolari espressioni musicali dai tempi di Gan Gam Style, la traccia di Luis Fonsi, Despacito, musica per chi ha già prenotato quinta e sesta dose, registrava oltre cinque miliardi di visualizzazioni mentre l’autore scriveva. A quanto ammonta il volume d’elettricità necessario a riprodurla cosi tante volte? A quello necessario al fabbisogno di quaranta mila abitazioni americane. E al momento, la traccia registra quasi otto miliardi d’ascolti. Come farà ad ascoltare la musica Greta Thunberg? 

La società di John McAfee, scomparso agli inizi della pandemia, impiccatosi in una cella di un carcere catalano in attesa di estradizione, denunciava anni fa che l’elettricità necessaria per l’invio annuale di trilioni di spam, sia pari al fabbisogno di milioni d’abitazioni americane. 

E stimava nel volume di tre milioni di automobili americane la quantità di gas serra generato dagli antivirus.

L’università di Birmingham, nella persona del professor Stephen Murphy, ha evidenziato un aspetto singolare: “Non riceviamo un messaggio (dalle stesse aziende tecnologiche propagandiste del cambiamento climatico ndr) che ci dica che il nostro uso quotidiano di WhatsApp ha rilasciato dieci grammi di carbone.” 

Un’altra accademia, l’università canadese Mc Master, ha messo in luce un esponenziale incremento del gas serra derivante dalla crescita dei prodotti del comparto Informazione e Tecnologia, telefoni, computer e centri di stoccaggio dati, che è previsto assestarsi attorno al 14% entro il 2040. 

Più recenti proiezioni per l’anno 2030, aggiunge chi scrive, stimano il consumo d’energia del comparto ITC nel 15% del volume di consumo globale.

Insomma, il fabbisogno energetico della Dea bendata, dal velo digitale, la Techne Loghia, che che se ne dica, è una delle vere minacce per l’ambiente, come testimonia lo stesso World Economic Forum.

Quando Bridle scriveva (si presume tra 2016 e 2017, il testo ha trovato pubblicazione nel 2018), l’autore riportava un aumento dei dispositivi tecnologici da mezzo milione nel 2012 agli otto milioni del 2017. Come riporta lo stesso autore: “L’energia necessaria per la computazione e la tecnologia digitale sta crescendo molto più velocemente che quanto previsto, e, ironicamente, la stessa tecnologia che usiamo per comprendere il mondo, lo sta anche cambiando in modi molto precari”. 

Gary Cook di Greenpeace, spiega molto chiaramente come ciò stia avvenendo: La brandizzazione della nuvola la fa apparire pulita e a basso impatto ambientale. Dove la nuvola tocca la terra, però, parte un processo significante, di nuova domanda da parte di fonti “sporche” di elettricità, che ci conduce nella direzione sbagliata dal risolvere il cambiamento climatico”.  

La considerazione, il peso, che si tende a dare alle falsità che popolano la realtà esteriore è sempre più inversamente proporzionale all’interesse per la nostra realtà interiore, chiamiamola con termine ormai desueto, cerebrale. 

“Non lavorare sulla nostra identità significa rassegnarsi a un mondo senza alternativa”, ci ammoniva Zygmunt Bauman.

Esattamente l’orizzonte verso cui la tecnologia, sulle ali dell’imperante conformismo e debolezza della società contemporanea, ci sta traghettando come nemmeno il miglior Caronte dantesco avrebbe saputo fare. 

Una Selva Oscura, per anima e intelletto, che Bridle descrive tramite la metafora del Permafrost:“La tecnologia e il progresso stanno degradando le nostre abilità cognitive, stiamo diventando degli esseri computazionali. Il Cambiamento climatico è una crisi di conoscenza, comprensione e comunicazione. Il Permafrostche si scioglie, è un simbolo del pericolo e accelerazione, del collasso, di entrambe le infrastrutture, cognitive e ambientali.” 

Interessante anche il riferimento di Bridle al paradosso della linea costiera di Fry Richardson: “Più si cerca di computare il mondo, più inconoscibilmente complesso appare” dice l’autore al riguardo. 

Teniamo a precisare che l’autore del testo non faccia parte degli scettici sul cambiamento climatico, sebbene diverse dichiarazioni si prestino a interpretazioni ambigue. 

Ambiguità che, invece, intendeva totalmente fugare Chris Anderson nel 2008 con il suo famoso pamphlet “End Of Theory”. Il pezzo di Anderson è un requiem dell’intelligenza umana. A detta dell’autore, i modelli teorici rappresentano ormai rischiose, approssimative ipotesi. E i processi che li generano (il pensiero, la riflessione, il ragionamento) non hanno più ragione di esistere, vista l’ascesa nella contemporaneità della “magia” dei Big Data. Non c’è più bisogno di comprendere nulla al riguardo di ciò che studiamo. Basta arrendersi alla tecnologia e deporre tutta la fiducia nella verità che emerge dai dati dell’informazione digitale. 

Una magia essenziale, come riporta Bridle, ai fini della sorveglianza di massa globale. Una sorveglianza che è semplicemente impossibile senza segretezza politica e opacità tecnologica. Segretezza che va difesa, a ogni costo.

In questi giorni si parla, non abbastanza, di Julian Assange. Come ricorda anche Bridle, Wikileaks è stata un problema per il sistema. Non tanto per quello che ha pubblicato, ma per aver incrementato esponenzialmente il livello di sfiducia, paura e paranoia del pubblico nei confronti del sistema. Un pubblico ormai completamente stordito dall’ondata di comunicazione cui è sottoposto, in maniera conscia o inconscia. 

Le cose che incontriamo nella vita di tutti i giorni sono solo un lato di una realtà più profonda. Realtà di cui non siamo consapevoli. La nostra alienazione da quella realtà più profonda, riduce le nostre capacità e la qualità della nostra vita”, evidenziava, dando dimostrazione di grande consapevolezza esoterica, il francese Guy Debord

La scienza integra alla perfezione il caso in questione, che prendiamo come riferimento per arrivare a conclusione.

Nel 1994 Van Helden & Hankins, due dei principali storici della scienza, pubblicano uno studio chiamato “Strumenti nella Storia della Scienza”:

Siccome gli strumenti determinano quello che può esser fatto, essi determinano anche ciò che può esser pensato”, esordiscono i due autori, iniziando una panoramica delle conseguenze di suddetto ragionamento. Questi strumenti, notano gli autori, includono l’intero sistema sociopolitico che supporta l’investigazione scientifica, dai fondi del governo, alle istituzioni accademiche, alla stampa, alle nuove tecnologie e software, assicurando un incomparabile potere ed un altrettanto esclusiva conoscenza alla Silicon Valley. 

C’è però un profilo più profondo, e più pericoloso, a detta degli autori: la credenza nel singolare. Nell’inviolabile risposta, generata con o senza l’intervento dell’uomo. Dalla presunta neutrale macchina. 

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