DIVERSIFICAZIONE. CHE COS’È E PERCHÉ È IMPORTANTE NEL CONTESTO DELLA GUERRA ODIERNA

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Se diversificare è importante in tempi normali, lo è ancora di più oggi alla luce del conflitto in corso. Il fanatismo ideologico è un elemento distorsivo non solo nell’analisi geopolitica, ma anche e soprattutto nella scelta degli investimenti. Molti investono sul rosso o sul nero senza mai prendere in considerazione scenari diversi dal proprio wishful thinking.

Oggi affrontiamo un tema prendendolo alla larga. Cominciamo col parlare di cosa vuol dire diversificare e poi lo applicheremo ad un altro caso.

Diversificare, di solito, è il modo migliore per raggiungere i propri obiettivi finanziari a medio lungo periodo. Naturalmente, non si può eliminare totalmente il rischio di mercato (detto anche rischio sistemico), tuttavia la diversificazione dovrebbe essere la regola d’oro di ogni investitore.

Evitare di concentrare il proprio portafoglio su un unico strumento, classe di attività, settore, bene può anche essere molto rischioso sia quando parliamo di azioni sia quando parliamo di obbligazioni. Per le azioni, tanto per non andare troppo in là, basta pensare a quante banche italiane sono fallite negli ultimi anni. Per le obbligazioni bastano pochi nomi: Parmalat, Banca Popolare di Vicenza o Veneto Banca.

Sposare un approccio diversificato consente di controbilanciare l’ eventuale performance negativa di uno strumento finanziario (inteso nel senso più ampio) con una performance positiva di altri investimenti in portafoglio. Quindi, avere una diversificazione, cioè investire in settori diversi strumenti diversi o quant’altro, è un buon sistema per il controllo del rischio e raggiungere i propri obiettivi di media di medio lungo periodo.

Quando si diversifica, la scelta migliore è operare per classe di investimento. Ad esempio, possiamo suddividere i nostri risparmi tra azioni e obbligazioni, liquidità, immobili o materie prime. E non solo: possiamo scegliere tra più paesi in cui andare investire i nostri quattrini per evitare anche il cosiddetto rischio paese.

Ad esempio, si può investire nei mercati internazionali oppure diversificare per settori scegliendo di investire nell’industria delle comunicazioni, del lusso, delle utility, dell’energia, dei servizi finanziari ecc. Oppure si può diversificare tra investimenti più aggressivi (detti “growth”) oppure titoli a crescita costante e stabile nel tempo (i cosiddetti titoli “value”). O ancora: si può fare diversificazione sulla base dell’orizzonte temporale, quindi investimenti a breve, medio o lungo periodo.

La diversificazione varia da cliente a cliente. Ci sarà il cliente più aggressivo che privilegerà un portafoglio a maggior contenuto azionario, quello più conservativo che privilegerà azioni di tipo vario o obbligazioni. Attenzione: diversificare non elimina mai completamente il rischio. Il rischio, infatti, fa parte del mercato, per questo è detto “detto “sistematico”: non può mai essere eliminato del tutto.

Nel recentissimo passato abbiamo visto che possono intervenire variabili non sono finanziarie, ad esempio guerre e pandemie. O ancora, cambiamenti dei tassi di interesse, inflazione, cambiamenti dei tassi di cambio possono, e non poco, incidere sul risultato e sull’asset allocation (la sistemazione degli investimenti) prescelta.

Riassumendo: stare sui mercati comporta sempre un rischio che l’investitore deve accettare.

Il rischio diversificabile, che si definisce rischio non sistematico, ossia rischio specifico, si può relazionare a una singola azienda, industria, economia, paese. È proprio in questo caso che la diversificazione ci aiuta, guidandoci a distribuire il rischio su attività varie e diversificate, in maniera tale che non vengano influenzate allo stesso modo dagli eventi di mercato.

Ad esempio, se io investissi in paesi che producono esclusivamente petrolio, un crollo nei prezzi del petrolio provocherebbe a cascata la caduta del valore delle aziende e delle  azioni di questi paesi.  Un paese  specializzato in monoculture agricole tipo il cacao (che è spesso una monocultura in tanti paesi africani) risente in maniera drammatica dei movimenti del prezzo del cacao (o anche del caffè o del tè o  altri prodotti).

La diversificazione che tiene conto del rischio specifico è un grande aiuto. Se volete raggiungere obiettivi finanziari a lungo termine, quindi, non mettete tutte le uova nello stesso paniere.

Ancora, a parte sedicenti maghi, liberi da sempre di fare danni e questo perché spesso la gente preferisce “credere anziché ragionare”, parliamo del cosiddetto “timing”.

Il timing non conta perché è quasi impossibile azzeccare ogni volta il momento migliore in cui entrare nel mercato e la diversificazione ci aiuta proprio in questo senso perché elimina il problema di saper scegliere quando entrare in questo o quel settore, mercato, investimento.

Non esiste alcune legge per cui ciò che è accaduto in passato si ripeterà necessariamente anche in futuro. Per fare esempio recente, chi avesse deciso di acquistare petrolio nel 2020 in piena pandemia avrebbe conseguito nei 18-24 mesi successivi dei grandissimi risultati. Lo stesso se  avesse fatto la stessa operazione col gas nel biennio 2021 2022. Ma ben altro sarebbe stato il risultato nei mesi successivi.

Scegliere di non legare il proprio destino finanziario a una singola azienda, industria, economia, paesi o settore è fondamentale quindi per raggiungere risultati. La diversificazione significa scegliere, cioè scegliere di non essere legati a un unico tipo di attività, di economia, di strumento, investimento ecc.

Ora che, mi auguro, abbiamo finalmente chiarito che cosa significa diversificare, esaminiamo quello che sta succedendo da febbraio 2022.

Noi (intendendo come noi occidentali) stiamo scommettendo su un unico tipo di risultato. La stessa cosa la stanno facendo i russi. A seconda del punto di vista, c’è solo una e un’unica possibilità: la vittoria dell’Ucraina contro i russi, oppure, nell’altro caso, la vittoria dei russi contro l’Ucraina.

Ci siamo bellamente dimenticati di diversificare per la semplice ragione che nessuno, finora, si è reso la briga di esaminare la possibilità che si verifichino altri casi, ovvero uno stallo, una tregua, un qualsiasi accordo di stabilizzazione. Per farla breve, una delle numerose  situazioni ibride in cui non vince pienamente né l’uno né l’altro. In cui, volenti o nolenti, si deve accettare una situazione di equilibrio che registri lo status quo.

È un caso mai visto?

Lo Yemen è stato diviso per decenni in due. Idem il Vietnam. La Corea è stata spezzata in due tronconi. Recentemente il Sudan è stato diviso su basi etnico-tribali dopo decenni di guerra civile. E, tanto per completare il ripasso di storia, qualcuno ancora si ricorda quante Germanie ci fossero prima del 1989?

Anche se sembra strano, ma siete liberi di usare altri aggettivi, la possibilità di arrivare a uno stallo, un armistizio, una pace di qualsiasi genere o tipo è tenuta sotto il tappeto.

Ma ci siamo mai chiesti che cosa succederebbe in questo caso?

E qui torniamo al concetto della diversificazione. Perché, se io ho scommesso su un’unica possibilità, cioè se ho fatto il pazzo del casinò che piazza tutti i suoi soldi su un unico numero e viene fuori un numero diverso, sono letteralmente rovinato perché avevo scommesso tutto su quell’unica ipotesi.

Oggi il “fronte” occidentale sta rimpinzando di armi gli ucraini. Preciso che questa non è un’analisi di carattere etico morale o politica, stiamo semplicemente ragionando su un’ipotesi. Abbiamo concesso svariati finanziamenti agli ucraini per comperare le nostre armi, nuove o vecchie che fossero, scommettendo, sempre, su un’unica possibilità e sulla eventuale ricostruzione post bellica.

Vi voglio ricordare che la “lend and lease”, ossia il piano che gli statunitensi misero in piedi per finanziare lo sforzo bellico degli alleati nella seconda guerra mondiale, nel caso del Regno Unito (che è una delle principali economie del G20) è stato finito di pagare negli anni 2000. Quindi, ci sono voluti la bellezza di 40 e passa anni per far sì che il debito di guerra fosse pagato dagli inglesi agli americani.

Voi pensate che l’Ucraina abbia i mezzi finanziari per restituire i soldi che gli stiamo dando per le armi? Pensate che la cessione di pezzi di territorio, quello rimasto sotto controllo ucraino, alle big corporation come Blackrock, basti a pagare il debito che si sta accumulando?

Tutti sappiamo che l’Ucraina quei soldi non li ha. E questo è, al tempo stesso, uno stimolo eccezionale e dopante per continuare a rimpinzarli di armi, perché, se gli ucraini non vincono la guerra, i quattrini elargiti, anche se a lunghissimo temine, non li rivedremo mai più.

Chi paga per la sconfitta degli uni o degli altri? Come? Quali instabilità nuove ed ignote sarebbero generate da questa situazione? Nessuno sembra farsi questa semplice domanda. Dovesse andare male ai russi, che ipotesi sono state vagliate? Un governo filo occidentale? Sanzioni riparatorie come quelle che hanno finito per portare al potere Hitler? D’altro canto, un governo ucraino abbattuto creerebbe ulteriori problemi. Chi seguirebbe il rimborso dello sforzo economico che gli occidentali hanno affrontato? E come? Con quali soldi?

Signore e signori c’è da farsi più di una domanda, direi.

Come detto poco sopra, non sarebbe la prima volta che si arriva a situazioni di frazionamento di un paese. Considerata la qualità dell’informazione, so che la gran parte dei commentatori che leggete sui giornali oppure ascoltate alla televisione non si ricorda del Vietnam, dello Yemen, della Corea, del Sudan, figuriamoci della Germania.

Per tornare all’indispensabile diversificazione da cui ha preso avvio la nostra riflessione, è chiaro che tutto stiamo facendo noi occidentali tranne che “investire” in alternative che non siano soltanto riempire di armi i locali, senza esaminare alcuna possibilità alternativa, tacitandola genericamente come pavida e “pacifinta”, se non respingendola, probabilmente per incapacità di analisi.

In pratica, la politica occidentale finora ha seguito la logica di chi al casinò scommette o sul rosso o sul nero. Ora, se questo può bastare a saziare gli appetititi dei mercanti di armi nel breve periodo, è un approccio quanto meno miope e limitativo nel momento in cui estendiamo la nostra analisi al “dopo”. Un dopo che sarà certamente complesso, a meno che non si sia deciso che l’Europa debba diventare un continente caratterizzato da una situazione geopolitica perennemente instabile, come si fa, con macabro successo, in Medio Oriente dal dopoguerra.

Per ragionare su un’ altra conseguenza collaterale, provate ad immaginare, date le diverse soglie di sensibilità dei paesi europei, come si potrebbero legittimare mesi di rincari e aumenti di tassi giustificati unicamente dalla necessità di “farla pagare alla Russia”.

È un grosso problema, signori miei. E bisogna pensarci per tempo. Se non lo fanno gli altri, iniziamo a farlo noi.

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