Molti giuristi hanno evidenziato i vari motivi per cui questa certificazione è in conflitto con diversi articoli della nostra Costituzione, nonché con ordinamenti comunitari e internazionali. Le varie ragioni sono ben riassunte in una petizione indirizzata al Presidente della Repubblica che anche il sottoscritto ha firmato nei giorni scorsi.
In questa sede desidero, tuttavia, discutere i motivi per cui le certificazioni verdi Covid-19 sono inadatte a tutelare la salute pubblica, motivi che fino ad oggi hanno ricevuto un’attenzione scarsa o nulla nella discussione politica e mediatica. Va ricordato, come premessa, che le certificazioni sono concesse a chi abbia completato un ciclo vaccinale, a chi sia guarito da Covid-19 e a chi si sia sottoposto a un tampone per la ricerca di SARS-CoV-2 con esito negativo. In altri termini, la certificazione si fonda sull’assunto che vaccinati e guariti siano ipso facto non contagiosi e che un esito negativo di un tampone garantisca analoga condizione.
In primo luogo, è ormai ampiamente acclarato che chi si vaccina può ancora contagiarsi, forse meno di chi non si sia vaccinato, ma pur sempre in misura alquanto consistente. Ad esempio, i dati più recenti del programma britannico REACT-1, che dal 2020 registra i contagi nella popolazione inglese, mostrano una percentuale di contagi di 1,21% nei non vaccinati e di 0,40% nei vaccinati. Poco più di un positivo su 100 nei non vaccinati e poco meno di 1 positivo su 200 nei vaccinati, che fa in termini di efficacia relativa 66%. Questo significa che nei vaccinati c’è il 66% in meno di positivi. Volendo tradurre il dato in riduzione assoluta del rischio di contagio, il risultato è 0,81%, ossia il rischio assoluto di contagiarsi (in una scala da 0 a 100) si riduce con il vaccino dello 0,81%, passando da 1,21% a 0,40%. Che chi si è vaccinato possa poi, a sua volta, contagiare altri è solidamente documentato sia da osservazioni cliniche pubblicate su riviste scientifiche, che descrivono casi di contagio anche in assenza di sintomi di Covid-19, sia da tante notizie di cronaca, dal noto concerto olandese cui era stato ammesso solo pubblico in possesso di certificazione[2], ai focolai su navi da crociera che imbarcavano solo vaccinati[3][4], fino al caso, segnalato proprio oggi dalla stampa britannica, del festival Boardmasters in Cornovaglia, a seguito del quale si sono registrati oltre 4.700 casi di Covid-19 nonostante l’accesso fosse riservato ai possessori di Covid Pass.[5]
In secondo luogo, così come si contagiano i vaccinati, altrettanto possono contagiarsi coloro che dal Covid-19 sono invece guariti. In Austria, durante il periodo settembre-novembre 2020, ossia nella cosiddetta “seconda ondata”, si è contagiato lo 0,27% dei guariti da Covid-19 contratto nella “prima ondata”, rispetto al 2,85% della popolazione non precedentemente infettata. L’efficacia relativa dell’immunità naturale è stata dunque del 91% (1 – 0,27/2,85), del tutto sovrapponibile a quella dei vaccini attualmente in uso, mentre la riduzione assoluta del rischio è stata 2,85% – 0,27% = 2,58%, meglio di quelle riportate negli studi autorizzativi dei vaccini (Pfizer 0,84%, Moderna 1,12%, Janssen 1,18%, Astrazeneca 1,74%). Non sono al corrente di casi documentati di contagio da guariti reinfettati. È, tuttavia, plausibile che possa accadere, così come accade con i contagiati malgrado i vaccini.
A tal proposito, anziché ragionare in termini di vaccinati e non vaccinati, sarebbe molto più importante dirimere una controversia che data fin dall’inizio dell’epidemia, ovvero se una persona contagiata, ma asintomatica (che sia vaccinata, guarita o non vaccinata), possa a sua volta essere contagiosa oppure no. Molte ricerche suggeriscono di no. Tra queste ricordo, a titolo di esempio, lo studio condotto la scorsa estate a Wuhan in Cina, che identificò solamente 300 positivi, tutti asintomatici e non contagiosi. L’equivalente inglese del nostro CTS, d’altra parte, già lo scorso inverno considerava molto più utile, al fine di ridurre la diffusione del contagio, sottoporre a test le persone sintomatiche, in modo da non disperdere inutili risorse alla ricerca di positivi asintomatici, e raccomandava di definire i “casi” su base clinica e non soltanto laboratoristica. Concludere che la contagiosità dei positivi asintomatici è irrilevante avrebbe conseguenze ovvie, ma di enorme rilievo, sull’intera gestione pubblica dell’epidemia.