REPETITA IUVANT
Pur non essendo terapie geniche in senso stretto, i vaccini a RNA e a DNA stimolano il sistema immunitario tramite l’acido nucleico, che già di per sé ha molteplici effetti, e danno origine a una proteina virale che, a sua volta, ha molteplici effetti, alcuni dei quali potenzialmente dannosi. Per questo, vanno sperimentati in laboratorio e in clinica come qualsiasi altro farmaco di natura “chimica”.
I vaccini COVID-19 a RNA e a DNA sono medicinali contenenti acidi nucleici. Come tali, in linea di principio parrebbero rientrare nella categoria dei prodotti per terapia genica, da cui EMA invece li esclude. Si tratta di una scelta condivisibile ove si consideri la definizione del prodotti per terapia genica, secondo cui ognuno di essi:
“contiene un principio attivo che consiste di o è costituito da un acido nucleico ricombinante utilizzato o somministrato a esseri umani allo scopo di regolare, riparare, sostituire, aggiungere o eliminare una sequenza genetica”
EMA da questa categoria esclude esplicitamente i vaccini a RNA e anche a DNA e la scelta è condivisibile, poiché si tratta di prodotti che non sono fatti per “regolare, riparare, sostituire, aggiungere o eliminare una sequenza genetica”, bensì per far produrre transitoriamente certe proteine senza modificare il materiale genetico umano. E fin qui tutto bene. Poi però EMA commette alcuni errori:
- considera i vaccini a RNA e a DNA come qualsiasi comune vaccino contenente antigeni inerti, disconoscendo che l’RNA e il DNA hanno effetti complessi, di per se stessi e tramite le proteine di cui inducono la produzione;
- li sottopone di conseguenza unicamente ai test previsti per i vaccini, che comprendono la capacità di essere immunogeni e poco altro;
- evita quindi in tal modo di:
- verificare gli effetti di DNA e RNA e delle proteine che ne risultano sui principali organi, apparati e funzioni;
- valutarne la genotossicità, la mutagenicità e la capacità di integrarsi nel genoma umano;
- definirne l’assorbimento, la distribuzione e l’eliminazione;
- sottoporre a test strumentali e laboratoristici i volontari su cui i prodotti vengono sperimentati, alla ricerca di alterazioni subcliniche di organi, apparati e funzioni;
- sottoporli a farmacovigilanza con i criteri e le procedure che si applicano ai farmaci “chimici”, molto meno artificiosamente restrittivi di quelli che si applicano ai vaccini, finendo dunque per scartare a priori la massima parte delle segnalazioni di sospetti effetti avversi senza nemmeno considerare il possibile nesso.
Per non dire della scelta esplicita di non condurre farmacovigilanza attiva, assurda e insostenibile. Questo e molto altro è documentato e discusso in questa nostra pubblicazione dello scorso settembre, sempre attuale, ma della quale è in preparazione una seconda parte.
In sintesi, i vaccini COVID-19 a RNA e a DNA sono basati su tecnologie sviluppate per le terapie geniche, ma non sono terapie geniche. Sono vaccini in quanto, tra l’altro, stimolano il sistema immunitario, ma il loro meccanismo si basa su un acido nucleico, che già di suo ha molteplici effetti, che dà origine a una proteina virale che a sua volta ha altrettanti, se non ancor più effetti, molti dei quali potenzialmente dannosi. Per queste ragioni, nel pieno rispetto delle norme vigenti, questi prodotti vanno sperimentati in laboratorio e in clinica come qualsiasi altro farmaco di natura “chimica” (“chemical drug”), ovvero studiandone tutti quegli aspetti sopra elencati che fin qui sono stati rimossi o del tutto ignorati. Solo a queste condizioni disporremo delle informazioni necessarie e a discutere consapevolmente rischi e benefici di questi prodotti.