Secondo l’ISS, l’efficacia vaccinale si mantiene a livelli talmente alti da non mostrare apprezzabili differenze tra le due dosi entro o oltre i 120 giorni e nemmeno tra quelle e la terza dose (tabella 6 del report ISS del 23/2 scorso (al punto che viene da chiedersi a cosa serva farsela, la terza, ma non è di questo che vogliamo discutere oggi).

Non è, tuttavia, così agevole riprodurre i dati ISS, dal momento che tabelle diverse, ma anche categorie diverse di dati nella medesima tabella sono riferiti a casi di contagio registrati in periodi di tempo differenti. Nella semplice elaborazione che segue sono quindi confrontati i dati riferiti alle diagnosi incluse nel medesimo intervallo temporale (31/12/2021-30/01/22) recuperate in tre report differenti (2, 16 e 23 febbraio) sulla base dell’ipotesi che i diversi esiti (ospedalizzazione, TI, decesso) siano sottoinsiemi del medesimo macrogruppo di diagnosi (il che non è detto, ISS non è chiarissimo in questo senso, tuttavia i risultati non cambiano di molto anche se si prendono i dati temporalmente non coincidenti inclusi in ogni singolo rapporto periodico).

Ora, la tabella 0 include i dati impiegati nelle successive elaborazioni, mentre la tabella 1 mostra nella sua parte destra l’efficacia dei vaccini riferita per ogni esito (contagio, ospedalizzazione, TI, decesso) al totale di ogni gruppo ed espressa in termini di riduzione del rischio relativo rispetto ai non vaccinati (RRR).

  • in *giallo*, i valori di RRR di poco sopra al 50%, soglia minima ai tempi definita arbitrariamente dalle agenzie regolatorie come limite al di sopra del quale l’efficacia vaccinale avrebbe avuto un rilievo clinico,
  • in *arancione* i valori sotto il 50% e
  • in *rosso* i valori positivi, ovvero dove in apparenza il rischio relativo è maggiore nei vaccinati rispetto ai non vaccinati.

Torniamo alla tabella 1, i cui numeri corrispondono alla narrazione nota, secondo cui la protezione da contagio è scarsa, ma almeno poi il covid non è grave. La protezione dal conyagio è in realt davvero molto scarsa ed è clinicamente apprezzabile con qualsiasi schema vaccinale solo nella fascia d’età >80 anni (anche con una sola dose!) mentre solo la terza dose sta sopra il 60-70% per tutte le età. Meglio, molto meglio RRR per ospedalizzazione, TI e decessi. Evviva!

Ora, tuttavia, per amore di riflessione e discussione, va detto che contagio e covid sono processi temporalmente conseguenti e causalmente consequenziali, ovvero (parafrasando quel tizio): ti contagi, poi forse vai in ospedale (o forse no), poi forse guarisci (o forse no).

Quindi, mentre è del tutto sensato riferire l’effetto dei vaccini sui contagi al totale dei gruppi confrontati, è quanto meno legittimo chiedersi se – una volta contagiati – il vaccino faccia differenza. Ovvero, se abbia una base il noto luogo comune secondo cui “ho fatto il covid, ma il vaccino mi ha salvato”.

A questo scopo, la tabella 2 riporta RRR per ospedalizzazioni, TI e decessi rispetto ai contagiati dei vari gruppi. E qui le celle colorate aumentano, soprattutto per l’esito “ospedalizzazioni”, in massima parte sotto il 50% e in alcuni casi anche di molto. Per dire che almeno questi numeri suggeriscono che – se ci si contagia – poi il rischio di finire in ospedale non è così differente tra non vaccinati, vaccinati, bivaccinati e trivaccinati (e per alcuni pare addirittura maggiore, chissà…).

Ma almeno, una volta finiti in ospedale, gli esiti sono diversi per vaxxed e non vaxxed? Questo lo si vede in tabella 3, dove RRR per TI e soprattutto per decessi sono calcolati sul totale degli ospedalizzati. Anche qui le celle colorate sono tante, quasi tutte, e i valori medi di RRR sono quasi tutti intorno al 20-30%. Poca roba davvero. Clinicamente, quasi niente.

Considerazioni conclusive: non è assolutamente detto che questi numeri indichino che i vaccini non hanno effetto apprezzabile. Ricordiamoci sempre che questi sono dati osservazionali da popolazioni non omogenee se non per fascia d’età. Non sappiamo nulla di tutto il resto: sesso, comorbidità, fattori di rischio, esposizione, modalità e qualità delle cure, e chi più ne ha più ne metta. Ma almeno per dirsi che la narrazione più comune e banale non è a oggi così ovviamente sostenuta dai dati.

E attenzione! Dal momento che ci siamo accontentati di studi clinici sperimentali di poche settimane e su effetti di scarso o nullo rilievo clinico (mi riferisco, ovviamente, agli studi autorizzativi), abbiamo definitivamente perso l’occasione di disporre di certezze sull’efficacia dei vaccini. E se anche i decisori politici rinunciassero a interpretare il ruolo di testimonial di imbarazzanti spot pubblicitari, manco i vaccini fossero telefonini o detersivi, i dati resterebbero comunque deboli e inconclusivi. E questo rappresenta una delle due facce del colossale problema che abbiamo con questi prodotti. L’altra, ovviamente, riguarda la carenza e la confusione sui dati di sicurezza. Ma di questo argomento abbiamo già molto parlato in passato e c’è da temere che la necessità di trattarne rimarrà ancora a lungo nel prossimo futuro.


Report ISS del 23/2 in PDF

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