Il “Wall Street Consensus” come risposta strategica dell’Occidente alla “Belt and Road Initiative” cinese. La sua parola d’ordine? Cartolarizzazione

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Nel suo articolo “The Wall Street Consensus” la professoressa Daniela Gabor ci spiega la strategia occidentale del Wall Street Consensus (WSC): finanza globale, stati, banche centrali, banche multilaterali di sviluppo concorrono nel tentativo di salvare un Occidente in decadenza, che teme a ragion veduta di perdere la propria posizione egemonica nel contesto globale. In che modo? Attraverso la finanziarizzazione subordinata che trasferisce in modo diretto ed estremamente rapido, ingenti flussi di danaro sui mercati finanziari globali. Il Wall Street Consensus sfrutta il modello di capitalismo della sorveglianza, già implementato attraverso l’inclusione della finanza digitale in reti sovrapposte di istituzioni statali, organizzazioni di sviluppo internazionali e società fintech dedite al sedicente “investimento filantropico”. L’obiettivo è mappare, raccogliere e monetizzare tutte le impronte digitali e farne oggetto di analisi comportamentale al fine di cartolarizzarle e renderle globalmente commerciabili.

Foto: Pixabay License

Nel suo lucido articolo The Wall Street Consensus del 26 marzo 2021 la professoressa Daniela Gabor ci spiega la strategia occidentale del Wall Street Consensus (WSC), coniato evidentemente sul più celebre Washington Consensus. Attori compartecipi sul palco sono: la finanza globale (i cosiddetti mercati), gli stati, le banche centrali e le banche multilaterali di sviluppo. Tra gli input e output della strategia ci sono i cittadini e i loro diritti primari. L’ambiente in cui si svolge la scena è un Occidente in decadenza che teme, a ragion veduta, di perdere la propria posizione egemonica nel contesto globale e che non rinuncia a sperare di conservarla usando le leve della finanza nell’era del portfolio glut. Il tutto, in un’epoca di “eccesso di portafoglio”, in cui investitori istituzionali e gestori patrimoniali spostano capitali non più e non tanto attraverso l’intermediazione delle banche, ma soprattutto attraverso la finanziarizzazione subordinata che trasferisce in modo diretto ed estremamente rapido ingenti flussi di denaro sui mercati finanziari globali.

Dieci sono i comandamenti di policy del WSC, rispettando i quali, secondo la Gabor, gli attori istituzionali (stati, banche centrali e banche multilaterali di sviluppo) dovrebbero riuscire a creare una rete di sicurezza sufficiente a convincere gli investitori della finanza globale e a orientarne le scelte verso un massiccio finanziamento di attività utili allo sviluppo economico. Queste ultime dovrebbero poi, almeno in teoria, accrescere il benessere della collettività. Per l’occasione, le attività verranno tradotte in commodity globalmente commerciabili (‘bancabili’, ‘investibili’) attraverso una pratica, quella della cartolarizzazione, che è ormai ampiamente screditata dopo il fallimento di Lehman Brothers. In questo senso, si può dire che la strategia del WSC si propone di riabilitarla.   

La Gabor mette a confronto queste prescrizioni con quelle del Washington Consensus (WC) in una tabella di facile lettura.

Al punto 1 si ribadisce immediatamente, a scanso di equivoci, che attraverso la strategia del WCS, esattamente come nel WC, non saranno minimamente intaccate né l’indipendenza delle banche centrali (dal potere politico, si badi bene, non dalla finanza globale) né la disciplina fiscale.

Il punto 2 segna, invece, una netta cesura tra le due strategie per quanto riguarda il ruolo dei governi: la spesa pubblica per l’istruzione primaria, la salute, l’ambiente, il clima e le infrastrutture in generale viene completamente azzerata: lo stato, che per l’occasione noi definiremo minimo, si limiterà ad assumere il ruolo di facilitatore, abbattendo i rischi insiti nelle attività finanziarie – opportunamente denominate  –  frutto della cartolarizzazione di quei capitoli di spesa dello stato che saranno appunto eliminati, al fine di renderle internazionalmente scambiabili su mercati finanziari globali, liquidi e spessi. Ecco, quindi, che, se gli esperti di marketing daranno il nome giusto alle attività finanziarie progettate dai guru della finanza globale, anche i meno esperti (e forse proprio per questo più scettici) saranno indotti a credere che sarà assai più vantaggioso affidare la gestione di tutto ciò che è essenziale per il benessere delle collettività (istruzione primaria, salute, infrastrutture, clima, natura) , tanto in termini di efficienza, quanto in termini di equità.

Il punto 3 riorienta il discorso sulla sostenibilità delle iniziative per lo sviluppo, svincolandolo dagli aspetti strettamente fiscali, peraltro già insiti in modo inequivocabile nel punto 1 del decalogo, ed indirizzandolo verso gli investimenti di natura finanziaria attraverso i rating (Environmental, Social, Governance, ESG) della cosiddetta finanza sostenibile, che dovrebbero servire a misurare il grado tutela dell’ambiente, della società e della governance, con l’obiettivo dichiarato di generare sia un ritorno finanziario che un impatto ambientale e sociale positivo, concreto e misurabile, seguendo le priorità segnalate dall’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile.[1] 

Il punto 4 richiama l’esigenza di trasformare le istituzioni preposte alla politica economica – e quindi governi e banche centrali – per trasformarle in “market-maker di ultima istanza” a presidio della esistenza in vita dei mercati finanziari e quindi, della progettazione di attività finanziarie liquide, e del contenimento della volatilità dei prezzi delle stesse. Il punto 5 aggiunge per le stesse istituzioni, sempre al fine di facilitare gli investitori finanziari nel contesto globale, il ruolo di “agenti assicuratori di ultima istanza” abili a garantire la possibilità per gli stessi di coprirsi costantemente da tutti i rischi ed in particolare, specie nel caso di investimenti realizzati in Paesi con valuta a circolazione essenzialmente locale, dal rischio di cambio  (saranno in tal caso “hedger e swapper di ultima istanza”) ma anche dal rischio climatico e da qualunque rischio di calo improvviso della domanda, dell’offerta, politico e normativo.

La globalizzazione finanziaria di cui al punto 6 del decalogo WSC, sostituisce, nella sostanza, i contenuti dei punti 4., 5. e 6., del decalogo WC, richiamando la necessità di eliminare qualunque ostacolo alla libera circolazione dei capitali e la rimozione di qualunque fattore di disturbo alla circolazione delle ‘commodity’ intese in senso ampio del termine e quindi tanto merci quanto attività finanziarie frutto della cartolarizzazione delle attività di sviluppo, come già detto.  La liberalizzazione del commercio internazionale di beni e servizi, la totale deregolamentazione del mercato dei cambi, la promozione di Investimenti Diretti Esteri (IDE), previste nel WC, vengono poi sintetizzate nella raccomandazione 7 del WSC relativa alla necessità, non solo di non ostacolare, ma anzi, di promuovere globalmente i ‘flussi di portafoglio’. Alla generica previsione di privatizzazioni del WC, nel punto 8 del decalogo WSC, si richiama, invece, la necessità di dar luogo a Partnership Pubblico Privato (PPP) per la mobilitazione di risorse sul fronte interno, domestico, specie del settore pensionistico ma anche più in generale opportunamente cartolarizzando, e quindi rendendo globalmente ‘investibile’, qualunque infrastruttura a presidio del benessere della popolazione e dello sviluppo economico dei Paesi. Il ruolo di regolatore della concorrenza previso dal WC per lo Stato viene sostituito nel punto 9 del decalogo WSC dalla esigenza – definita di de-risking normativo –  per lo Stato-Partner di rimuovere tutte le barriere normative che ostacolano i produttori privati, innanzitutto, smantellando le posizioni monopolistiche delle utility energetiche statali verticalmente integrate; reindirizzando i sussidi pubblici dal finanziamento della produzione di combustibili fossili ai produttori di energia rinnovabile per il tramite della predisposizione, ad esempio, di tariffe feed-in[2] e dell’accesso garantito alla rete.

Dulcis in fundo (antifrasticamente detto), la tutela dei diritti di proprietà lascia il posto al capitalismo di sorveglianza ed a quello che Naomi Klein ha definito lo Screen New Deal.

Il Wall Street Consensus mira cioè a sfruttare il modello di capitalismo di sorveglianza già implementato attraverso l’inclusione della finanza digitale in reti sovrapposte di istituzioni statali, organizzazioni di sviluppo internazionali e società fintech dedite al sedicente “investimento filantropico”. L’obiettivo è mappare, raccogliere e monetizzare tutte le impronte digitali e farne oggetto di analisi comportamentale al fine di cartolarizzarle e renderle globalmente commerciabili. Il capitalismo della sorveglianza trova applicazione anche nella svolta verso la PPP tra Stato-facilitatore ed assistenza sanitaria privata, dopo che, sulla scia del WC, i Paesi abbiano hanno preventivamente privatizzato la sanità attraverso l’applicazione di tariffe agli utenti sui servizi sanitari pubblici, incoraggiando l’assistenza sanitaria privata e promuovendo schemi assicurativi privati.

Il capitalismo di sorveglianza entra nell’assistenza sanitaria digitale, con la sua promessa di garantire una migliore diagnostica attraverso tecnologie avanzate e un ecosistema complesso maturo per cartolarizzare anche la salute ed intervenire sia dal lato dell’offerta che dal lato della domanda dell’assistenza sanitaria privata fornendo, dal lato dell’offerta, finanziamenti a piccole aziende sanitarie private, a fornitori di assistenza specialistica e contribuendo allo sviluppo di app sanitarie in base alle quali, dal lato della domanda, gli utenti risparmiano per le cure mediche, pagano e gestiscono le loro polizze assicurative e supportano le persone a carico.

L’assistenza sanitaria digitale può trasformarsi in dispositivi di sorveglianza (ad esempio, con app per il monitoraggio dell’ipertensione) attraverso i quali le compagnie assicurative possono regolare i premi e facilitare anche i controlli periodici dei medici per la cura periodica dei pazienti a basso reddito, consentendo ad essi l’accesso ai dati con i quali potranno monitorare con continuità, tra l’altro, la pressione sanguigna e i livelli di glucosio nel sangue. La maggiore consapevolezza digitale e il supporto all’autogestione attraverso app innovative mirano ad agevolare il riconoscimento dei sintomi e l’aderenza al trattamento sanitario e funzionano anche per incoraggiare investitori istituzionali come le compagnie assicurative a sviluppare nuovi prodotti e mercati cartolarizzando i prestiti sanitari.

Gli elementi del capitalismo di sorveglianza del WSC hanno visto nella pandemia di COVID-19 un’opportunità strategica.

Le società fintech statunitensi hanno iniziato a sostenere, poi, quello che Naomi Klein ha definito uno “Screen New Deal” che promuove le PPP nell’intelligenza artificiale al fine di accelerare la fornitura digitale privata di beni pubblici, tra cui istruzione, sanità e infrastrutture.

  1. I fattori ambientali (E) riguardano essenzialmente la gestione dei rifiuti, la limitazione dell’inquinamento, l’emissione di gas serra, l’esaurimento delle risorse naturali, la deforestazione, la conservazione della biodiversità, i cambiamenti climatici. I fattori sociali (S) riguardano il trattamento della persona umana da parte degli Stati e delle aziende, la relazione con i dipendenti, le condizioni di lavoro, per debellare lavoro minorile e schiavitù, il finanziamento di progetti. I fattori di governance (G) riguardano tutti i presidi, le strutture, le regole alla base delle strategie per la gestione degli Stati e delle aziende, con riferimento per lo più agli aspetti fiscali, di remunerazione dei dirigenti, delle donazioni, delle pressioni politiche, della corruzione. Per l’Agenda 2030, si veda https://www.aics.gov.it/home-ita/settori/obiettivi-di-sviluppo-sostenibile-sdgs/.
  2. https://www.efficienzaenergetica.enea.it/glossario-efficienza-energetica/lettera-f/feed-in-tariff-fit.html#:~:text=Meccanismo%20di%20incentivazione%2C%20noto%20anche,15%20anni

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