FALL GELB: IL GENIO, LA BUROCRAZIA, LA FORTUNA

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Fall Gelb: come nacque il piano che mise in ginocchio la Francia in cinque settimane.

Il 27 settembre 1939, mentre la Polonia esalava l’ultimo respiro, Hitler comunicava ai suoi generali l’intenzione di attaccare a occidente. La storiografia ci ha consegnato l’idea di un corpo ufficiali tedesco dinamico, ingegnoso e aperto alle innovazioni, mentre la realtà fu ben diversa: la Luftwaffe, l’unica arma autenticamente nazista, fu costruita da Hermann Göring, asso nella squadriglia di Von Richthofen nella Grande Guerra ed eccellente organizzatore, prima di cedere agli agi e alle mollezze. I carri armati vennero osteggiati in ogni modo perfino da un genio come Hans Von Seeckt (artefice della sopravvivenza dell’esercito dopo Versailles) e lo Stato Maggiore era ancora imbevuto del mito di Von Moltke il Vecchio senza averne le qualità.

La mentalità prudente e conservatrice dell’esercito si manifestò nel piano che venne sottoposto a Hitler il 29 ottobre: una riedizione del Piano Schlieffen, con l’ala destra forte di 43 divisioni destinata all’attacco in Belgio, il centro con 22 divisioni a occuparsi del settore centrale nelle Ardenne e la sinistra con 18 divisioni sulla difensiva davanti la Linea Maginot.
Ironicamente, tutti questi alti ufficiali dimenticarono la vera lezione dell’agosto 1914: la disfatta francese nella Battaglia delle Frontiere non fu provocata tanto dalla sconfitta a Charleroi, quanto dall’azione imprevista della Quinta Armata tedesca nelle Ardenne.

Hitler, che aveva sperimentato sulla sua pelle per quattro anni le conseguenze del fallimento del piano tedesco nel 1914, manifestò ripetutamente la sua insoddisfazione, dicendo dei suoi generali che “avevano indossato gli stivali di Schlieffen”. Intuiva che la soluzione fosse un’altra, ma non sapeva con esattezza quale…
Caso volle che vennero in suo soccorso un colpo di fortuna e un alleato: il primo fu il 10 gennaio 1940 l’incidente di Mechelen-sur-Meuse, quando un ufficiale tedesco precipitò casualmente in territorio belga recando con sé i piani per l’offensiva, di fatto portandoli a conoscenza del nemico.

L’alleato fu il capo di stato maggiore del Gruppo Armate Ardenne, generale Erich Von Manstein, il quale da ottobre tentava di portare a conoscenza del Führer il suo piano di offensiva a occidente, basato sul “colpo di falce” proprio attraverso le Ardenne. L’ostracismo delle altre sfere nulla poté quando, nel corso di una cerimonia il 17 febbraio successivo, Manstein ebbe occasione di parlare direttamente con Hitler. E il piano incontrò l’intuito.

Una settimana dopo fu diramata la versione definitiva del piano d’attacco, dal titolo “Sichelschnitt”, colpo di falce: il gruppo armate A nelle Ardenne passò da 22 a 45 divisioni, diventando il centro di gravità della manovra. Il resto è storia, e lo choc degli anglofrancesi portò a sopravvalutare enormemente la forza tedesca: si arrivò a ipotizzare che Hitler disponesse di circa 8000 carri, mentre la cifra esatta era di 2434, inferiore ai quasi 3000 francesi. La superiorità tedesca non risiedeva nei carri o nella fanteria (le 137 divisioni germaniche erano grosso modo numericamente eguali a quelle alleate), ma nell’aviazione, sia numericamente che operativamente (il supporto aereo sul campo era un concetto relativamente sconosciuto).

Ironia della sorte, c’era uno dall’altra parte che aveva capito le potenzialità del carro armato: l’allora colonnello Charles De Gaulle il quale, mentre i suoi colleghi facevano a gara nel celebrare la Linea Maginot, già nel 1934 dava alle stampe il suo Vers l’armée de métier, in cui propugnava un pugno corazzato di sei divisioni con 500 carri ciascuna in grado di portare velocemente la guerra nel territorio nemico per paralizzarlo. Il nemico era naturalmente la Germania, che con la paralisi della Ruhr avrebbe dovuto cessare di combattere.
De Gaulle, neanche a dirlo, non ebbe alcun successo presso gli alti gradi.

Amara ironia, il 10 maggio 1940 i francesi avevano in linea proprio i 3000 carri desiderati da De Gaulle, però senza una dottrina operativa e un comandante capace. La differenza fondamentale non stava tanto nella diversa propensione al cambiamento nei due eserciti, dato che quello tedesco era poco meno burocratizzato e conservatore di quello francese, ma nel fatto che nel Reich esisteva un’autorità che aveva l’ultima parola su tutto ed era aperta alle innovazioni. De Gaulle non avrebbe potuto ontologicamente avere la possibilità che ebbe Von Manstein, altrimenti la storia sarebbe stata scritta diversamente.

Naturalmente, tutto ciò oggi sarebbe impossibile. La preparazione dell’attacco tedesco avvenne nella massima segretezza, un’utopia nell’era dei droni e dei satelliti che scannerizzano il territorio in tempo reale. Tuttavia alcune lezioni sono valide ancora oggi: in primis, non è tanto il numero a contare, quanto la capacità operativa. E poi, le risorse che si impiegano nella difesa dicono poco: i francesi spesero somme enormi nella linea Maginot, sia per costruirla che per guarnirla e rifornirla, mentre i tedeschi investivano nella Luftwaffe. In altri termini, quello che conta non è tanto quanto si spende, ma come lo si spende.

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