LE TURBOLENZE CONTINUERANNO FINO A QUANDO NON EMERGERÀ UN ORDINE GLOBALE MODIFICATO

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Riportiamo qui l’analisi della situazione attuale fatta da Alistair Crooke per Strategic Culture

epa09726864 Il presidente russo Vladimir Putin (L) e il presidente cinese Xi Jinping (R) posano per una foto durante il loro incontro a Pechino, Cina, 04 febbraio 2022. Putin è arrivato in Cina il giorno della cerimonia di apertura dei Giochi Olimpici Invernali di Pechino 2022. EPA/ALEXEI DRUZHININ / KREMLIN / SPUTNIK / POOL MANDATORY CREDIT

di Alastair Crooke, 7 febbraio 2022


L’Ucraina si è trasformata, inaspettatamente dal punto di vista di Washington – da “utile distrazione” a dilemma di Biden.

“Cosa faremo se l’Occidente non ascolta la ragione?”, ha osservato Sergei Lavrov. “Beh, il presidente della Russia ha già detto ‘cosa’ [farà]”. “Se i nostri tentativi di venire a patti su principi reciprocamente accettabili di garantire la sicurezza in Europa non dovessero produrre il risultato sperato, adotteremo misure di risposta”. Alla domanda diretta su quali potrebbero essere queste misure, [Putin] ha detto: “Potrebbero venire in tutte le forme e dimensioni”. La Russia aveva precedentemente annunciato che in assenza di una risposta occidentale soddisfacente, avrebbe messo da parte il linguaggio della diplomazia e avrebbe fatto ricorso a non meglio specificate misure “tecnico-militari”, aumentando progressivamente il dolore per la NATO e gli Stati Uniti.

È improbabile che Mosca abbia mai avuto grandi illusioni sul loro ultimatum “non ultimatum”. I documenti non hanno mai avuto lo scopo di “attirare” l’Occidente in negoziati ad aeternam. Il punto è che Mosca aveva già deciso di rompere in maniera fondamentale con l’Occidente. Quello che sta succedendo oggi è la manifestazione di quella decisione precedente.

Il nocciolo delle lamentele della Russia sull’erosione della sicurezza ha poco a che fare con l’Ucraina in sé, ma è radicato nell’ossessione dei falchi di Washington verso la Russia e nel loro desiderio di ridurre Putin (e la Russia) a misura. Un obiettivo che è stato il segno distintivo della politica statunitense sin dagli anni di Eltsin. La cricca di Victoria Nuland non avrebbe mai potuto accettare che la Russia diventasse una potenza significativa in Europa, forse eclissando il controllo degli Stati Uniti sull’Europa.

Se non erano intese come base per i negoziati, di cosa trattavano allora le bozze di trattato della Russia? Sembra che parlassero di Russia e Cina che scendevano dal recinto. Questo è molto più importante di quanto molti apprezzino. Segna l’inizio di un periodo di crescenti tensioni (e forse scontri) fino a quando non emergerà un Ordine Globale modificato.

I “non ultimatum” miravano principalmente a far emergere ed esplicitare nella sfera pubblica il rifiuto dell’America di ammettere la validità del punto di vista di Mosca: che gli interessi di sicurezza di Mosca non sono meno significativi di quelli di Ucraina e Georgia; che gli interessi di sicurezza di uno stato non possono essere accresciuti a spese di un altro (cioè l’indivisibilità della sicurezza).

Renderlo chiaro a tutti è una condizione necessaria per un passaggio congiunto Russia-Cina a “misure tecnico-militari” coordinate. Sembra che poco dopo il ritorno di Putin dalle sue consultazioni con il presidente Xi in Cina, potremmo iniziare a vedere quali potrebbero essere queste misure tecnico-militari. Il calcolo russo è che nel periodo che precede il midterm di novembre 22, la parte statunitense sarà sempre più nervosa e internamente vulnerabile. Il Team Biden non ha una risposta convincente alla domanda posta dall’elettorato: “Allora, che cosa avete capito bene quest’anno?” E quindi Biden ha un disperato bisogno di una distrazione dalla sua incapacità di dare una risposta adeguata.

L’Ucraina si è trasformata – inaspettatamente – dal punto di vista di Washington da “utile distrazione” a dilemma di Biden. Inizialmente, si pensava che un’imponente campagna di guerra delle informazioni su una scala senza precedenti creasse per l’Europa e l’America una giustificazione per imporre “sanzioni dall’inferno”, che avrebbero pagato le presunte ambizioni di Putin in Europa e oltre.

Questa manovra apocalittica delle sanzioni risale al 2014, quando si riteneva (erroneamente) che le sanzioni comminate per la Crimea sarebbero state così catastrofiche per la Russia da mettere in bilico il futuro di Putin, fino alla possibilità che potesse essere estromesso dalla politica ad opera di oligarchi pro-occidentali. (Questa è stata l’analisi errata che venne data ad Angela Merkel dai suoi stessi servizi di intelligence).

Era così sbagliato che nel 2014 la Russia ha vissuto solo una lieve recessione (-2,2%). In realtà, la sua economia si è rivelata notevolmente a prova di sanzioni, in parte a causa del fatto che il rublo “galleggia”. Questo vecchio meme delle sanzioni come “bomba al neutrone” per Putin è stato lavato, risciacquato e ripetuto da quei (stessi vecchi) falchi russi, anche se l’economia russa è molto più a prova di sanzioni oggi di quanto non lo fosse nel 2014. La storia delle Sanctions from Hell non ha mai resistito: non è credibile.

Forse la frenesia dell'”imminente invasione” è stata giudicata dai falchi (che sembravano essersi impadroniti della “narrativa di guerra” di Washington) sufficiente per spingere Putin all’azione militare, innescando la “madre di tutte le sanzioni” o, quanto almeno, un umiliante ridimensionamento delle forze russe adiacenti al confine con l’Ucraina.

Entrambi i risultati sarebbero stati facilmente presentati come un “duro Biden” che affronta con successo Putin e lo umilia. In precedenza, i think tank statunitensi avevano previsto ottimisticamente che Putin sarebbe stato dannato se lo avesse fatto; e dannato se non avesse agito sull’Ucraina. Si erano sbagliati. In sostanza, la Russia non vuole o non ha bisogno dell’Ucraina: non c’è nessun piano per occuparla.

È stato in primo luogo il presidente Zelensky, inaspettatamente, a non cooperare con il piano degli Stati Uniti. Anziché approvare la minaccia di un’imminente invasione russa, ha affermato che i timori di invasione erano esagerati e che il nervosismo era dannoso per gli affari e l’economia. Ai tempi della rivoluzione di Maidan del 2014, la Cina aveva promosso gli investimenti in Ucraina. Idem oggi: secondo quanto riferito, l’Ucraina è sull’orlo del default del debito e si è rivolta alla Cina, in cerca di aiuto.

Questo ha fatto infuriare Washington: Julia Ioffe ha twittato che “la Casa Bianca e i suoi alleati democratici hanno quasi avuto una lite con il presidente Zelensky. Secondo tre fonti dell’amministrazione e di The Hill, il presidente ucraino è a sua volta “fastidioso, irritante e addirittura controproducente”. L’aspetto interessante è che la principale rimostranza di questi commentatori statunitensi è che Zelensky non sarebbe sufficientemente in sintonia con le correnti e le narrazioni nazionali negli Stati Uniti. Giravano voci di un possibile colpo di stato guidato dagli Stati Uniti per sostituire Zelensky con un leader più compiacente.

Tuttavia, il meme dell’invasione viene nuovamente lavato, risciacquato e ripetuto: ritorna in vita con una nuova accusa: questa volta la Russia è attivamente impegnata nell’organizzazione di un’operazione du false flag che giustificherebbe quindi un’invasione russa. Questa ipotesi è apparsa così improbabile che persino i corrispondenti normalmente compiacenti verso la Casa Bianca hanno mostrato totale incredulità.

E i problemi di Washington continuavano ad accumularsi: la sessione del Consiglio di sicurezza orchestrata dagli Stati Uniti è stata una débacle per Blinken: le “sanzioni dall’inferno” sono risultate cembali vuoti che si scontrano, con il timore che le sanzioni avrebbero probabilmente danneggiato più l’Europa che la Russia; che avrebbero persino potuto provocare una crisi finanziaria globale. I rapporti suggeriscono che l’ultimo chiodo è stato messo dalla Federal Reserve, quando ha suggerito che espellere la Russia dal SWIFT sarebbe stata una pessima idea.

E poi è arrivata la seconda eruzione inaspettata per Blinken: l’Europa (e la NATO), lungi dall’essere un fronte unito risoluto di fronte alla Russia, hanno rivelato chiaramente le loro profonde divisioni.

La conferma di Lavrov che le risposte occidentali a Mosca non fornivano basi per un dialogo con gli Stati Uniti o la NATO ha un significato che sembra non essere stato colto. La crisi non riguarda l’Ucraina; come ha osservato il principale giornalista russo Dmitry Kiselyov: “La scala è molto più grande”. Potrebbe, a lungo termine, definire il futuro dell’Europa così come quello del Medio Oriente.

Sembra che – anche prima che sia noto l’esito del vertice Putin-Xi – la Russia abbia già iniziato a “scendere dal recinto”, il che significa che è pronta ad aumentare lentamente il dolore per gli Stati Uniti e l’Europa e deliberatamente sulla base del fatto che, se le preoccupazioni della Russia vengono ignorate e respinte, allora anche la Russia ignorerà le “vostre”.

La Russia comprende chiaramente i punti di pressione geopolitici e geoeconomici che controlla. Sanno bene, ad esempio, che gli Stati Uniti non vogliono aumentare i tassi di interesse, ma devono farlo. Sanno anche che la Russia può spingere l’inflazione molto più in alto, infliggendo notevoli sofferenze economiche. Sanno che i prezzi dei generi alimentari sono in aumento, con il potassio bloccato dalla Bielorussia e la Russia che vieta l’esportazione di nitrato di ammonio.

Le conseguenze per i prezzi dei fertilizzanti – e quindi dei prezzi alimentari europei – sono ovvie, così come la conseguenza dei prezzi spot europei dell’energia, se il gas russo venisse escluso dall’Europa. È così che funziona il dolore economico. L’Occidente sta lentamente scoprendo di non avere punti di pressione contro la Russia (la sua economia è relativamente a prova di sanzioni) e il suo esercito non può competere con quello della Russia.

In Medio Oriente si sono verificati tranquillamente numerosi sviluppi interessanti: la Russia sta organizzando pattugliamenti aerei congiunti con l’aviazione siriana sul Golan e, sulla scia dei recenti attacchi israeliani al porto di Latakia, la Russia ha stazionato lì le proprie forze (il che significa che Israele deve smettere di attaccare il porto). Allo stesso modo, Israele si è recentemente lamentato con la Russia che le interferenze (jamming) usate contro il sistema di posizionamento globale (GPS) in Siria stanno creanddo problemi al traffico aereo cicile e commerciale israeliano in avvicinamento all’aeroporto Ben Gurion. I russi hanno risposto: “Beh, peccato”. E, in un quarto colpo a Israele, la Russia ha iniziato a consentire agli aerei iraniani che trasportavano rifornimenti di armi di atterrare nella grande base russa nella Siria occidentale.

Quindi, un’azione tecnico-militare per bloccare i sorvoli israeliani della Siria? Potrebbe anche essere un preludio alla Russia che consente a Damasco di riprendere il controllo dell’estensione geografica della Siria, consentendo all’esercito arabo siriano di espellere i jihadisti da Idlib e gli americani dalla Siria nord-orientale, dove loro e i loro alleati controllano le risorse energetiche della Siria? L’esodo dei jihadisti (circa 2 milioni di persone a carico) traumatizzerebbe la politica turca, danneggerebbe le prospettive di rielezione di Erdogan e terrorizzerebbe gli europei con la minaccia di un’altra crisi di migranti rifugiati.

Sembra che la Russia abbia deciso di uscire dal recinto in altri modi, invitando il nuovo presidente iraniano a Mosca e riservandogli un trattamento da celebrità completo: un pranzo individuale con il presidente Putin, oltre a un raro invito a rivolgersi alla Duma russa. Questo gesto, oltre a rendere l’Iran un membro a pieno titolo della Shanghai Cooperation Organization (SCO), e la recente esercitazione navale congiunta con Iran, Russia e Cina nel Golfo di Oman, indicano la maggiore età dell’Iran negli affari internazionali.

A Washington piace compartimentare le sue relazioni geopolitiche, credendo che possa essere emolliente nell’uno, ma altamente aggressivo nell’altro. Chiaramente questo non vale più nell’asse Russia-Cina. L’Iran, tuttavia, è in realtà una parte di questo Asse. È possibile ora aspettarsi un accordo JCPOA iraniano con gli Stati Uniti? Sia la Russia che la Cina possono affermare – in modo così esplicito – che la negazione da parte degli Stati Uniti di qualsiasi sovranità di sicurezza alla Russia o alla Cina segna la fine del dialogo con gli Stati Uniti, e tuttavia aspettarsi che l’Iran raggiunga un accordo proprio in termini così riduttivi?

Infine, qual è il collegamento (se presente) tra i continui attacchi degli Houthi agli Emirati Arabi Uniti, in risposta all’interferenza diretta di Stati Uniti e Israele nella guerra in Yemen, e il progetto di azione tecnico-militare russo?

Il porto di Aden, lo stretto di Bab al-Mandib e l’isola di Socotra rientrano chiaramente in una componente vitale della formazione della Guerra Fredda tra Cina e Stati Uniti L’alleato arabo (in questo caso, gli Emirati Arabi Uniti) che può controllare questo stretto dare agli Stati Uniti una leva con cui mettere a repentaglio la via della seta marittima cinese e, contemporaneamente, indebolire la comunità economica dell’Asia orientale. Quindi il ruolo chiave dello stretto di Bab al Mandab è visto da alcuni circoli di Washington come una giustificazione sufficiente per il continuo sostegno dell’America alla guerra in Yemen.

Gli Houthi stanno ponendo gli Emirati Arabi Uniti di fronte a una scelta difficile: colpire le sue città o rinunciare alla risorsa strategica di Bab al-Mandab e dei suoi dintorni. Iran e Cina guarderanno con attenzione. Sta emergendo un nuovo paradigma geostrategico?

Fonte: https://www.strategic-culture.org/news/2022/02/07/turmoil-will-continue-until-modified-global-order-emerges/ in inglese

Alistair Crooke è un ex diplomatico britannico, fondatore e direttore del Forum sui conflitti con sede a Beirut.

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