Viviamo, almeno dal settembre del 2001, in un mondo sempre più ossessionato dalla sicurezza. La sicurezza è però percezione della stessa, altrimenti i genitori che nei violenti anni Settanta giravano bambini o adolescenti per le periferie italiane non penserebbero, come oggi fanno, che i sonnecchianti centri delle piccole città italiane siano pericolosi per i loro figli. Basta prendere un treno per rendersi conto di quanto sarebbe facile, per chi volesse, causare una strage in una stazione: nessuno controlla i bagagli, le borse possono essere dimenticate sulle vetture e nessuno se ne accorge, gli orari e gli afflussi di persone sono sempre gli stessi. Eppure milioni di italiani prendono un treno ogni giorno senza averne paura, ma tremerebbero dalla stessa se in aereo potessero salire senza previ controlli di sicurezza.
Quando la pandemia da Covid ha investito l’Occidente, la reazione dei governi è stata in linea con quanto visto nell’ultimo ventennio. Una minaccia per la sicurezza da bloccare whatever it takes. Ecco quindi i lockdown, le mascherine, gli spray igienizzanti, il plexiglass, i protocolli e poca importa se funzionano. In buona o in cattiva fede questa è stata la grande capacità del governo Conte: trasmettere l’idea che fare qualcosa, qualsiasi cosa, è meglio di non fare nulla e, di conseguenza, che fare qualcosa, qualsiasi cosa, permette di svolgere tante attività in sicurezza. I protocolli nelle scuole superiori sono una cartina di tornasole di tutto questo: avrebbero un senso se vivessimo in un campo militare, perdono qualsiasi significato nel mondo reale. Perché a scuola quegli stessi ragazzi adottano comportamenti e misure di prevenzione che, appena varcati i confini della scuola e naturalmente, ignorano. A scuola distanziati, ma fuori ci si abbraccia; a scuola si entra scaglionati, ma il sabato sera si esce insieme; a scuola con le mascherine, ma prima di entrare ci si scambia le sigarette. Una strategia che ricorda quella inventata dal generale confederato John B. Magruder, che faceva sfilare le stesse truppe in posizioni diverse per far credere al nemico che osservava da lontano di avere a sua disposizione molti più uomini del reale.
Poste in atto le misure, garantita la loro efficacia, il loro mancato, o scarso, impatto non poteva che venire attribuito all’indisciplina della popolazione. Tutto funzionerebbe se la gente facesse ciò che deve e tante volte abbiamo sentito ripetere che,. se fossimo rimasti ancora in lockdown, il virus sarebbe scomparso, che se avessimo tutti usato le mascherine lo avremmo eradicato un anno fa, che se avessimo aspettato a “riaprire” prima dell’estate il Covid sarebbe già un ricordo. Per questa ragione il contagio è diventato un peccato, la malattia una colpa. Così le giustificazioni dei peccatori e dei colpevoli: colpa degli altri se pecco (mi contagio), oppure il pentimento di chi ha fatto davvero tutto per evitare il peccato (il contagio), ma è comunque caduto nella tentazione. D’altra parte, il giusto vivrà per fede! Nell’illusione dell’eradicazione, della guerra al nemico invisibile, la quinta colonna è il vero nemico, a maggior ragione quando alberga dentro di noi. San Bernardo di Chiaravalle nella sua lode degli ordini monastico-militari diceva chiaramente che ogni crociata combatteva, prima che contro il nemico esterno, contro il nemico interno che risiedeva nel suo cuore.