AEROPORTI GRECI: DOPO IL DANNO, LA BEFFA

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Dopo aver acquisito a prezzo da furto la gestione di 14 aeroporti regionali greci per la durata di 40 anni nel 2017, Fraport, società di gestione aeroportuale tedesca, chiede oggi allo stato greco di risarcire perdite per 175 milioni di Euro in conseguenza del crollo del traffico e dei profitti causati dalla pandemia. Una clausola nel contratto capestro siglato a suo tempo dal governo Tsipras nell’ambito del terzo memorandum d’intesa glielo consente. Un esempio emblematico di privatizzazione dei profitti e socializzazione delle perdite. Ma anche un monito sulle fatali conseguenze cui va incontro un paese che attiva il MES e perde ogni potere di negoziazione.

Fraport chiede 175 milioni di risarcimento allo stato greco

Dopo aver acquisito la gestione di 14 aeroporti regionali greci per la durata di 40 anni nel 2015 a un prezzo da furto, Fraport, la holding di servizi aeroportuali tedesca, chiede oggi allo stato greco di risarcire perdite per 175 milioni di dollari a causa del crollo del traffico e dei profitti in conseguenza della pandemia. Una clausola nel contratto capestro siglato a suo tempo dal governo Tsipras glielo consente. Un esempio emblematico di privatizzazione dei profitti e socializzazione delle perdite. Ma anche un monito sulle fatali conseguenze cui va incontro un paese che attiva il MES e perde ogni potere di negoziazione.

Il governo greco non ha fatto in tempo a commemorare l’agognata ripresa del traffico aereo internazionale verso il proprio paese il 1° luglio che nel giro di poche ore si è visto recapitare da Fraport AG, la società aeroportuale tedesca che dal 2017 gestisce 14 aeroporti regionali ellenici, una fattura da 175 milioni di dollari per le perdite sofferte a causa della pandemia e del conseguente crollo del traffico aereo. Ne ha dato notizia lo stesso giorno il quotidiano greco Kathimerini. Tra aprile e maggio 2020 nei 14 aeroporti regionali gestiti da Fraport il traffico dei passeggeri è crollato del 99,3% rispetto al precedente anno, passando da una media di circa un milione e mezzo di passeggeri al mese a una media di appena 15.000. Allargando il periodo di riferimento ai primi cinque mesi del 2020, la perdita di traffico è stata pari all’84% (da 2.466.641 ad appena 394.148 passeggeri). Il numero di voli interni è diminuito nello stesso periodo del 63,1%, mentre quello dei voli internazionali è crollato addirittura del 99,9% rispetto al precedente anno. Secondo Kathimerini, Fraport stima che la perdita per i primi sette mesi sfiorerà i 200 milioni di Euro. Perdite che Fraport chiede ora al governo Mytsotakis di ripianare di tasca propria. All’origine di questa insolita richiesta da parte del gestore tedesco c’è una clausola dell’accordo che garantisce al locatario il risarcimento di eventuali perdite sofferte in virtù di “eventi di forza maggiore”.

Antefatti dell'accordo

La privatizzazione degli aeroporti regionali greci era parte integrante del secondo memorandum d’intesa firmato dal governo Samaras nel 2014 con i creditori internazionali al fine di ottenere un nuovo programma di salvataggio triennale del valore di circa 86 miliardi di euro. L’accordo fu temporaneamente congelato nel gennaio 2015 a seguito della vittoria di Syriza e del suo leader Alexis Tsipras, deciso inizialmente a dare battaglia per ottenere condizioni meno draconiane per il salvataggio del suo paese. Come tristemente noto, Tsipras dette vita per qualche mese a un braccio di ferro con Bruxelles, salvo capitolare già nel luglio dello stesso anno e accettare alla fine un terzo umiliante memorandum (ancora più duro e svantaggioso di quello già respinto nel referendum dagli elettori greci), con il quale, di fatto, firmò la resa incondizionata della Grecia alla troika. Nell’agosto del 2015 fu così firmata anche l’intesa con Fraport AG, attraverso la quale la holding di Francoforte si assicurava la gestione di ben 14 scali regionali per 40 anni alla modesta cifra di 1,2 miliardi di euro più un canone annuo di 22,9 milioni di Euro. Un prezzo che agli specialisti del settore apparve fin da subito ben inferiore al reale valore di mercato, tanto che, secondo i piani dell’azienda, il breakeven sarebbe stato raggiunto tra il 2027 e il 2033(1). In altre parole, l’azienda contava di ripagare l’acquisto già entro i primi 15 anni di gestione, garantendosi così 25 anni di profitti prima della scadenza. Al già discutibile prezzo di concessione si aggiungeva poi un’altra clausola ancora più svantaggiosa:

"Quando furono resi noti i dettagli del contratto di privatizzazione, si levarono subito le proteste non solo degli oppositori della privatizzazione, ma anche dei concorrenti di Fraport, per una clausola a dir poco scandalosa. Alla società tedesca venivano infatti concessi tutti i vantaggi economici dell'operazione, mentre i rischi e gli svantaggi sarebbero rimasti al governo greco. In particolare, una clausola prevede che il locatario degli aeroporti (Fraport) possa rivendicare al governo greco la copertura delle eventuali perdite «causate da eventi di forza maggiore», quali ad esempio il crollo del traffico aereo causato dalle restrizioni imposte dalla pandemia del Covid-19. In base a questa regola capestro, che riconosce alla società tedesca i profitti e scarica le perdite sulla parte greca, Fraport, avendo accusato un crollo dei trasporti in Grecia del 90%, ha presentato di recente al governo di Atene il conto dei mancati profitti del primo semestre 2020: 175 milioni di euro. Soldi che, in base al contratto di affitto stilato sotto il controllo rigoroso della Troika e del Mes, dovrebbero essere sborsati dai contribuenti greci, in aggiunta a tutti i sacrifici fatti finora. Il governo Mytsotakis, per il momento, non ha accettato la richiesta. A giudizio di alcuni analisti tedeschi, la soluzione del problema potrebbe essere individuata proprio nella accettazione del Recovery Fund da parte del governo di Atene. In tal caso, a pagare il conto delle perdite di Fraport sarebbero tutti i contribuenti europei, tramite i contributi nazionali al fondo, e non i contribuenti greci, se non in minima parte per questi ultimi. In ogni caso, la trattativa tra la Fraport e il governo greco è solo all'inizio, e comprende un altro punto: grazie a un'altra clausola di favore del contratto gestito da Mes e Troika, la Fraport non ha pagato al governo greco il canone annuo di concessione, pari a 22,9 milioni di euro, chiedendo un rinvio di sei mesi, gravato da un interesse di appena lo 0,5%".

Forte di un contratto che garantisce al locatario profitti in qualsiasi situazione e scarica le eventuali perdite sul locatore, Fraport ha già differito di sei mesi il pagamento del canone annuo di 22,9 milioni previsto dal contratto, allegando come causa le perdite finanziarie sofferte a causa dell’interruzione del traffico durante l’emergenza Covid-19. Anche in questo caso, il gestore tedesco è coperto dal contratto, il quale prevede, tra le altre cose, che la dilazione del pagamento comporti un onere irrisorio dello 0,5%. Peraltro, questo non è neppure il primo caso di richiesta di risarcimento da parte di Fraport. Già al momento del rilevamento degli aeroporti nel 2017, la compagnia aveva chiesto danni per oltre 74 milioni di euro, in quanto lo stato greco non avrebbe consegnato gli aeroporti nello stato previsto dal contratto originario del 2014. All’epoca, la controversia si risolse con un compromesso, che tuttavia finì per costare allo stato greco la non modica cifra di 27 milioni di euro.(5)

Fraport chiede oggi di scaricare le perdite sui contribuenti greci o sull’intera Europa, qualora la Grecia decida alla fine di utilizzare le sovvenzioni del Recovery Fund. Perché è lì che ormai si gioca la vera partita. Il premier Mytsotakis sembra intenzionato per il momento a non accogliere le richieste dell’azienda, ma è ovvio che un arbitrato porrebbe il suo paese in una condizione negoziale debole, stante quanto previsto esplicitamente dal contratto firmato a suo tempo dagli esecutivi precedenti e considerata la difficile situazione finanziaria in cui versa il paese ellenico, che ha tuttora disperatamente bisogno degli acquisti della BCE e dei prestiti del MES per sopravvivere e uscire dalla crisi economica. Nei giorni in cui in Europa si discutono le misure del Recovery Fund non è affatto escluso che alla fine il governo tedesco spinga per trovare un compromesso con Atene, magari spalmando il costo del risarcimento su tutti gli stati membri.

Chi è Fraport

Fraport AG (nome completo: Fraport AG Frankfurt Airport Services Worldwideè una holding internazionale con sede a Francoforte sul Meno in Germania. Con quasi 23.000 dipendenti in quattro continenti, 69,5 milioni di passeggeri, 2,21 milioni di tonnellate di merci e un fatturato di 3,7 miliardi nel 2019, è una delle maggiori compagnie al mondo nel settore aeroportuale. Possiede quote in molte società di servizi aeroportuali in tutto il mondo, oltre ad essere il principale operatore dell’aeroporto di Francoforte. È quotata sull’indice Xetra. 

Come si può leggere sul portale stesso della società, Fraport AG è a tutti gli effetti una società pubblica al 51%. All’11 gennaio 2019 i suoi principali azionisti risultano essere, infatti, il land dell’Assia con il 31,31% e il comune di Francoforte attraverso la sua holding Stadtwerke Frankfurt am Main Holding GmbH con il 20,03%. Seguono poi con quote minori Lufthansa AG (8,44%) e note banche d’affari come Lazard Asset Management LLC e BlackRock Inc. Il capitale flottante è oggi pari a meno del 22%.

La gestione degli aeroporti greci: una gallina dalle uova d'oro

Dal sito economico-finanziario greco Theceo.gr preleviamo informazioni preziose che ci aiutano a capire come la gestione dei 14 scali greci rappresenti per Fraport AG una vera miniera d’oro. La redditività della consociata ellenica Fraport Hellas supera, infatti, di gran lunga i margini di profitto di tutti gli altri aeroporti europei in cui la holding tedesca è presente. Più in dettaglio, Fraport Hellas opera in Grecia attraverso tre distinte società:

1) FRAPORT REGIONAL AIRPORTS OF GREECE A S.A. gestisce 7 aeroporti: Akti, Zante, Kavala, Salonicco, Corfù, Cefalonia e Chania. Nel 2019 ha fatto registrare ricavi per 248 milioni di euro da 231 milioni di euro nel 2018. L’utile ante imposte è aumentato a 29 milioni di euro dai 18 milioni di euro del 2018. L’utile netto è, invece, quasi raddoppiato nello stesso periodo passando da 11,5 a 21 milioni di Euro.
2) FRAPORT REGIONAL AIRPORTS OF GREECE B S.A. gestisce gli altri 7 aeroporti regionali sulle isole del Mar Egeo: Kos, Mitilene, Mykonos, Rodi, Samo, Santorini e Skiathos. Anche questa società ha registrato un fortissimo aumento delle entrate nel 2019, passando dai 184 milioni dell’anno precedente a 216 milioni di euro, pur soffrendo perdite dopo le imposte per 5,1 milioni di euro, a detta della società dovute a spese per la modernizzazione degli aeroporti.
3) FRAPORT REGIONAL AIRPORTS OF GREECE MANAGEMENT COMPANY S.A., infine, gestisce le prime due società e nel 2019 ha registrato un fatturato di 38,3 milioni di Euro, in aumento dai 35 milioni di Euro nel 2018, e un utile al netto delle imposte di 1,08 milioni di Euro (1,13 milioni di Euro nel 2018).

 

Società schermo a Malta

Un articolo della Süddeutsche Zeitung del 2017 inseriva Fraport AG tra le 1616 aziende a partecipazione tedesca che hanno aperto società fantasma a Malta allo scopo di eludere il fisco:

"Il caso Fraport è particolarmente scabroso: la maggioranza della società appartiene al comune di Francoforte e al land dell'Assia. Ciò nonostante, Fraport sembra mantenere diverse società di comodo a Malta. Le autorità fiscali tedesche perdono ogni anno parecchi soldi dai mancati introiti, ma né il comune di Francoforte né il land dell'Assia sembrano ravvisare in ciò un problema. Interrogate sulle attività di Fraport a Malta, alla data di giovedì pomeriggio non hanno ancora rilasciato commenti.
«Regole come quelle che vigono nel paradiso fiscale di Malta permettono alle grandi corporation e ai grandi possidenti, che in teoria dovrebbero pagare molte tasse, di pagare molto meno evitando, così, di contribuire al bene comune», afferma Sven Giegold, portavoce dei Verdi al Parlamento Europeo. «All'atto pratico, ciò significa che esistono, di fatto, due diritti: uno per i soggetti che possiedono una mobilità a livello globale, un altro per coloro che sono costretti a operare e lavorare a livello locale».

Nel novembre dello stesso anno il capogruppo della Linke al parlamento regionale dell’Assia arrivò a chiedere formalmente a Fraport di porre fine al business delle società fantasma a Malta, grazie alle quali una società riesce ad abbassare l’aliquota ufficiale del 35% a meno del 10% sfruttando un complesso sistema di crediti d’imposta. La richiesta si scontrò, tuttavia, con l’aperta reticenza del partito di maggioranza (CDU), nella figura dell’allora ministro delle finanze Thomas Schäfer (morto suicida il 28 marzo di quest’anno) e incontrò scarsa accoglienza anche presso SPD e Verdi, preoccupati essenzialmente di non pregiudicare gli interessi di una holding pubblica con forti interessi a livello internazionale.

"L'operatore aeroportuale Fraport possiede società di schermo nel paradiso fiscale di Malta, per la precisione chiamate "Fraport Malta Ltd." e "Fraport Malta Investment Ltd". Ufficialmente vi lavorano sette persone. Il land dell'Assia, che detiene il 31% di Fraport, risponde a monosillabi quando gli viene chiesto per quali finalità esistono queste società e altre filiali di Fraport. «La scelta di aprire la sede di una società a Malta, in Lussemburgo o a Cipro è una decisione indipendente del consiglio di amministrazione di Fraport AG», ha affermato il ministro delle finanze Thomas Schäfer (CDU) rispondendo all'interrogazione del capogruppo della Linke dell'Assia, Janine Wissler. Schäfer non ha fornito dettagli sull'entità del risparmio fiscale di cui la società a maggioranza pubblica beneficia ogni anno grazie alle proprie filiali di Malta. «La gestione investimenti non è a conoscenza di questi dati», ha affermato Schäfer.
[...]
«Con la copertura del governo del land, Fraport si comporta proprio come le grandi società e i superricchi, che usano espedienti fiscali per danneggiare la collettività», ha dichiarato Jan Schalauske, responsabile per le finanze della Linke per l'Assia. «Il business delle società fantasma a Malta deve finire», ha detto. Anche l'SPD e i Verdi sono critici, in proposito. A differenza della Linke, tuttavia, non insistono sulla chiusura immediata delle filiali di Malta. Fraport opera in un contesto di competizione globale, sostengono. La società deve quindi avere le stesse opportunità della concorrenza. Il dumping fiscale deve essere fermato a livello europeo".

Fraport non è un caso isolato

L’accordo di concessione “coloniale” (come spesso viene definito dalla stampa greca) che i governi Samaras e Tsipras hanno dovuto accettare nel 2014 e 2015 a favore di Fraport AG, in condizioni di sostanziale impossibilità negoziale, appare anche a un primo sguardo come il più classico esempio di privatizzazione dei profitti e socializzazione delle perditeMa non è certo l’unico caso di privatizzazione forzata di asset strategici che la Grecia ha dovuto subire passivamente dal 2014 a oggi e che, il più delle volte, ha visto come principali beneficiari finali grandi gruppi industriali e fondi tedeschi. Anche circoscrivendo l’osservazione al solo settore aeroportuale, andrebbe ricordato, ad esempio, il caso di AviAlliance, la società aeroportuale amburghese che detiene il 49% dell’aeroporto di Amburgo e il 30% di quello di Dusseldorf in Germania, la quale nel 2018 si è aggiudicata il rinnovo della concessione per altri 20 anni (fino al 2046) dell’aeroporto internazionale Eleftherios Venizelos di Atene. Il discorso andrebbe poi esteso alle telecomunicazioni, dove Deutsche Telekom è oggi con il suo 45% il maggior azionista di Hellenic Telecommunications Organization, Ote, al porto di Salonicco, oggi controllato da un consorzio internazionale guidato dal fondo tedesco Deutsche Invest Equity Partners, alle centrali elettriche e ad altre utility, tutti settori nei quali la Grecia è stata obbligata dai creditori internazionali a una frettolosa svendita. Svendita che, se in molti casi ha fruttato allo stato greco assai meno di quanto preventivato(1,2), in compenso si è trasformata in un appetitoso banchetto per fondi, consorzi e grandi gruppi industriali europei, cinesi e americani.

Uno sguardo più attento, però, rivela molto di più. Fatta eccezione per l’assenza di bombe, armi, morti, feriti, distruzioni e tutto il tipico corollario di un conflitto bellico, ciò che è accaduto in Grecia dopo il 2014 appare a tutti gli effetti come il risultato di una guerra. Una guerra dalla quale uno dei due contendenti è uscito vincitore imponendo allo sconfitto una resa incondizionata e umiliante, concretizzatasi non nella cessione di territori sovrani, ma di asset nazionali strategici. In tempo di libera circolazione dei capitali, come noto, le guerre non si combattono con le armi, ma con la finanza, le annessioni non avvengono a livello fisico e territoriale, bensì a livello industriale. La storia ci insegna, peraltro, che fin dalla notte dei tempi ogni guerra di conquista è sempre accompagnata e preceduta da una giustificazione ideologica e morale, che si tratti di riscattare una regina rapita da un principe straniero, di convertire pagani in un continente ancora inesplorato o di eliminare presunti terroristi in qualche remota caverna asiatica. Anche sotto questo aspetto la guerra di Grecia non fa eccezione. La depredazione della Grecia è avvenuta non solo sotto lo sguardo vigile della BCE e della commissione UE, ma addirittura per loro iniziativa e sotto la loro direzione. Ed è stata preceduta, non solo in Germania, ma su tutti i principali organi di stampa occidentali, da un’intensa campagna mediatica intrisa di morale calvinista, con la quale si è preparato il campo alla spoliazione dello sconfitto giustificando l’operazione con l’esigenza di punire il cattivo mediterraneo che trucca i conti e trasgredisce il supremo comandamento del rigore e della disciplina fiscale. Lo sconfitto merita una lezione esemplare, affinché ciò serva di monito alle future generazioni e ad altri partner che si ostinano a non voler fare “le riforme” e a giocare con finanze vacillanti. Non deve sorprendere, pertanto, che strumenti come il MES vengano promossi dai leader nordeuropei attraverso la retorica del salvataggio e della solidarietà. Il prestito è il cavallo di Troia attraverso il quale gli stati fiscalmente più solidi si propongono oggi di mettere le mani sulle ricchezze di quelli più instabili sfruttando un quadro normativo creato fin dall’inizio a tale scopo. Il caso Fraport è solo uno dei tanti esempi emblematici dell’umiliazione alla quale va incontro un paese che entra in questa trappola. Nei giorni in cui in Italia una parte del governo e la totalità dei mainstream invocano a gran voce l’utilizzo del Pandemic Crisis Support (il cosiddetto MES sanitario), c’è da sperare che il sacrificio dei greci sia servito, quanto meno, ad aprire gli occhi e a illuminare le coscienze.

Fonti

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