QUELLE MASCHERINE OBBLIGATORIE SOLO PER LA CLASSE DEI SERVI

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Dietro l’applicazione sistematicamente selettiva delle restrizioni pandemiche si sta affermando una nuova, rozza forma di segregazione socio-culturale. Ne parla Glenn Greenwald nel suo articolo The Masking of the Servant Class: Ugly COVID Images From the Met Gala Are Now Commonplace, che pubblichiamo in traduzione.

 
 
 

Fin dall’inizio della pandemia, le élite politiche sono state ripetutamente colte a esentarsi dalle regole restrittive che impongono alla vita dei loro governati. Governatori, sindaci, ministri e presidenti della Camera sono stati ripresi mentre violavano i loro stessi protocolli Covid per cenare con i più stretti amici lobbisti, godersi gradevoli trattamenti in saloni chic o rilassarsi – dopo aver firmato nuovi ordini di blocco e quarantena -sgattaiolando via per un weekend con la famiglia. La tendenza è diventata così diffusa che ABC News ne ha raccolto tutti gli esempi sotto il titolo Eletti accusati di ipocrisia per non aver seguito i propri consigli COVID-19, mentre Business Insider a maggio ha aggiornato il rapporto riportando che «14 eminenti democratici sono accusati di ipocrisia per aver ignorato le restrizioni COVID-19 che esortano i loro elettori ad osservare».

 
 
 

La maggior parte di queste trasgressioni erano troppo flagranti per essere ignorate, e hanno quindi prodotto un certo grado di scandalo e risentimento per i politici che si concedevano simili licenze. La cultura liberal dominante è, senonaltro, ferocemente rispettosa delle regole: si arrabbiano molto quando vedono qualcuno sfidare i decreti delle autorità, anche se il trasgressore è il funzionario che ha promulgato le direttive per tutti gli altri. Le foto, pubblicate lo scorso novembre, del governatore della California Gavin Newsom che ridacchiava senza mascherina accomodato insieme ad altri funzionari della sanità statale (anch’essi privi di mascherina) durante i festeggiamenti per il compleanno di un potente lobbista – il tutto appena un mese dopo aver detto ai cittadini di «mettere la mascherina anche tra un morso e l’altro», e mentre erano in vigore severe restrizioni imposte dallo Stato per l’uscita di casa – gli hanno causato un calo di popolarità e hanno contribuito ad alimentare un’iniziativa di richiamo a suo carico. Newsom e questi altri funzionari hanno infranto le loro stesse regole, e anche tra i liberal che venerano i loro leader come celebrità la violazione delle regole è disapprovata.

 
 
 

Come spesso accade, però, gli aspetti più inquietanti del comportamento delle élite non stanno in ciò che esse proibiscono, bensì in ciò che stabiliscono essere ammissibile. Quando si tratta dell’obbligo di mascherina, è ormai abitudine vedere due distinte classi di persone: quelli che rimangono senza maschera mentre vengono serviti, e quelli che stanno al servizio dei primi, obbligati ad avere il volto coperto in ogni momento. Prima della pandemia di Covid, era difficile immaginare come l’enorme abisso tra la vita delle élite culturali o politiche e quella di tutti gli altri si potesse ulteriormente allargare, eppure la pandemia ha generato una nuova forma di rozza segregazione culturale: una serie di protocolli che assicurano che le élite senza maschera non debbano mai gettare gli occhi sui volti della loro classe di servitori.

 
 
 

Il mese scorso, un delizioso evento è stato ospitato dalla Presidente della Camera Nancy Pelosi (D-CA) per ricchi donatori democratici a Napa – la stessa regione vinicola scelta per la famigerata cena del governatore Newsom – in cui i biglietti più economici costavano 100 dollari l’uno e un posto a sedere riservato poteva essere preso per 29.000 dollari. Il video dei festeggiamenti all’aperto ha mostrato una folla prevalentemente bianca di ricchi donatori democratici seduti senza mascherina praticamente uno sopra l’altro – impossibile riscontrare un minimo di distanziamento sociale – mentre la Pelosi impartiva la sua profonda saggezza sulla politica pubblica. Il gala si è svolto mentre milioni di persone affrontano sfratti, disoccupazione e sempre nuovi obblighi di ogni tipo. E si è svolto oltretutto a soli cinque giorni dall’istituzione dell’obbligo di mascherina in tutta la contea per “grandi eventi all’aperto”, approvato dal governo liberal della contea di Los Angeles in ragione della variante Delta. Nella vicina San Francisco, dove si trova la villa della Pelosi, il governo della città, a guida liberal, ha mantenuto sulle mascherine all’aperto una linea più restrittiva di quella del CDC: sebbene le mascherine non siano richieste per attività fisiche all’aperto come il jogging o durante il consumo di cibo, le regole della città per gli eventi all’aperto stabiliscono «che in qualsiasi raduno con più di 300 persone, le maschere sono ancora obbligatorie sia per le persone vaccinate che per quelle non vaccinate». Sebbene il pranzo di raccolta fondi della Pelosi non sia arrivato alla soglia di 10.000 persone (che è la soglia prevista per l’obbligo all’aperto nella contea di Los Angeles), sarebbe potuto rientrare nei limiti previsti per l’obbligo a San Francisco. In ogni caso, sembra tutto quantomeno arbitrario: come La Scienza™ del rischio COVID si sarebbe potuta così drasticamente modificare per gente seduta senza distanziamento a tavoli densamente affollati, se ci fosse stato qualche tavolo in più di donatori della Pelosi? Le ultime linee guida del CDC per gli eventi all’aperto esortano le persone a «prendere in considerazione l’idea di indossare una mascherina […] per attività a stretto contatto con persone non completamente vaccinate».

 
 
 

Cercare di trovare una logica scientifica convincente per tutto ciò è praticamente impossibile. Le regole sono così contorte e spesso arbitrarie che è facile costruire argomenti per giustificare legalmente la condotta in stile Versailles dei propri leader politici liberal preferiti. Al di là della legalità, tutto ciò che si fa può essere contemporaneamente dichiarato responsabile o spericolato, a seconda delle esigenze politiche del momento.

 
Ma ciò che più sorprende dell’evento della Pelosi non è stata la possibile infrazione delle regole, bensì un sistema a due livelli visceralmente e scomodamente ovvio. Anche se molti dei ricchi donatori bianchi non avevano cibo di fronte a loro e non stavano ancora mangiando, non c’era una mascherina in vista. Tranne che sui volti delle persone, prevalentemente non bianche, assunte come camerieri, che avevano tutti i loro volti gratuitamente coperti. I servi, a quanto pare, sono molto più gradevoli se disumanizzati. Non c’è bisogno di nasi o bocche o altri tratti facciali identificabili per coloro che vengono convertiti in robot servili.
 

Scene simili si sono viste all’ancor più opulenta festa di compleanno che l’ex presidente Barack Obama ha organizzato per celebrare i suoi 60 anni sul pianeta, data nella sua tentacolare tenuta da 12 milioni di dollari nel fine settimana a Martha’s Vineyard. Qui Obama e 400 dei suoi più stretti amici – senza mascherina – hanno trascorso ore in tendoni coperti a ballare, chiacchierare in cerchi stretti e urlare l’uno nelle orecchie dell’altro sulla musica dal vivo. Nonostante agli ospiti siano state offerte maschere su misura incise con la rinomata umiltà di Obama (“44×60”), solo la servitù ha indossato maschere […] Parlando alla CNN della polemica sulla sontuosa festa di Obama, la giornalista del New York Times Annie Karni ha spiegato che mentre alcuni amici dell’ex presidente hanno trovato la festa discutibile per ragioni di salute e/o estetica, molti hanno invece fermamente sostenuto che simili preoccupazioni siano applicabili solo alla gente comune, non al tipo di persone avanzate ed evolute come quelle che potrebbero essere invitate a un party liberal così stravagante ed esclusivo. Karni ha descritto questa diffusa mentalità con vivida accuratezza: la controversia – ha detto – «è davvero esagerata. Stanno seguendo tutti i requisiti di sicurezza. Le persone vanno a eventi sportivi che sono più grandi di questo. Questo sarà sicuro. Questa è una folla sofisticata e vaccinata e si tratta solo di apparenza, non di sicurezza».

 
 
 
 
 
 
 
 

Una valanga di immagini altrettanto ripugnanti si è riversata lunedì sera nello spettacolo di corte più goloso e opulento di tutti: l’annuale Met Gala tenuto dalla caporedattrice di Vogue Anna Wintour. Town and Country ha lamentato che l’evento – un tempo alto e dignitoso – è diventato piuttosto gauche da quando è stato invaso da celebrità culturali e magnati nouveau riche: «in questi giorni, il gala è un circo mediatico altamente commercializzato e celebrity-driven che acclama le mise sensazionalistiche di gente a cui del museo non potrebbe importare di meno». Eppure, nonostante il degrado, la rivista considera ancora l‘appuntamento come «l’evento della moda e della società dell’anno». Nel 2014, la Wintour si era lamentata che l’evento non fosse sufficientemente esclusivo e aveva aumentato i prezzi dei biglietti a 25.000 dollari a persona, per tenere fuori il riff-raff che l’anno precedente aveva potuto accedere al prezzo medio di 15.000 dollari per biglietto. I biglietti quest’anno costano fino a 35.000 dollari l’uno. È – ha dichiarato Vogue della Wintour questa settimana – «l’equivalente mondiale degli Oscar nel campo della modamondiale degli Oscar nel campo della modamondiale degli Oscar nel campo della modamondiale degli Oscar nel campo della modamondiale degli Oscar nel campo della moda». E mentre nel 2020, in un atto di nobile sacrificio e dovere sociale, gli organizzatori dell’evento avevano con dispiacere annullato il gala a causa della pandemia di coronavirus, quest’anno la Wintour è stata determinata a non lasciare che questioni spiacevoli come i reparti di terapia intensiva traboccanti, le chiusure scolastiche in corso, gli sfratti di massa incombenti e i pervasivi obblighi di mascheramento rovinassero il grande divertissement lasciato in eredità ai servi del mondo, ossia guardare la loro amata bejeweled class posare in abiti firmati. Seguendo l’esempio della Pelosi e di Obama, una lunga lista di star americane in pieno scintillio ha coraggiosamente rischiato l’esposizione a un virus mortale mostrandosi senza mascherine, per garantire che gli americani non restassero più privi di un momento così riccamente gratificante. Co-presieduto da Timothée Chalamet, Billie Eilish, Amanda Gorman e Naomi Osaka, il gala includeva anche, a titolo di presidenza onoraria, Tom Ford, Adam Mosseri di Instagram e la stessa Wintour.

 
 
 

Nella serata di lunedì l’attenzione è stata catturata in gran parte dall’apparizione sul tappeto rosso della deputata Alexandria Ocasio-Cortez (D-NY). La solita orda di inaciditi oppositori online e invidiosi guastafeste ha cercato di insinuare che ci fosse qualcosa di incongruo in un politico socialista che partecipa allegramente al più volgare tributo al capitalismo e alla disuguaglianza sociale che emerge dai gala murati lanciati dall’aristocrazia francese alla Reggia di Versailles. Alcuni critici meschini e risentiti hanno persino suggerito che l’ultima svolta stellare della Ocasio-Cortez abbia in qualche modo illustrato ciò che Shant Mesrobian ha definito in modo denigratorio come «lo Squad-brand del sinistrismo culturale sofisticato e di classe professionale», che «ora offre agli eletti un percorso verso la fama e lo status di icona pop aggirando gran parte dei vecchi affari della politica che sporca le mani», in base al quale «la stessa carica elettiva è diventata solo un trampolino di lancio per la celebrità nei social media» dove «mantenere un impero da influencer social rivaleggia, o addirittura supera, la priorità di essere un legislatore di successo».

 
 
 

Fortunatamente, molti dei più devoti sostenitori socialisti della Ocasio-Cortez si sono fatti avanti con appassionate difese della loro leader. Come hanno sottolineato, sul retro del suo abito bianco incontaminato era dipinta – in inchiostro rosso perfettamente proporzionato e scorrevole, con gusto che evidenzia le straordinarie virtù della silhouette del capo indossato – una frase di sinistra: Tax the Rich. Frase che non solo avrebbe aggredito le celebrità liberal – sostenitrici di Biden – presenti all’evento, ma le avrebbe fatte sentire in pericolo nel loro stesso ambiente, come se la loro ricchezza e i loro privilegi fossero messi a rischio non da lontano ma da qualcuno di loro stessi, dall’interno. Niente, dunque, di ciò che i critici sporchi e meschini della Ocasio-Cortez hanno cercato di insinuare dicendo che era un modo per attirare l’attenzione, per costruire la propria celebrità, per fare un branding con cui la Cortez ancora una volta si sarebbe prodigata a compensare su più fronti le stesse gerarchie economiche e culturali che afferma di disprezzare e promette di combattere. No, in realtà lei era impegnata in un atto rivoluzionario e sovversivo: iniettare nei circoli aristocratici un messaggio meravigliosamente artistico ma ostile.

 
 
 

Ad onta delle lamentele dei suoi critici meschini e gelosi, la Ocasio-Cortez non si stava divertendo ad una delle feste di corte di Luigi XVI. Al contrario: stava prendendo d’assalto la Bastiglia. Non con le armi o il fuoco, ma con la graziosa eleganza e il design del rinnegato marxista ribelle che rendeva la sua presenza ancora più ingannevolmente dirompente. Certo, può essere sembrato che i corrispondenti sul red carpet di Vogue e gli altri luminari del Met stessero zampillando di ammirazione e reverenza per la sua audace esibizione di moda, ma in realtà tremavano di paura per ciò che la Cortez aveva fatto. Tremavano di rabbia e paura, non di gioia come appariva. Inoltre, come la stessa Cortez – in nome della sua coscienza di classe – ha detto, il fatto stesso che lei possa partecipare al Met Gala mentre tu non puoi è la prova della potenza del movimento di sinistra che lei guida. In piedi accanto ad Aurora James, la stilista del suo abito, ha rivelato la strategia clandestina sottostante alla sua sovversiva presenza: «Abbiamo davvero iniziato a discutere su cosa significhi essere una donna di colore della classe operaia al Met […] non possiamo semplicemente giocare, ma dobbiamo rompere la quarta parete».

 
 
 

In altra occasione, la Ocasio-Cortez ha anche spiegato che la sua apparizione al Met Gala è stata un momento spartiacque per la politica della classe operaia, perché è vitale ch’essa non sia confinata ai luoghi poveri e della classe medio-bassa quando diffonde la sua ribellione che alza i pugni. Al contrario: deve sopportare l’onere di portare la sua causa all’élite più ricca e privilegiata del mondo e ai saloni esclusivi ch’essa occupa. Pensate quanto deve essere privo di immaginazione e miope chi non sa riconoscere la creatività della Cortez ed essergliene grato. Gli attacchi, guidati dalla gelosia, da parte di gente culturalmente inferiore sono stati quasi certamente ispirati da varie forme di suprematismo bianco, misoginia e colonialismo, come lei stessa aveva detto a proposito di quanti l’avevano criticata nel 2018 per aver indossato un abito costoso («le donne come me non dovrebbero candidarsi») o quando ha denunciato gli atteggiamenti sprezzanti e altezzosi di Nancy Pelosi nei confronti della cosiddetta Squad («Nancy Pelosi ha “additato” le matricole di colore del Congresso»).

 
 
 

Peggio ancora, però, il bullismo traumatico di lunedì sera ai danni della Cortez ha oscurato un fatto molto più importante: ancora una volta, abbiamo visto le élite volteggiare nel mezzo di una pandemia senza mascherina, mentre i salariati a ore per servirli o per cercare disperatamente di scattare loro una foto erano tenuti a mantenere il volto inutilmente coperto di stoffa in ogni momento.

 
 
 

Le regole COVID sono ora così contorte che i liberal sono in grado di difendere le azioni dei loro leader senza nemmeno fingere che abbiano senso sotto una prospettiva scientifica o razionale. Molti hanno difeso le feste senza mascherine di Newsom e Obama sulla base del fatto che era tutto “all’aperto”, anche se entrambi erano in realtà all’interno di strutture coperte e la gente si era vergognata per mesi di portare i figli in spiagge deserte piuttosto che tenerli chiusi a casa. I liberal sostengono che vada bene per le élite del partito di Obama e del Met Gala rimanere senza mascherina poiché si tratta di vaccinati, anche se nel contempo difendono le nuove direttive del CDC sulle mascherine per i vaccinati perché i vaccinati trasmettono ancora pericolosamente la variante Delta sia agli altri vaccinati che ai non vaccinati. Affermeranno che va bene per i ricchi donatori democratici alla festa della Pelosi sedersi uno sopra l’altro senza mascherina perché stavano mangiando, anche se il video mostra che non avevano cibo di fronte a loro (stavano aspettando che i camerieri neri mascherati portassero il loro cibo) e anche se spalare il cibo nella bocca aperta non crea in realtà un muro di immunità contro la trasmissione del virus dai propri vicini a bocca aperta. Si dice che il tappeto rosso del Met Gala sia “all’aperto” anche se è circondato da muri di tende e altre strutture, e comunque resta la domanda sul perché i lavoratori, nella stessa area, debbano essere mascherati.

 
 
 

Ma tutto questo ha smesso di riguardare La Scienza™ molto tempo fa. Dopo mesi di messaggi ossessivi secondo cui restare a casa era un dovere morale a meno di non voler uccidere sociopaticamente la nonna, da un giorno all’altro il mantra è stato sostituito da quello secondo cui avevamo il dovere morale di uscire di casa per partecipare a proteste di strada densamente affollate, poiché il razzismo contro cui si protestava era una minaccia più grave per la salute pubblica rispetto alla pandemia globale di COVID. Si possono individuare in tutta questa logica confusa e sempre mutevole varie forme di controllo, vergogna, stigmatizzazione e gerarchia, ma non La Scienza™: quella non si trova da nessuna parte.

 
 
 

E anche con tutto questo inganno manipolatorio, resta qualcosa di straordinariamente inquietante – persino raccapricciante – nell’abituarsi a vedere i membri delle élite politico-culturali sguazzare nel lusso senza mascherine mentre coloro che percepiscono piccoli salari per servirli in vario modo sono costretti a tenere la stoffa sui loro volti. È un potente simbolo del crescente marciume al centro della balcanizzazione culturale e sociale dell’America: un’élite senza maschera assistita da una classe di servitori permanentemente senza volto. I lavoratori del paese sono stati a lungo senza volto in senso figurato, e ora, grazie all’applicazione estremamente selettiva di restrizioni COVID decisamente non scientifiche, quella condizione è diventata letterale.

 
 
 

[traduzione a cura di Gavino Piga]

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