L’ITALIA È LA VERA MASSAIA SVEVA
Filippo Nesi, Redazione 21 Luglio 2020 1Alexandre Afonso, professore associato di economia politica all’Università di Leiden, Olanda, smonta il mito dell’Italia come paese spendaccione che vive al di sopra delle proprie possibilità dimostrando come, al contrario, negli ultimi trenta anni sia stato il paese che ha tagliato di più la spesa pubblica e conseguito gli avanzi primari più consistenti in Europa. Ne proponiamo una traduzione integrale sul nostro blog.
Alexandre Afonso, professore associato di economia politica all’Università di Leiden, Olanda, smonta il mito dell’Italia come paese spendaccione che vive al di sopra delle proprie possibilità. Al contrario, se osserviamo la spesa primaria, si evince che negli ultimi trenta anni l’Italia è stato il paese che più degli altri ha tagliato la spesa pubblica e conseguito avanzi primari in Europa. Molto più dei cosiddetti paesi “frugali”, a cominciare dall’Olanda. Di seguito la traduzione integrale sul nostro blog.
Titolo originale: “Italien – die wahre schwäbische Hausfrau”.
Pubblicato originariamente in francese su Le Grand Cointinent. Ripubblicato in tedesco sul blog dell’autore il 30 giugno e ripubblicato il 16 luglio su DeFacto Expert, portale svizzero di analisi politico-economica.
Autore: Alexandre Afonso
Traduzione: Filippo Nesi
Nota: schwäbische Hausfrau (lett. “massaia sveva”) è un’espressione idiomatica tedesca diventata di uso comune nel lessico giornalistico, con cui si suol indicare lo stereotipo della tipica donna di casa germanica, portatrice di sani valori come l’austerità, la frugalità e il risparmio. Per estensione, viene usata spesso per indicare l’intera Germania e la sua vera o presunta propensione alla parsimonia.
I negoziati per una soluzione europea alla crisi economica causata dal coronavirus hanno nuovamente diviso i paesi dell’Eurozona. Da un lato, i paesi nordici, capeggiati dall’Olanda, sono a favore di un sostegno finanziario una tantum sotto forma di prestiti. Dall’altro, paesi mediterranei come Italia e Spagna, particolarmente colpiti dall’epidemia, puntano, invece, a una riforma strutturale che includa in particolare la condivisione dei debiti pubblici, vale a dire l’emissione di obbligazioni europee (Eurobond).
Attualmente Germania e Paesi Bassi possono contrarre prestiti a tassi di interesse negativi, il che significa che gli investitori pagano per il “privilegio” di prestare loro denaro; diversamente, l’Italia o la Grecia devono pagare interessi rispettivamente dell’1,6 e dell’1,7%. Da un lato, gli Eurobond permetterebbero ai paesi del Sud Europa di beneficiare di tassi di interesse più bassi, dall’altro aumenterebbero certamente i tassi di interesse per i paesi nordici.
Aspri conflitti nelle trattative tra gli stati membri
Nonostante la minaccia imminente di un collasso economico senza precedenti, che richiederebbe una sollecita risposta, i negoziati sono stati contrassegnati da aspri conflitti tra gli stati membri. In una videoconferenza dei ministri delle finanze europei il ministro olandese Wopke Hoekstra avrebbe chiesto di aprire un’indagine sui motivi per cui alcuni stati membri (del Sud) non hanno creato riserve finanziarie negli ultimi anni, mentre altri (a Nord) sono stati in grado di accumulare riserve. Qualche ora più tardi il primo ministro portoghese Antonio Costa ha descritto questa richiesta, avanzata nel pieno dell’emergenza sanitaria, come “ripugnante” e ha messo in dubbio la serietà dell’impegno politico europeo dei Paesi Bassi in questo contesto.
L’argomento principale usato dai paesi nordici è che paesi come l’Olanda sarebbero stati parsimoniosi, mentre il Sud dell’UE avrebbe vissuto al di sopra delle proprie possibilità. In questo contesto, una condivisione dei debiti consentirebbe ai paesi mediterranei di beneficiare della frugalità dei settentrionali senza aver fatto sufficienti sforzi per il risanamento del proprio bilancio.
L’Italia, con un debito pubblico pari al 134% del prodotto interno lordo (PIL) e deficit di bilancio permanenti, è l’obiettivo privilegiato delle critiche olandesi. Critiche che si inseriscono sulla falsariga di quelle dell’ex ministro delle finanze olandese Jeroen Dijsselbloem, il quale nel 2017 accusò l’Europa meridionale di spendere troppo in “alcol e donne”.
A un esame più attento, l'Italia spende meno dei paesi nordici
Questa interpretazione delle politiche di bilancio italiane e olandesi negli ultimi 30 anni ha un unico un problema: se osservata più da vicino, non trova corrispondenza nei numeri. Al contrario, se per un attimo mettiamo da parte gli enormi interessi che l’Italia deve pagare ogni anno sul suo debito e osserviamo il saldo primario, ovvero la semplice differenza tra entrate e spese (per sanità, istruzione, infrastrutture ecc.), a partire dall’inizio degli anni Novanta l’Italia sembra aver speso di meno rispetto ai Paesi Bassi (Figura 1).

Fatta eccezione per l’anno della crisi finanziaria [2009 ndr], l’Italia ha prodotto costantemente avanzi primari durante questo periodo, mentre i Paesi Bassi hanno fatto registrare regolarmente disavanzi primari, ma sono stati in grado di contrarre prestiti a tassi di interesse bassi. È vero che l’Italia continua a soffrire il peso di una montagna di debiti quarantennale accumulata ai tempi dei governi della Democrazia Cristiana, partito poi imploso nel corso della campagna anticorruzione Mani Pulite nei primi anni ’90. Da allora, la politica di bilancio italiana è stata fin troppo frugale, al punto che non è stata in grado di contrastare la crescita anemica e la disintegrazione delle infrastrutture.
LE ORIGINI DEL DEBITO ITALIANO
L’Italia è uno dei paesi industrializzati con il debito pubblico più elevato, superata in questa classifica unicamente dalla Grecia e dal Giappone. Nel 2015 il debito pubblico italiano era una volta e mezza il prodotto interno lordo (PIL).
Il debito italiano è letteralmente esploso negli anni ’80 passando dal 60% del PIL nel 1980 al 120% nei primi anni ’90. Questa esplosione del debito è stata il risultato di una serie di decisioni politiche che, nel loro insieme, hanno prodotto fino ad oggi effetti catastrofici.
Nel 1981 la Banca Centrale italiana fu separata dal Ministero delle finanze. Tale evento concluse un accordo implicito grazie al quale la Banca d’Italia garantiva l’acquisto di buoni del tesoro italiani. La banca centrale agiva, in pratica, da compratore di ultima istanza, consentendo al governo italiano di indebitarsi a tassi di interesse moderati monetizzando il debito pubblico a prezzo di una notevole inflazione, nonostante vertiginosi deficit primari.
Il cambio di strategia nella politica monetaria
Alla fine degli anni ’70, però, la politica monetaria in Europa e negli Stati Uniti cambiò radicalmente: l’obiettivo primario non divenne più la piena occupazione, bensì la lotta contro l’inflazione.
Con la creazione del Sistema Monetario Europeo (SME), venne poi introdotto un sistema di tassi di cambio fissi. Per difendere il valore della lira dal marco tedesco, l’Italia si vide sempre più costretta ad aumentare i tassi di interesse per far fronte all’elevata inflazione. In seguito, l’inflazione diminuì, ma poiché la banca centrale italiana non garantiva più l’acquisto dei titoli del tesoro, anche i tassi di interesse sui titoli aumentarono e il debito pubblico finì per raddoppiare.
Tra i primi anni ’90 e la crisi dell’euro, il debito è rimasto stabile grazie a notevoli sforzi di bilancio e avanzi primari costanti. Tuttavia, il peso degli interessi è rimasto troppo elevato e la crescita troppo bassa per riuscire ad abbattere l’elevato livello di indebitamento. Ancora negli anni ’90 lo stato italiano doveva spendere ogni anno il 9,5% del PIL per pagare gli interessi.
L'Italia ha un pesante onere per interessi sul debito
La situazione non è cambiata in maniera sostanziale dopo il 2000. Sebbene il costo degli interessi in Italia sia sceso da allora in media al 4,4% PIL, è rimasto comunque significativamente più alto, ad esempio, che in Germania (1,84%) o nei Paesi Bassi (1,33%).
Inoltre, da allora ad oggi l’economia italiana ha subito una spirale discendente: i tagli alle spese per la riduzione del debito pubblico hanno pesato sull’economia riducendo il gettito fiscale, che è divenuto insufficiente a coprire gli interessi sul debito e le spese correnti.
A ciò si sono poi aggiunti maggiori costi per la spesa pensionistica e la spesa sanitaria a causa dell’invecchiamento della popolazione, i quali hanno comportato a loro volta deficit più elevati e maggiori debiti. Nonostante un saldo primario quasi sempre positivo dal 1992, il debito è addirittura aumentato e l’Italia deve ancora indebitarsi a tassi di interesse più alti rispetto alla maggior parte dei paesi europei.
La crescita anemica e il peso del debito hanno portato anche a massicci tagli agli investimenti pubblici, i quali avrebbero, invece, potuto stimolare la crescita. Dagli anni ’90 in poi gli investimenti pubblici in Italia (ad esempio, nel settore dell’istruzione e delle infrastrutture) sono aumentati in misura inferiore rispetto alla maggior parte dei paesi dell’UE e non appaiono oggi neppure sufficienti a prevenire il deterioramento delle infrastrutture. Il crollo di un ponte a Genova nel 2018, che è costato la vita a 43 persone, può essere visto come un tipico esempio delle precarie condizioni in cui versano le infrastrutture nella penisola.
Tassi di interesse europei: un gioco a somma zero
Negli ultimi decenni, i Paesi Bassi hanno avuto una situazione di bilancio certamente migliore rispetto all’Italia. Di recente il paese ha addirittura aumentato i propri surplus di bilancio. Se, però, mettiamo di nuovo da parte gli interessi sul debito pubblico e guardiamo al saldo primario, negli ultimi decenni i Paesi Bassi sono stati molto meno disciplinati dell’Italia. Il fatto che i Paesi Bassi, nonostante disavanzi primari ricorrenti, siano riusciti ad avere una situazione di bilancio complessivamente migliore si spiega con il fatto che sono stati in grado di contrarre prestiti a condizioni nettamente migliori. Detto in altre parole, pagano tassi di interesse molto più bassi dell’Italia.
A prima vista, si potrebbe pensare che la situazione olandese e quella italiana non abbiano molto in comune tra loro: l’Italia è considerata meno affidabile dai mercati e, per questo motivo, è costretta a offrire agli investitori tassi di interesse più elevati per convincerli ad acquistare titoli di stato. Ciò è probabilmente solo parte della spiegazione. L’economista Paul de Grauwe ha dimostrato anche, infatti, che i tassi di interesse dei paesi dell’Euro sono legati tra loro da un rapporto di interdipendenza, in quanto i loro titoli di stato sono espressi tutti nella stessa valuta. In una situazione di crisi, gli investitori tendono a ritirarsi da un paese che potrebbe non essere in grado di pagare i propri debiti (ad esempio, l’Italia) e a investire, invece, in paesi più sicuri (come i Paesi Bassi o la Germania), abbassando così i tassi di interesse di questi ultimi. È esattamente ciò che è accaduto durante la crisi dell’Euro prima che Mario Draghi chiarisse con il suo famoso Whaetver it takes che la BCE era pronta a fare qualsiasi cosa per salvare l’Euro. La stessa cosa si è ripetuta quando il coronavirus ha colpito l’Italia e gli investitori hanno venduto debito italiano per acquistare debito tedesco o francese. Questo fenomeno è uno degli argomenti a favore della condivisione del debito: infatti, le disgrazie dei paesi del Sud Europa diventano la fortuna dei paesi nordici.
Illusorio sperare nella buona fede di un concorrente come l’Olanda cui si chiede, ad esempio, di contribuire, attraverso la condivisione del debito, ad investire in infrastrutture mediterranee (vedi porti, interporti e logistica) che sottrarrebbero redditività netta alle proprie, specie nella prospettiva comune di puntare all’enorme mercato cinese. Si rinviene, tuttavia, scarsa lungimiranza sia con riferimento al fronte delle relazioni commerciali intra-UE, sia perché personalmente si ritiene si stia sottostimando le potenzialità dei mercati asiatici
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