IN ITALIA, IN SICUREZZA.

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Sono passati due anni dal lockdown che sarebbe dovuto durare due settimane “per abbassare la curva dei contagi” e ancora in Italia le restrizioni permangono. Prudenza, cautela, gradualità: queste sono state le parole d’ordine attraverso cui i governi italiani hanno giustificato le misure di contrasto alla pandemia.

Alla vigilia della seconda ondata Covid, nell’autunno 2020, un professore universitario con un discreto seguito sui social comunicava il suo senso di sollievo nell’essere riuscito a tornare in Italia invece che rimanere prigioniero degli eventi nello scellerato Paese in cui lavora. Erano i giorni in cui il governo Conte II lodava il sistema delle zone colorate, capace di salvare l’Italia da una nuova ondata di contagi, a differenza dei nostri più incauti vicini. Non erano cioè ancora i giorni in cui Sileri commentava che forse sarebbe stato meglio stare zitti piuttosto che autocelebrarsi, dato che la seconda ondata – ma chi lo avrebbe mai detto? – alla fine colpì l’Italia come tutto il resto del mondo occidentale.

A due anni dall’inizio del lockdown che sarebbe dovuto durare due settimane, l’immaginario collettivo italiano è rimasto, magari con minore compiacenza, invariato. L’Italia è il Paese della prudenza, della cautela, della salute pubblica: tutti termini ai quali nessuna persona di buonsenso avrebbe nulla da obiettare. I nostri esponenti politici si sono in questi due anni fatti forti della loro avversione al rischio: di fronte ai morti, alle bare di Bergamo, alle terapie intensive intasate, al nemico invisibile, è sempre stato preferibile rinunciare a qualcosa nel breve periodo per stare meglio nel lungo. Chiudiamo oggi per riaprire domani.

È difficile comprendere oggi quanto queste posizioni siano state portate avanti in buona o in malafede. Si può lecitamente ritenere che la nostra classe dirigente fosse e sia davvero convinta della bontà delle proprie scelte, così come si può invece pensare che siamo ancora una volta di fronte agli uomini politici dell’8 settembre 1943; disposti a tutto pur di salvarsi la pelle. Non è un caso che quando la politica parli o abbia parlato di allentamento delle misure, abbia sempre accompagnato il discorso con l’idea della “gradualità”. Sì, possiamo fare qualche passo in avanti, però con calma, ché non si sa mai. Però il discorso, sostenuto da un potente e univoco apparato mediatico, funziona. Non soltanto il nostro professore si sente sicuro in Italia, ma una buona parte degli italiani. Quel giornalista che dall’Inghilterra lamenta di sentirsi un alieno a indossare ancora la mascherina, quella nostra collega che si preoccupa perché la figlia sta nell’Irlanda delle scarse precauzioni, quel nostro vicino che continua a camminare con naso e bocca ben coperti, quel nostro consulente del ministro della Salute che continua a mostrarci i grafici di quanto le cose vadano male nei Paesi scellerati.

A due anni dal lockdown bisogna ammettere che il discorso costruito dal governo è diventato senso comune. Maggiori restrizioni significano maggiore sicurezza e la cautela è sempre, in ogni circostanza, di fronte a qualsiasi altra considerazione, preferibile. Certo, potremmo cominciare a chiedere in giro perché non si gira in auto con il casco integrale, o per strada con le ginocchiere, provvidenziali in caso di caduta. Oppure, in fondo comprendere perché, ormai unici, continuiamo a tenere in piedi il green pass. E non importa se sia per l’oggi o per il domani: non si sa mai.

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