LULA SI CONFERMA UN GRANDE GIOCATORE DI SCACCHI

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Fino a ieri campione del progressismo filoamericano, Lula si erge oggi a leader dei BRICS e paladino degli interessi dei paesi non asiatici non allineati contro l’egemonia del dollaro. Un triplo salto carpiato, che denota indubbiamente grande visione politica, ma anche spavalderia al limite della temerarietà. Comunque si giudichi Lula, una cosa gli va riconosciuta: è un grande giocatore di scacchi.

L’articolo tratto da O Globo, di cui abbiamo fornito una traduzione integrale, merita di essere letto per intero.

Lula dà prova della sua innata furbizia politica e della sua straordinaria capacità dialettica, capacità che molti analisti hanno spesso ignorato o sottovalutato essenzialmente per via della semplicità allegorica del suo linguaggio, sempre privo di inutili metafore e fronzoli retorici, sempre dritto al punto, sempre diretto allo stomaco del popolo, alle tasche della classe media, alle corde dell’orgoglio nazionale del Paese.

La sua dichiarazione si rivolge, infatti, al tempo stesso alla platea internazionale e a quella interna. Agli Stati Uniti sta dicendo essenzialmente che, se non gradiscono la posizione del Brasile nei riguardi della Cina e della guerra in Ucraina, possono sempre rivolgersi a Bolsonaro (che gli USA hanno fortemente voluto rovesciare). Agli elettori brasiliani offre, invece, un discorso dai toni marcatamente sovranisti e nazionalisti: il governo si sta muovendo sul piano internazionale senza pregiudizi ideologici, farà affari con chiunque riterrà necessario e utile nell’interesse supremo del Paese. Un discorso in grado di fare breccia anche nell’elettorato bolsonarista, forse ancor più che in quello tradizionalmente petista.

Naturalmente, occorrerà aspettare per capire se quelle di Lula sono solo dichiarazioni di facciata o se, invece, inaugurano una stagione di effettivo disancoraggio dal dollaro e di avvicinamento alla Cina. Quel che è certo è che Lula, forse perché consapevole di essere arrivato al suo mandato (ha 77 anni), si sta rivelando, oltre che furbo, anche estremamente spregiudicato. Si è fatto aiutare dalla stampa occidentale e da quella brasiliana, tradizionalmente filoamericana, a uscire di prigione, a ergersi a paladino dell’anti-bolsonarismo e, addirittura, a farsi eleggere per un terzo mandato convogliando su di sé anche i voti e le simpatie di classi tradizionalmente ostili, incluse grandi testate come O Globo, la Folha de São Paulo, il potente gruppo Abril (prima del 2022 tutte ferocemente antiluliste). In campagna elettorale ha sposato temi non certo usuali per il trabalhismo brasiliano ma, se mai, tipicamente progressisti, come la vaccinazione di massa, la difesa dell’Amazzonia, la transizione energetica, in chiave antibolsonarista. Infine, una volta eletto, si propone al mondo come ambasciatore dei BRICS (che il suo ex ministro Celso Amorim ha di fatto creato durante il suo primo mandato) e come leader non asiatico degli interessi dei paesi non allineati contro l’influenza americana e il dominio globale del dollaro.

Un triplo salto carpiato, che denota indubbiamente grande visione politica, grande capacità di sedere su più tavoli e parlare con più interlocutori, ma anche spavalderia al limite della temerarietà. Eppure, Lula sente di poter dormire tra due cuscini. Sa che l’unica alternativa in patria, Bolsonaro, è temuta e invisa all’amministrazione Biden più della sua. E sa che ora, con l’esplicito appoggio della Cina (decisa a consolidare la sua influenza in Sudamerica), gli Stati Uniti avranno difficoltà a fare colpi di mano. Comunque si giudichi Lula, una cosa gli va riconosciuta: è un grande giocatore di scacchi.

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