MARIO DRAGHI: CHI È E CHE COSA DOBBIAMO ASPETTARCI. Conversazione con Liliana Gorini, presidente di MoviSol

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Mentre l’intero arco costituzionale, con mainstream al seguito, riceve in Mario Draghi il provvidenziale messia giunto a salvarci dalla catastrofe, noi vogliamo provare a gettare sguardi più disincantati sulle vicende che ne hanno contrassegnato la storia. Perché è una storia piuttosto lunga, quella di Draghi, ben più di quanto certe agiografie lascino intendere. E non è esente da ombre, com’è naturale per chiunque frequenti il mondo della finanza speculativa, delle grandi banche e dei circoli di riferimento dell’oligarchia globale.

Così abbiamo scelto di parlarne con Liliana Gorini, che quel mondo lo ha studiato a fondo: ne fa fede la mole di materiale prodotto negli ultimi trent’anni dal movimento di cui è presidente, il MoviSol, sezione italiana del movimento fondato da Lyndon LaRouche, l’economista che in tempi non sospetti aveva previsto il crac globale del sistema finanziario. E che fino alla sua scomparsa non ha cessato di mettere in guardia dalla progressiva finanziarizzazione dell’economia, in ogni sede possibile, compreso il Senato italiano dove venne audito nel 2007: «L’attuale sistema, fondato sugli hedge funds» – disse in quell’occasione – «non è economia, è un cimitero, è il cimitero delle nazioni, è il cimitero delle economie, si basa sul saccheggio delle risorse materiali delle nazioni, e cosa resta in una nazione dopo il saccheggio?». Di qui campagne energiche, come quella per la separazione bancaria. E l’incessante critica a quel sistema che già aveva in Draghi uno degli astri più luminosi. Proprio il Draghi che, paradossalmente, oggi riappare in veste di salvatore di un’Italia che soffoca fra le macerie di quel sistema, dopo i disastri che LaRouche aveva previsto e denunciato.

L’affacciarsi di Draghi in questa crisi sa di finto finale a sorpresa. In realtà per mesi i politici di tutti gli schieramenti hanno inciampato sul suo nome dando l’idea di una tela già in via di rifinitura, da svelare al momento opportuno. Ma perché il momento opportuno è ora? Secondo lei quale agenda ha davvero dettato i tempi della crisi? 

Come ho spiegato nella mia dichiarazione del 29 gennaio dopo aver ascoltato Renzi, subito dopo il suo incontro col Presidente Mattarella, quella che molti definivano una “crisi al buio” in realtà era una crisi pilotata, e preparata da mesi. Il governo Draghi rientra nel Grande Reset annunciato al Forum Economico Mondiale, ovvero la trasformazione verde dell’economia mondiale, che secondo Eric Heymann, economista di Deutsche Bank, sarà possibile solo con una «dittatura verde». Una dittatura che imponga drastici tagli ai consumi ed ai livelli di vita. E che prevede anche che la politica fiscale ed economica non venga più decisa dai governi ma dalle banche centrali. La sfacciataggine di Renzi al Quirinale, il fatto che col 2% dei voti sia riuscito a ricattare una nazione intera, si spiega con una decisione presa non da lui ma dall’oligarchia finanziaria, la stessa che ha distrutto la nostra economia, privilegiando la bolla speculativa rispetto all’economia reale ed al credito per imprese e famiglie. Avere un ex banchiere centrale, ex capo della BCE, ex vicedirettore di Goldman Sachs a capo del governo italiano rientra nel Grande Reset. A quanto pare hanno scelto il nostro Paese come terreno di un esperimento: fino a che punto la popolazione italiana sarà disposta ad accettare altri sacrifici, altri tagli al bilancio, la chiusura di Ilva ed altre industrie nel nome del Green Deal e del “governo di salvezza nazionale”?

 

Naturalmente per Draghi – come fu per Monti – è subito partito il processo di beatificazione a reti unificate. Unica eccezione: il testo del discorso fatto nel 1992 sul Britannia, che curiosamente è stato messo in circolazione trent’anni dopo. Secondo lei perché?

È singolare assistere a questo processo di “beatificazione”, come lei lo definisce giustamente, benché tutti sappiano che Draghi, Super-Mario, il salvatore della patria, nel 1992 non solo svendette la nostra industria di Stato, che era il fiore all’occhiello della nostra economia dai tempi di Enrico Mattei, ma diede inizio a quel processo di privatizzazioni che ci ha portati alla rovina in ogni campo, da quello energetico a quello dei trasporti e taxi a quello sanitario (la privatizzazione della sanità, insieme ai tagli draconiani al bilancio sanitario imposti da Draghi e Trichet nel 2011 ed attuati dai governi Monti e Renzi, sono il motivo per cui l’Italia ha il più alto numero di vittime di Covid rispetto alla propria popolazione). Non so chi abbia messo in circolazione il discorso di Draghi sul panfilo Britannia, pubblicato dal Fatto Quotidiano. Ma immagino che sia un tentativo di ricordare ai nostri politici e media, troppo spesso “distratti”, che il salvatore della patria in realtà è colui che ci ha portati all’emergenza a cui dovrebbe rimediare. Ora che Draghi sarà a capo del governo saranno in molti a cercare lo scoop su di lui.

 

Per anni si è parlato del Britannia come di una sorta d’invenzione complottista (e qualcuno prova ancora a parlarne in questi termini). Poi si è cercato di minimizzare. Il MoviSol ha invece da subito raccolto sull’argomento un amplissimo dossier: possiamo riassumere cosa avvenne su quel panfilo e perché è tutt’ora così difficile per i grandi media parlarne?

Come pubblicammo nel nostro dossier sul Britannia, stilato da MoviSol insieme all’EIR (Executive Intelligence Review, la rivista fondata dal rinomato e compianto economista americano Lyndon LaRouche), sul panfilo della regina Elisabetta, al largo di Civitavecchia, si riunì il gotha della finanza speculativa mondiale per attuare anche in Italia il programma di privatizzazioni che era stato promosso da Margaret Thatcher e dall’oligarchia finanziaria in Gran Bretagna.

Cito dal dossier EIR: «A bordo alcuni nomi illustri del mondo finanziario e bancario inglese: dai rappresentanti della BZW, la ditta di brockeraggio della Barclay’s, a quelli della Baring & Co. e della S.G. Warburg. A fare gli onori di casa era la stessa regina Elisabetta II d’Inghilterra. Erano venuti per ricevere alcuni esponenti di maggior conto del mondo imprenditoriale e bancario italiano: rappresentanti dell’ENI, dell’AGIP, Mario Draghi del ministero del Tesoro, Riccardo Gallo dell’IRI, Giovanni Bazoli dell’Ambroveneto, Antonio Pedone della Crediop, alti funzionari della Banca Commerciale e delle Generali, ed altri della Società Autostrade. Si trattava di discutere i preparativi per liquidare, cedere a interessi privati multinazionali, alcuni dei patrimoni industriali e bancari più prestigiosi del nostro paese. Draghi avrebbe detto agli ospiti inglesi: «Stiamo per passare dalle parole ai fatti». Da parte loro gli inglesi hanno assicurato che la City di Londra era pronta a svolgere un ruolo, ma le dimensioni del mercato borsistico italiano sono troppo minuscole per poter assorbire le grandi somme provenienti da queste privatizzazioni. Ergo: dovete venire a Londra, dove c’è il capitale necessario».

Sempre in quel dossier, del 1993, spieghiamo anche la filosofia dietro questo progetto: la finanziarizzazione dell’economia, che ha portato alla deregulation e alla bolla speculativa, in particolare dall’abrogazione della legge Glass-Steagall con cui Roosevelt aveva portato gli Stati Uniti fuori dalla depressione economica facendo una netta separazione tra banche d’affari e banche commerciali. Il dossier include anche le proposte di LaRouche e dell’EIR per uscire dalla crisi ponendo fine alla speculazione finanziaria, sostituendo un sistema puramente monetario con un sistema creditizio: proposte culminate nel 2009 con la nostra richiesta di ripristinare la legge Glass-Steagall, che si è trasformata in disegni di legge sulla separazione bancaria presentati al Parlamento italiano, e sistematicamente sabotati dal PD e da Renzi. Ricordo bene un’audizione di LaRouche alla Commissione Finanze alla Camera dei Deputati nel 2009 che ebbi il piacere di organizzare. Molti parlamentari, tra cui un ex sindacalista, dovettero dargli ragione: aveva previsto il crac finanziario e non esagerava, ma soprattutto offriva una soluzione. Eppure nel 2011, con Draghi e Monti, invece della Nuova Bretton Woods proposta da LaRouche fu adottata la politica dei tagli al bilancio per salvare le banche. Ed il Quantitative Easing di Draghi si trasformò in soldi a pioggia per gli speculatori.

Fra i vostri meriti, infatti, c’è anche l’aver inquadrato dettagliatamente quegli eventi in complesse dinamiche internazionali che riconducono a un altro (falso) mito del Novecento, cioè il thatcherismo. Del resto i rapporti di Draghi col mondo finanziario anglo-americano sono noti e non finiscono nel 1992… 

Assolutamente. Per il suo intervento sul panfilo Britannia fu “premiato” con la vicedirezione di Goldman Sachs, che in seguito trasse grande beneficio anche dal suo incarico come presidente della BCE: non dimentichiamo che la Troika – ovvero BCE, UE e Fondo Monetario Internazionale – si è assunta il compito di salvare la bolla speculativa in derivati e altri strumenti tossici anche con i cosiddetti “aiuti” a paesi come la Grecia, che ovviamente non andavano alla popolazione, ormai costretta alla fame dai sacrifici, ma alle banche d’affari straniere che avevano investito in bond greci perché era conveniente. Draghi fa parte del Gruppo dei 30 (ex o attuali banchieri centrali) insieme a Mark Carney, ex governatore della Banca d’Inghilterra e sponsor di Greta Thunberg, il quale ha ammesso senza vergognarsi che per loro «il verde è il nuovo oro», ovvero i green bonds e la green economy servono solo a creare una nuova bolla speculativa. L’ambiente e il clima sono solo un pretesto per fare soldi. Non a caso nel rapporto del Gruppo dei 30 di dicembre Draghi espone la linea della «distruzione creativa»: in pratica, le imprese che non ce la fanno dovranno andare in bancarotta e verranno salvate solo quelle che si adeguano alla green economy. E dopo la BCE e il Gruppo dei 30 è venuto il governo italiano, e i mercati finanziari esultano per la sua presenza rassicurante a Palazzo Chigi: il Grande Reset ha il primo capo di governo. Anzi, veramente il secondo, dato che il neo presidente americano Joe Biden è stato promosso da Wall Street e tra i suoi ministri ci sono molti esponenti di BlackRock, il più grosso gruppo speculativo al mondo, che ha sostituito Goldman Sachs nella “commistione” tra politica ed affari.

 

Gli incensatori di Draghi tendono a presentarlo come un profilo sempre vincente, a maggior ragione oggi, quando perfino i più conclamati euroscettici ne magnificano le competenze. Eppure il suo operato ha lasciato più di qualche maceria: non sarà che anche quello della sua assoluta competenza è un mito da ridiscutere?

Dipende da cosa si intende per competenza. Dal punto di vista della BCE, del gruppo dei 30 e di Goldman Sachs, è estremamente competente: ha salvato l’Euro, ha salvato la bolla speculativa con il Quantitative Easing, e ora si accinge a salvare anche le banche, comprese quelle italiane, che rischiano di essere travolte da un nuovo crac finanziario, a partire da Deutsche Bank e dalla sua esposizione in derivati. In questo è molto competente. Quanto all’economia reale nel nostro Paese, al problema della disoccupazione o delle chiusure di bar, ristoranti, imprese, aziende agricole, ho i miei dubbi che questa sarà la sua priorità. Ha parlato di turismo: forse il suo piano è quello di trasformare una delle principali nazioni industrializzate al mondo in un parco giochi per i ricchi del pianeta, sempre presumendo che il piano vaccini vada in porto e possano tornare in Italia i turisti stranieri. Solo il 3% della popolazione europea è stato vaccinato fino ad oggi, a causa dell’incompetenza di Ursula von der Leyen che ha imposto il suo piano vaccinale centralizzato. Se andiamo avanti così, e se non facciamo come la Germania che si è rivolta a Putin e produrrà il vaccino Sputnik V, raggiungeremo l’immunità di gregge solo nel 2024, e fino ad allora i turisti continueranno ad evitare il nostro Paese.

Si è poi parlato molto delle sue conversioni, dal keynesismo al neoliberismo e ora di nuovo a una sorta di moderatismo (vedi la teoria del “debito buono”). Si tratta di svolte sostanziali o in fondo il Draghi del Britannia è coerente col Draghi del famoso «whatever it takes»?

Non credo molto nelle conversioni di Draghi. Certo, ci auguriamo tutti che con la pandemia di Covid-19 sia stato folgorato sulla via di Damasco e ora promuova davvero investimenti nella sanità, almeno quelli, visto che sono stati i tagli al bilancio sanitario voluti da lui (la famosa lettera di Draghi e Trichet al governo italiano nel 2011) e attuati da Monti e Renzi a provocare questa emergenza sanitaria. Temo però che il Draghi del Britannia e quello della BCE sia ancora quello del famoso whatever it takes, ove per whatever it takes si intende fare qualunque cosa pur di salvare la bolla speculativa a tutti i costi, soprattutto ora che rischia di saltare per aria di nuovo, come nel 2008, a partire da Deutsche Bank.

 

Possiamo riepilogare esattamente le responsabilità di Draghi in alcuni momenti-chiave della lunga crisi finanziaria degli ultimi anni? Mi riferisco in particolare alla vicenda italiana del 2011, e poi ovviamente al lungo calvario della Grecia.

Nel 2011 Draghi e Trichet mandarono all’allora governo Berlusconi la famosa lettera in cui chiedevano tagli draconiani al bilancio, pena il commissariamento dell’Italia. A quell’epoca il ministro dell’Economia di Berlusconi era Tremonti, che aveva sostenuto le proposte di LaRouche per una Nuova Bretton Woods ad una conferenza con l’economista americano all’Hotel Nazionale a Roma. Il governo Berlusconi fu sostituito da un “governo tecnico” guidato da Mario Monti. Quest’ultimo e poi Renzi, in particolare, attuarono tagli al bilancio sanitario tali che il nostro sistema sanitario, ormai al collasso, non ha retto alla pandemia di Covid-19 nel febbraio e marzo del 2020 e ciò ha provocato quasi 90.000 morti. Quando Renzi parla al Quirinale dell’urgenza di investire in sanità, dovrebbe fare prima di tutto mea culpa per aver distrutto il nostro sistema sanitario. E lo stesso dicasi per Draghi.

Quanto alla Grecia, Draghi è noto in quel paese – la culla della democrazia dai tempi di Socrate e Platone – come colui che chiuse le banche greche, mandando in bancarotta un’intera nazione con le misure di austerità imposte con il memorandum della Troika. L’impoverimento dei greci, coi tagli agli stipendi e alle pensioni, fu tale che molte famiglie fecero adottare i propri figli a SOS Children perché non avevano i soldi per la mensa scolastica. Nel 2015 l’europarlamentare tedesco di Die Linke Fabio De Masi (tra l’altro sostenitore della separazione bancaria in Germania) rivelò che Draghi si era rivolto ad uno studio legale per capire se la sua decisione di chiudere le banche greche fosse legittima. Sembra che lo studio legale avesse dato risposta negativa, eppure Draghi procedette ugualmente con la chiusura delle banche e col durissimo piano di privatizzazioni ed austerità.

 

Cosa dobbiamo aspettarci dunque? E come interpreta l’apertura a Draghi anche di forze d’opposizione – in primis la Lega – che hanno finora ampiamente prosperato sul terreno del cosiddetto “sovranismo” e sul malcontento popolare nei confronti dell’UE?

Temo che, sotto l’egida della “salvezza nazionale” e dell’emergenza sanitaria e sociale, dobbiamo aspettarci altre misure draconiane di austerità, e soprattutto altre chiusure di industrie e imprese agricole nel nome del Green Deal, che è il punto numero uno all’ordine del giorno del nuovo governo, col sostegno esplicito di Cinque Stelle e PD che da sempre predicano l’ambientalismo più radicale (tra cui l’opposizione alla TAV e alla Gronda, che avrebbe impedito il crollo del ponte Morandi a Genova). Tutti parlano di spendere bene i famosi 209 miliardi che ci darà l’Europa, addirittura paragonando il Recovery Fund al Piano Marshall che consentì la ricostruzione dell’Italia nel dopoguerra. Ma siamo ben lontani da un Piano Marshall, che consisteva in soldi a fondo perduto investiti nella ricostruzione industriale del nostro Paese e che portò al boom economico, anche grazie a Mattei. Intanto non si tratta di 209 miliardi: i grants, ovvero soldi a fondo perduto, se detraiamo la quota pagata dall’Italia all’UE, sono solo 40 miliardi, che coprono a malapena la spesa per il reddito di cittadinanza. Gli altri sono prestiti che andranno ripagati, e vincolati a precise condizioni tra cui la famosa tassonomia dell’UE (ovvero solo le imprese green verranno finanziate). Quando Salvini si rallegra e dice di aver trovato in Draghi un alleato per gli investimenti nelle imprese del Nord o in infrastrutture come la TAV, la Pedemontana, la Gronda e il ponte di Messina, forse dimentica (o finge di dimenticare) il Green Deal di Ursula von der Leyen, Mark Carney e il gruppo dei 30, incluso Draghi. La sua svolta europeista è stata sicuramente promossa da Giancarlo Giorgetti, amico personale di Draghi, ed anche da Marcello Pera di Forza Italia. Salvini pensa di essere scaltro, e di guadagnare consensi tornando al governo. Ma Draghi è più scaltro di lui. Sono abbastanza certa che stia dicendo a tutti quello che vogliono sentirsi dire: a Salvini che promuoverà investimenti nell’industria e non imporrà altri sacrifici e tasse, ai Cinque Stelle che manterrà il reddito di cittadinanza, al PD che promuoverà il Green Deal, a Renzi che investirà nella sanità, ai sindacati che rinnoverà la cassa integrazione. Poi in realtà farà quello che chiedono i “mercati”, l’UE e l’oligarchia finanziaria. Quanto meno, questa è la mia previsione. Spero di essere smentita. Ma visti i precedenti, è lecito dubitare.

[Intervista a cura di Gavino Piga]

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