LA CRISI IN TURINGIA TOCCA UN NERVO SCOPERTO NEL SISTEMA POLITICO TEDESCO

0

Il caos politico divampato nelle ultime ore in Turingia attorno alla formazione del nuovo governo regionale ha ormai valicato ampiamente i confini del piccolo e depresso Land della ex-DDR diventando a tutti gli effetti un caso nazionale con effetti potenzialmente deflagranti sull’intero sistema politico tedesco. La posta in gioco va ben oltre l’elezione del nuovo presidente del Landtag e della maggioranza che lo sosterrà. A ben guardare, la crisi politica scoppiata ad Erfurt nasconde, infatti, almeno altri due problemi di portata nazionale ben superiore, che la classe politica e i media tedeschi hanno finora cercato in tutti i modi di occultare, ma che adesso si stanno palesando in tutta la loro evidenza. Il primo è rappresentato dall’ormai inevitabile sdoganamento dei due partiti “anti-sistema”, ossia la Linke e l’AfD. Guardati fino ad oggi con disprezzo dai partiti tradizionali, come una sorta di reperto museale di un passato che si voleva superato per sempre, in realtà essi sono da tempo due partiti fortemente radicati in tutti e cinque i Länder orientali e hanno un peso non trascurabile anche a livello nazionale. Qualunque maggioranza uscirà alla fine al parlamento di Erfurt non potrà fare a meno dell’appoggio di uno di questi due partiti. Il secondo problema è dato dalla sempre più evidente fragilità e obsolescenza del sistema elettorale tedesco, che nonostante la riforma del 2013 appare sempre più inadeguato a garantire maggioranze solide e coese a Berlino come in provincia e obbliga, anzi, i partiti a tortuose e improbabili coalizioni per la formazione di un governo, oltre a richiedere quasi sempre tempi di consultazione post-elettorali molto lunghi.

Come si è arrivati alla crisi

Le elezioni regionali svoltesi in Turingia lo scorso 27 ottobre hanno consegnato un parlamento frammenta-to dal quale, come era facile prevedere fin dalla sera della divulgazione dei risultati, sarebbe stato difficile tirare fuori una maggioranza stabile. La Linke, partito del presidente uscente Bodo Ramelow, ha ottenuto la maggioranza relativa con il 31% dei voti e 29 deputati. L’arretramento dell’SPD e il deludente risultato dei Grünen hanno impedito, tuttavia, la riproposizione della coalizione Linke-Grünen-SPD che aveva governato per quattro anni la Turingia. Dopo mesi di inutili trattative, si è andati alla conta dei voti in parlamento per formalizzare l’elezione di Ramelow, il quale avrebbe guidato un esecutivo di minoranza con SPD e Grünen. Per due volte di fila Ramelow non ha ottenuto la maggioranza necessaria. Al terzo scrutinio il colpo di scena, in realtà preparato da settimane dietro le quinte. Anziché votare il proprio candidato, AfD ha fatto convergere i propri voti sul candidato del FDP Thomas Kemmerich, che già poteva contare sull’appoggio della CDU. Kemmerich ha così prevalso su Ramelow per un solo voto, aprendo la strada a un governo di minoranza formato da liberali (FDP) e CDU con l’appoggio esterno di AfD. La notizia ha creato subito un vero e proprio terremoto politico in Germania. Oltre alla prevedibile reazione della Linke, che ha visto sfumare per un soffio la rielezione di Ramelow, la nuova coalizione è stata apertamente osteggiata fin da subito anche dalle segreterie nazionali di CDU e FDP a Berlino, preoccupate per il danno di immagine conseguente allo sdoganamento di quello che continuano a chiamare il “partito dei neonazisti”. Non solo. Per tutto il pomeriggio e la serata di ieri si sono formati fuori dal parlamento regionale a Erfurt, a Berlino e in varie città della Germania capannelli di persone per protestare contro l’eventualità di un governo appoggiato dall’AfD. Nella notte tra mercoledì e giovedì l’abitazione di Kemmerich è stata oggetto di atti vandalici, al punto che l’indomani alcuni dei suoi cinque figli sono dovuti andare a scuola scortati dalla polizia(1). La segreteria regionale del FDP ha denunciato di aver ricevuto migliaia di e-mail contenenti minacce contro Kemmerich e il suo partito. Non sono mancate reazioni sdegnate anche dall’SPD e da Bruxelles, soprattutto per bocca dell’onnipresente Guy Verhofstadt. Il colpo di grazia è arrivato, infine, dalla cancelliera Merkel(2) in persona, la quale, appena atterrata in Sudafrica per un incontro diplomatico, ha definito “imperdonabile” il tentativo del proprio partito di formare in Turingia una coalizione che veda l’appoggio dell’AfD. Preso atto dell’impossibilità di portare avanti il progetto di governo, Kemmerich ha, quindi, rinunciato all’incarico, chiedendo nel contempo che venga sciolto il parlamento regionale e vengano indette nuove elezioni. Elezioni che, tuttavia, nessuno dei partiti sembra volere, ad eccezione di Linke, l’unica formazione che, almeno stando ai sondaggi, avrebbe ampiamente da guadagnare da un eventuale ritorno alle urne. Un sondaggio Forsa pubblicato pochi minuti fa profila infatti uno scenario da incubo per la segreteria nazionale di CDU e FDP. La Linke crescerebbe di ben 6 punti passando al 37%, la CDU subirebbe un ulteriore tracollo scendendo al 12% con una perdita del 9,7%, i liberali di FDP perderebbero un punto percentuale scendendo dal 5,0% al 4,0% e rimanendo in tal modo fuori dal parlamento regionale. Gli altri partiti, inclusa AfD, rimarrebbero sostanzialmente stabili, a testimonianza del fatto che il colpo di mano tentato da Kemmerich si è ritorto principalmente contro il suo stesso partito e contro la CDU.

 

Ieri pomeriggio la presidente della CDU Annegret Kremp-Karrembauer si è recata d’urgenza a Erfurt per ribadire la netta contrarietà della segreteria nazionale a un accordo con AfD e proporre nuove elezioni. In realtà, il viaggio ha avuto come vero obiettivo non dichiarato spingere alle dimissioni l’attuale presidente regionale della CDU Mike Mohring. È noto, infatti, che la CDU della Turingia guarda da tempo con simpatia a un accordo con AfD ed è disposta a questo passo pur di evitare altri quattro anni di governo della Linke, che considera il suo più acerrimo avversario politico. Mohring ha ricevuto molti attacchi da membri del suo partito, tuttavia la segreteria regionale gli ha rinnovato ieri la propria fiducia. Inoltre, si dichiara indisponibile a nuove elezioni, convinto che in questo clima il suo partito potrebbe solo peggiorare il già disastroso risultato di ottobre 2019 (come peraltro il sondaggio di stamattina conferma ampiamente). Il braccio di ferro con Annegret Kremp-Karrenbauer è andato avanti per tutta la notte, ma al momento non sembra aver sortito gli effetti sperati dalla segreteria nazionale di Berlino(3).
Non migliore è la situazione in casa FDP. Oltre a Kemmerich, anche il segretario nazionale Christian Lindner è in queste ore sulla graticola, al punto che molti dentro il suo partito ne chiedono apertamente le dimissioni. Gli viene rimproverato opportunismo per aver di fatto avallato quanto stava accadendo in Turingia, salvo fare marcia indietro all’ultimo momento sull’onda della sollevazione popolare.

Che cosa nasconde la crisi in Turingia. Conseguenze a livello nazionale

Al momento nessuno riesce a intravedere una possibile via d’uscita, anche se appare difficile a questo punto evitare un ritorno alle urne. Ma il vero problema è che la crisi che si è aperta a Erfurt tocca un nervo scoperto del sistema politico tedesco e rischia di mettere a rischio la stabilità del governo federale in carica e i già fragili equilibri su cui esso si regge.

Pur soffrendo da sempre di un palese ostracismo da parte dei partiti tradizionali e dei media, i due “partiti anti-sistema”, Linke e AfD, riscuotono da anni forti consensi nei Länder della ex-DDR, dove raccolgono il malcontento di una larga fetta della popolazione che si sente, a torto o a ragione, tradita dalle promesse di un futuro migliore elargite senza limiti da Berlino fin dal 1990. Di questo ci siamo occupati in dettaglio in un nostro recente articolo(4). A livello nazionale questi due partiti sommano attualmente circa il 23% degli elettori. Per quanto appaia improbabile al momento un loro ingresso in una coalizione di governo a Berlino, non è escluso che in futuro i loro voti diventino decisivi. Il fenomeno va poi di pari passo con la crisi dei due principali partiti che hanno di fatto guidato la Germania dal dopoguerra a oggi, una crisi che va ben oltre i Länder orientali e che ha già provocato serie conseguenze sia a livello regionale che a livello nazionale. L’SPD vive da anni un vero e proprio inferno ideologico ed elettorale dal quale non sembra in grado di uscire. Dal 2011 a oggi ha subito un autentico tracollo elettorale che l’ha portata negli ultimi sondaggi ad attestarsi a fatica come terza forza politica, ormai ampiamente scavalcata dai Grünen e seriamente minacciata dalla crescita di AfD. Anche la CDU ha subito negli ultimi anni una pesante erosione di consensi, conseguenza del sempre più evidente affievolimento della figura di Angela Merkel e, più ancora, dell’incapacità del partito di trovare un valido sostituto ad essa. L’attuale segretario Annegret Kremp-Karrenbauer non riscuote particolari consensi né dentro né fuori dal partito e le sue capacità di leadership sono costantemente messe in dubbio dalla stessa base. La verità è che la Germania si trova oggi a fare i conti con gli errori di una riunificazione imposta in maniera arrogante e frettolosa e troppo spavaldamente sbandierata come un successo (su questo si rimanda allo straordinario lavoro di Vladimiro Giacché, Anschluss, seconda edizione 2019, vedi banner a lato). Volente o nolente, Berlino dovrà d’ora in poi tener conto della forza dei due partiti “estremi” e della loro imprescindibilità per la formazione di maggioranze almeno nei Länder orientali. L’ostinazione con cui gli analisti politici e i mainstream tedeschi hanno guardato fino ad oggi a queste due formazioni, etichettate rispettivamente come un residuo “stalinista” e “nazista” del secolo scorso, nasconde, in realtà, il terrore inconfessabile che i cosidetti partiti “democratici” non siano in grado di intercettare le istanze di una sempre più ampia fascia della popolazione, a Est ma non solo. In altre parole, la demonizzazione di Linke e e AfD è servita finora principalmente a coprire il fallimento della riunificazione e, non ultimo, delle politiche mercantilistiche di Angela Merkel, le quali hanno lasciato fuori dal tanto decantato boom economico degli ultimi anni larga parte delle classe media e dei ceti meno abbienti. Il tutto viene poi a cadere nel pieno di una recessione economica. Mai come in questi mesi il PIL tedesco, per anni sostenuto dall’export, sembra in affanno. L’attuale crisi epidemica in Cina e il panico generalizzato diffusosi in tutte le borse mondiali in conseguenza del coronavirus non lasciano presagire niente di buono per il 2020, come lo stesso iFO ammette ormai apertamente.

Si capisce, dunque, perché l’attuale crisi politica al Landtag di Erfurt nasconda molto più di quanto non si scorga a prima vista. Il governo centrale tedesco si trova oggi a fare i conti con un’opposizione interna di milioni di esclusi, che per troppo tempo sono stati etichettati come “nostalgici” o “irriducibili”, quando, in realtà, erano e rimangono semplicemente espressione di un’insofferenza e di un malcontento che hanno cause prettamente economiche e sociali. L’arroganza mostrata per l’occasione dalla cancelliera e dalla segretaria del partito di maggioranza a Berlino si scontra con la cruda realtà dei numeri, che evidenziano come il partito stia vivendo una forte crisi di consenso e di leadership e sia guardato con crescente disaffezione anche dai suoi elettori tradizionali. Il contagio rischia ora di propagarsi ad altri Länder e alla stessa grande coalizione, la quale ormai da mesi non è più maggioranza nel paese secondo i sondaggi. Niente di quanto sta avvenendo in Turingia sorprende, in realtà, gli osservatori più attenti, che da anni ammoniscono sulla fragilità economica e politica del modello Germania. La frammentazione politica è poi aggravata da un sistema elettorale misto (un proporzionale con sbarramento al 5% ed elementi di maggioritario, ma senza premi di maggioranza), che già in varie occasioni ha dimostrato di essere incapace di assicurare la governabilità, obbligando spesso i partiti a complicate alleanze che richiedono mesi di trattative e raramente accontentano gli elettori. La (da molti bistrattata) Gran Bretagna ha dimostrato anche su questo piano di aver scelto un sistema elettorale solido e capace, pur al netto di alcune evidenti distorsioni, di garantire governabilità e stabilità nei momenti più difficili. Un passaggio obbligato al quale anche la Germania difficilmente potrà sottrarsi in futuro, specie se la sua classe politica continuerà a ostracizzare i due partiti “estremi” non riconoscendo loro legittimità politica.

Condividi!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *