LA SINGOLARITÀ E IL GREY GOO SONO SEMPRE PIÙ VICINI

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Si fatica a comprendere il pressante bisogno di migliorare la nostra capacità di pensare, in generale. Soprattutto in un quadro storico in cui le menti sono già torturate sufficientemente su base quotidiana da media, accademie, costrutti sociali e governi tramite, ingegneria sociale, neuroprogrammazione linguistica e propaganda. Che senso avrebbe più la dissonanza cognitiva se si potesse agire ad hoc, direttamente sulle menti individuali tramite un’ingegneria cerebrale invasiva? Giulio Montanaro recensisce il libro di Ray Kurzweil, “La singolarità è vicina”.

La singolarità è sempre più vicina. E così, potenzialmente, il conto alla rovescia per l’avvento del Grey Goo preconizzato nel 1986 da Eric Drexler in Engines Of Creation.

Come già evidenziato in una precedente trattazione del tema sulle pagine del Centro Studi Politici e Strategici Machiavelli, affrontare il testo di Raymond Kurzweil La Singolarità è vicina non è semplice. Il genio di Kurzweil è fuori discussione. Ci si interroga, piuttosto, se si possa dir altrettanto della sua integrità morale e professionale? 

Recenti letture sull’intersezione tra tecnologia e uomo, che saranno prossimamente oggetto di recensione, forniranno altre prove di come una fronda di scienziati stia minacciando l’umanità più di qualsiasi altra forma di terrorismo, immoralità, razzismo, discriminazione, attentato ai diritti, democrazia e libertà dell’Occidente pacifico e senza macchia. 

Già dalla presentazione delle accademie radical chic oltre oceano, il rapporto tra uomo e tecnologia, STS: Science, Technology and Society, denota una chiara sudditanza del sociale rispetto a tecnologia e scienza. Una sorta di surrogato dei predetti, una mera appendice, un feticcio.

Altro fattore che dimostra come il tema dovrebbe essere fonte di diversa considerazione etica rispetto alla superficialità che, nostro malgrado, contraddistingue l’approccio di troppi nostri contemporanei. Che paiono, agli occhi di alcuni, troppo concentrati su fenomeni sociali ormai desueti o speditamente avviati sul viale del tramonto della loro rilevanza sociale, tra cui l’ossessione per la dialettica politica tradizionale, ormai destinata a restare fictio, senza una nuova relazione con la tecnologia stessa. 

Il regime Draghi è stato il chiodo sulla bara della politica: nulla ha ormai più ragione d’essere nei termini in cui è finora stato. Solo una catarsi dei valori del passato veicolata tramite un uso conservativo, fisico, rispetto al trend virtuale (AR e OOOH ad esempio) della tecnologia, ci potrà salvare dalla de-realizzazione del reale e dall’imperversante offensiva dello sciame virtuale e transumano. 

Solo il passato vissuto dalla periferia ci potrà salvare dal futuro architettato dal centro.

Uno sciame che si trasformerà presto in un vero e proprio oceano virtuale chiamato metaverso, dove il regno umano naufragherà, per poi affondare. 

Un infinito naufragar, tutto tranne che dolce, naturalistico e volto a introspezione e crescita interiore, come suggeriscono i versi di Giacomo Leopardi in “L’infinito”, se il timone del futuro dell’uomo sarà affidato a singolarità, nanotecnologie e virtualizzazione del reale. 

Quindi, lasciando alimentare un irreversibile processo di de-umanizzazione ed universalizzazione del pensiero e dei costumi. Che porterà, conseguentemente, all’accettazione della collettivizzazione delle risorse. Che non saranno però nemmeno più elargite a quota, come nel socialismo fisico, bensì secondo il rispetto di predeterminati parametri biometrici e sociali, com’è legittimo che richieda lo Zeitgeist socialista-cibernetico-moralizzante della contemporaneità. 

E che è altrettanto lecito presumere culminerà nella fagocitazione totale della periferia da parte del centro, per usar un concetto già espresso recentemente, in termini sempre diversi, da John FriedmanAlain de Benoist, Aleksandr Dugin,Barbara LiskovRobert C. Martin, Jaron Lanier e svariati altri illuminati filosofi, economisti, programmatori e computer scientists

Il centro oligarchico tecnocratico, e prossimamente transumano, appunto, tramite la tecnologia sta diventando un’autocrazia che dominerà la periferia, ossia il 99,5% della popolazione, esercitandovi imperitura tirannia, sine die

Questo, nemmeno nel worst case scenario. Il conto alla rovescia per il Gray Goo è attivo dal 29 novembre del 2021. Duecento dieci minuti. Che potrebbero scoccare domani, come tra dieci anni. Dipende solo da quando brillerà la scintilla iniziale. 

Nella società de-realizzata, liquefatta, del Great Reset, è probabile che ai Gen Z non sia nemmeno concessa quell’idea di rassegnazione intesa come lusso in cui potersi crogiolare durante la vecchiaia. Un concetto che Indro Montanelli usava per spronare le ultime generazioni che ebbero la fortuna di leggerlo, a lottare, sempre, per cercare di migliorare le sorti del nostro paese. 

Tra il concreto rischio del Grey Goo e l’avversione per l’invecchiamento, in cui trova giustificazione scientifica l’ossessione per le nanotecnologie, si ha sempre più l’impressione che la vecchiaia scomparirà. Assieme all’idea di genere umano che finora l’ha esperita. Per estinzione fattuale, distrutta dalla “poltiglia grigia” nano-tecnologica. O per ibridazione tecnologica tramite impianti digitali sotto cutanei. 

Se i nano-dispositivi saranno dotati della capacità di auto-replicarsi, le loro potenzialità aumenteranno ulteriormente, ma si introdurrano pericoli gravi”, parole di Ray Kurzweil, a detta di alcuni, il Nostradamus della contemporaneità. 

“Perché la nanotecnologia sia utile – continua Kurzweil – bisogna che arrivi a potersi auto replicare… e come l’auto-replicazione biologica, quando esce dai binari (come nel caso del cancro) ha come conseguenza la distruzione biologica.” 

Ebbene, come riportavo alcune settimane fa sulle colonne del Centro Machiavelli, le nanotecnologie sono ora in grado di auto-replicarsi. Non si chiamano più nanobot, sono evolute, esteticamente parlando, in una forma simile ad un ibrido tra un cecio e Pacman, e sono state rinonimate, dall’università del Vermont, Xenobot.

Esistono stime sulle potenziali tempistiche necessarie agli Xenobot per prendere il controllo del ciclo autoriproduttivo ed arrivare a distruggere la biomassa della terra e quindi realizzare il Grey Goo?

Rob Freitas, padre, tra gli altri, dei respirociti, globuli rossi artificiali meccanici in grado di interagire con i nostri capillari e permettere, potenzialmente, tra le altre cose, scatti di quindici minuti senza bisogno di prendere un respiro, ha fatto una stima di circa tre ore e mezza, dalla perdita di controllo del processo di autoreplicazione. 

I famigerati duecento dieci minuti di cui si parlava. 

Nonostante il Center for Responsible Nanotechnology abbia responsabilmente stilato, il 14 dicembre 2003, un documento intitolato “Grey Goo Is Small Issue”, dove fa piazza pulita degli illegittimi dubbi che noi comuni ignoranti, mortali ed impotenti nutriamo davanti allo scientismo imperante, Kurzweil nel suo testo edito qualche anno dopo dice: “Le creature viventi sarebbero le vittime principali di un attacco di nanobot in diffusione esponenziale”.

La buona nuova è che: “in virtù della loro natura nano-scopica, i nanobot sono ancora lenti, e potrebbero quindi essere necessarie alcune settimane affinchè il processo distruttivo faccia il giro del globo”, nota, rassicurandoci, Kurzweil.

Abbastanza tempo, forse, per accaparrarsi uno degli ultimi posti per fuggire su Marte su uno degli shuttle Space X del “Transumano dell’anno”, Elon Musk, il nuovo Sai Baba dello Spirit Tech, dal titolo di un testo redatto lo scorso anno dai Phd Wildman e Stockly che recensirò prossimamente. 

Un fenomeno, quello del “Brave New World Of Consciousness Hacking and Enlightment Engineering”, come dal sottotitolo sempre di “Spirit Tech, che prende sempre più piede in quelle comunità di confine tra New Age, tecnologia e pura follia che ben descrivono l’ambiente intellettuale in cui il testo in questione ha trovato genesi.                 

Una fenomeno che, molto probabilmente, l’autore James Bridle, riterrebbe legittimo valutare coerente espressione della New Dark Age di cui parla nel suo omonimo libro. 

Non c’è quindi di che stupirsi se, Kurzweil, Musk & Co, mentre ci avvertono dei rischi dei loro prodotti già esistenti, siano al contempo impegnati a crearne di ancora più rischiosi. 

“Batteri onnivori e molto robusti potrebbero sbaragliare i batteri reali, diffondersi al vento come polline al vento, replicarsi rapidamente e ridurre la biosfera in polvere nel giro di qualche giorno…”  riporta Rob Freitas in “Gray Goo Problem”.

Lo stesso Freitas è anche autore di  “Some limits to Global Egophagy by Biovorous Nanoreplicators”, pubblicazione in cui dettaglia il potenziale “scenario del plancton grigio”, dove nanobot malevoli potrebbero, attingendo al metano dalle fonti oceaniche e alla luce dal sole, devastare la biomassa planetaria.  

La grande famiglia dei nanobot kurzweiliani è chiaramente inclusiva e volta all’integrazione e all’accoglienza. Tra i suoi ospiti annovera anche i figli di John Storrs Hall, “Utility Fog”, noti anche come Foglets.

Foglets, immagine concettuale. I foglets che collegano le braccia per creare infine una nebbia utile. Un foglet è attualmente un concetto basato su un nanorobot artificialmente intelligente con dodici braccia rivolte in tutte le direzioni. Alla fine di ogni braccio c’è una pinza in modo che molti foglet possano afferrarsi l’un l’altro per formare strutture più grandi (Utility Fog). Una volta parte di una nebbia di utilità, i Foglet possono iniziare a manipolare le loro proprietà utilizzando un “braccio dell’antenna”, che interagisce con la regione della lunghezza d’onda del micron. Questa manipolazione significa che la Utility Fog può creare qualsiasi ambiente visivo, uditivo o tattile desiderato.

Nanotecnologie molecolari, i Foglets sono robot microscopici con un sostanziale potere computazionale, capaci di comunicare con i loro vicini. Ideati per il rimpiazzamento delle cinture degli autoveicoli, vista la loro configurazione a sciame/rete, ideale per ripartire l’impatto sull’intera superficie del corpo del passeggero, si son fatti poi apprezzare in diversi settori. In ambito spaziale, per la comunicazione tra satelliti (ANTS, Autonomous Nanotech) come nella difesa, viste le più recenti applicazioni su materiale anti-proiettile ora in grado di assorbire i proiettili anziché respingerli, proprio grazie alla rete-sciame di nano-dispositivi che costituisce il giubbetto stesso. 

Anche a questo riguardo, si possono trovare maggiori informazioni in una mia pubblicazione inerente alcuni dei più recenti sviluppi dell’Intelligenza Artificiale, sempre pubblicata dal think tank  Centro Machiavelli

In una società che investe più per alimentare criminalità e controllo, da usare poi contro l’intera popolazione, che per finanziare la ricerca, si fatica a comprendere con ragione e buon senso l’urgenza dell’upgrade tecno-biologico dell’umanità paventato da Kurzweil. 

“Se vogliamo sperimentare la realtà – dice Kurzweil – i nanobot se ne stanno in posizione (nei capillari) e non fanno nulla. Se vogliamo entrare nella realtà virtuale, sopprimono tutti gli input provenienti dai nostri sensi e li sostituiscono con i segnali che sarebbero appropriati per l’ambiente virtuale… potremo decidere di muovere i nostri muscoli e i nostri arti normalmente ma i nanobot intercetteranno i segnali fra i neuroni, impediranno agli arti reali di muoversi e invece faranno muovere i nostri arti virtuali, regolando opportunamente il nostro sistema vestibolare e provocando movimenti e il re-orientamento opportuni all’ambiente virtuale… “ 

Gli imperi del futuro sono gli imperi della mente” diceva un certo Winston Churchill preconizzando le stagioni di futuro controllo totale e globale in cui la Piandemia ci sta accompagnando.

Ancora, a pensar mal si fa peccato, ma questi impellenti e inevitabili aggiornamenti tecno-biologici, ma soprattutto, come dice lo stesso autore di “La Singolarità è vicina” tecno-ottimisti, cui l’uomo dovrebbe correre incontro con entusiasmo, non trovano grande giustificazione, agli occhi degli analisti, se non nella prospettiva imperialista di cui parla Churchill. 

Il bisogno di sostituire le lentissime centomila miliardi di connessioni inter-neurali umane di default, con delle connessioni ad alta velocità che avvengono tramite comunicazioni fra nano-dispositivi, è un primo esempio dell’incapacità di trovare una buona motivazione a tale pratica. 

O il bisogno di migliorare la capacità di riconoscimento delle forme. Che, salvo essere essenziale in una vita contraddistinta dalla “plasticità” virtuale, da un regno tattile tra il liquido e il fluido, che si sa già essere il prossimo shock per il nostro sistema nervoso, non sappiamo se sia più produttivo o controproducente per noi comuni umani. 

O che dire della necessità di agire presto con chirurgia virtuale sui traumi della nostra mente, de-realizzando anche i nostri ricordi, andando oltre la compartimentalizzazione degli shock e di quei reconditi processi mentali che in parte hanno anche caratterizzato per millenni l’evoluzione intellettuale della specie? 

Si fatica a comprendere, inoltre, il pressante bisogno di migliorare la capacità di pensare in generale. Soprattutto in un quadro storico in cui le menti sono già torturate sufficientemente su base quotidiana da media, accademie, costrutti sociali e governi tramite, ingegneria sociale, neuro programmazione linguistica e propaganda. 

Effettivamente però, che senso avrebbe più la dissonanza cognitiva se si potesse agire ad hoc, direttamente sulle menti individuali tramite ingegneria cerebrale invasiva?

Dicevamo, si fatica a darsi ragione, senza malizia né sospetto, di queste impellenti, inevitabili necessità di evoluzione transumana tanto sentite dall’autore. 

Il rischio di un universalismo e collettivismo virtuale perennemente e totalmente sorvegliato digitalmente da remoto si profila concretamente come una potenziale nuova forma totalitaria globale, molto reale e prossima, agli occhi di chi analizza tali fenomeni quotidianamente. 

Chiudiamo la recensione sottolineando come l’autore rimarchi più volte, singolarmente, che: “abbandonare l’idea di progresso è inevitabile sinonimo dell’avvento di un totalitarismo planetario”. 

E che smantellare la tecnologia significherebbe automaticamente accettare “un nuovo mondo totalitario” che sarebbe però “improbabile” visto “l’impatto democratizzante delle comunicazioni elettroniche… sempre più decentralizzate… il movimento verso la democrazia ed il capitalismo e la crescita economica degli anni 90… tutti alimentati dalla forza di queste tecnologie.” 

Sic transit gloria mundi, homo electronicus.


Ray Kurzweil, La singolarità è vicina, Apogeo education, 2008, ISBN: 9788838787669

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2 thoughts on “LA SINGOLARITÀ E IL GREY GOO SONO SEMPRE PIÙ VICINI

    1. Cappella nostra, non dell’autore.
      Ci cospargiamo il capo di cenere.

      Grazie per la segnalazione, abbiamo corretto.
      La Redazione

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