GIOCARE COL FUOCO

5

Alcune brevi note sul rapporto NATO-Russia, sul come l’approccio statunitense si riveli pericolosamente inadeguato e sul perché l’irrilevanza politico-militare dell’Europa si traduca in un potenziale suicidio. Piaccia o non piaccia l’attuale configurazione politica e strategica del cosiddetto Occidente, è impossibile non rilevare come la sua supponenza sia in realtà la maggiore minaccia alla sua stessa esistenza.

La propaganda è una normale condizione nei paesi coinvolti in un conflitto, anche quando si tratta di democrazie liberali che amano pensarsi e rappresentarsi come il paradiso della libertà di pensiero e di parola. In un certo senso, si può anzi dire che la presenza della propaganda, e la sua pervasività, possono essere assunti ad indicatori del coinvolgimento bellico.
Anche da ciò, risulta evidente quindi come i paesi della NATO siano parte attiva del conflitto in Ucraina.
Ma ovviamente la propaganda non ha solo lo scopo di mobilitare la popolazione, affinché sostenga – anche solo politicamente – lo sforzo bellico; scopo, o quantomeno conseguenza della propaganda è anche quello di rimuovere gli argomenti scomodi, le verità scomode.
Nel contesto della guerra in atto in Ucraina, ciò risulta evidente sotto molteplici punti di vista, ma ce n’è uno in particolare che effettivamente riveste (rivestirebbe) una grande importanza, e che, al contrario, scivola via.

Una delle ragioni ufficiali per cui i paesi della NATO sostengono così massicciamente l’Ucraina è la teoria secondo cui la Russia rapprenterebbe una minaccia per l’intero occidente. Ne consegue, a logica, che la principale preoccupazione dei paesi NATO – e segnatamente di quelli europei, che nell’ipotesi di uno scontro sarebbero la prima linea di combattimento – dovrebbe essere assicurarsi prioritariamente di mantenere ed accrescere le proprie capacità difensive. Esattamente l’opposto di quanto sta in effetti accadendo, visto che lo sforzo per sostenere l’Ucraina ha portato le capacità militari dei paesi europei, già assai scarse, al di sotto dei limiti minimi di capacità bellica.
La questione merita di essere osservata almeno sotto due diversi punti di vista.

Va innanzitutto fatta una premessa: sotto il profilo geostrategico, è abbastanza evidente come, all’interno della NATO, non solo vi sia una diversa gerarchia (non è assolutamente un’alleanza paritaria), ed una diversa distribuzione della potenza, ma che vi sia anche un’ineludibile differenza per quanto riguarda il ruolo. Se si assume che la minaccia viene da est (e, dopo la caduta dell’URSS, la NATO è tornata ad affermarlo ufficialmente negli anni scorsi), ne consegue che l’Europa è il terreno su cui si svolgerebbe lo scontro, e che gli USA – esattamente come durante la prima e la seconda guerra mondiale – subentreranno successivamente. Anche se esistono basi e truppe americane (soprattutto in Germania ed Italia), queste sono comunque piccola cosa rispetto alla dimensione di scala che assumerebbe un conflitto di tale portata. E per quanto da allora le cose siano molto cambiate, sotto il profilo della capacità di movimentazione di uomini e mezzi, è evidente che organizzare e trasferire una grande forza di combattimento, dagli Stati Uniti all’Europa, è una gigantesca operazione logistica, che richiederebbe settimane se non mesi. Anche, ovviamente, a prescindere dalla capacità russa di colpire le unità navali che effettuano il trasporto (1).

Ciò significa che, per le prime quattro/sei settimane, il peso dei combattimenti ricadrebbe principalmente sugli eserciti europei, oltre che su un numero limitato di truppe statunitensi.
Stiamo ovviamente parlando di un’ipotesi di conflitto convenzionale, non nucleare.
La prima questione, quindi, è l’ipotetica capacità di combattimento di questi eserciti. Nessuno dei quali ha praticamente alcuna esperienza di guerra simmetrica ad alta intensità. Anche a prescindere dall’impatto su un territorio altamente antropizzato, fitto di infrastrutture sensibili ed assolutamente non predisposte per un conflitto, c’è come prima cosa un rapporto quantitativo rispetto ad uomini e mezzi, disponibili per le due parti.
L’Europa (oggi praticamente tutta nella NATO) conta circa 750 milioni di abitanti, la Russia circa 144. La capacità immediatamente operativa dei vari eserciti NATO europei potrebbe contare su circa un milione e duecentomila uomini, la Russia su circa un milione e quattrocentomila. Gli eserciti europei dispongono di circa 5000 carri armati (di tutte le classi), la Russia di quasi 15.000. Di uguale supremazia la Russia dispone nel settore delle artiglierie.

In poco più di un anno, il sostegno all’Ucraina ha peraltro diminuito non solo la quantità di mezzi disponibili, ma ha prosciugato la disponibilità di munizionamento – che è ovviamente il materiale con il più elevato tasso di consumo.
Ne consegue che il sostegno all’Ucraina – che non è un paese membro della NATO, né dell’UE – sta spaventosamente abbassando la capacità europea di fronteggiare quella che l’Europa stessa definisce come “la minaccia”. Giusto per dare qualche cifra ulteriore, durante questi 14 mesi di guerra le forze armate russe hanno distrutto quasi 9.000 carri armati e corazzati da combattimento, praticamente il doppio della disponibilità totale degli europei.
E sappiamo bene che la capacità produttiva dell’industria bellica europea (che peraltro in caso di conflitto diverrebbe bersaglio degli attacchi nemici) è lontanissima da livelli adeguati, sia in termini di mezzi prodotti che in termini di velocità di produzione.
In buona sostanza, la partecipazione dei membri europei della NATO al conflitto ucraino, per un verso ha elevato il pericolo di un’eventuale minaccia militare russa (Mosca è oggi militarmente più forte, ed è preoccupata per le minacce alla propria sicurezza che ritiene arrivino dall’Alleanza Atlantica), per un altro ha ridotto le proprie capacità di fronteggiare tale ipotetica minaccia. A prescindere da qualsiasi considerazione politica, da un punto di vista puramente militare è un vero e proprio colpo di genio.

Un secondo interessante punto di vista è una riflessione sulle cause strutturali che hanno determinato questa situazione.
Prendiamo, ad esempio, l’esercito britannico, sicuramente uno dei migliori tra i paesi europei della NATO. Il bilancio della difesa 2022 del Regno Unito è stato di 55 miliardi di dollari; quello della Federazione Russa, che era già coinvolta in due guerre (Siria ed Ucraina), di 61 miliardi. Nonostante una differenza non significativa nella spesa militare, la capacità operativa del British Army è degradata al punto che, nelle parole di un generale USA di alto rango, oggi è “a malapena di secondo livello” – laddove al primo sarebbero soltanto USA, Russia e Cina.
Non si tratta quindi di una mera questione di numeri di spesa. Il BA, tra l’altro, può contare su meno di 200.000 uomini in servizio, appena un quinto di quelli in servizio in Russia in periodo ordinario.

C’è quindi in gioco un altro fattore, che deriva dal diverso approccio strategico e concettuale dei paesi NATO, che dopo la caduta dell’URSS ha subito notevoli variazioni, ma che oggi, alla prova dei fatti, si rivelano assolutamente intempestive persino rispetto alle proprie valutazioni. Da almeno dieci anni, infatti, la NATO è tornata ad indicare la Russia come prima minaccia, ma non è stata in grado di adeguare le proprie capacità belliche alla sfida da essa stessa identificata.
Se durante la guerra fredda l’ipotesi fondativa delle strategie NATO era quella dello scontro di massa sul terreno europeo, con la caduta dell’Unione Sovietica l’orientamento strategico è mutato profondamente. La natura stessa dell’Alleanza si è modificata radicalmente: se dal 1945 agli anni ‘90 la sua funzione politica è stata quella di tenere al guinzaglio i paesi europei, mantenendo però una natura essenzialmente difensiva, la nuova proiezione imperiale USA – oltre che all’allargamento dell’alleanza stessa – ha puntato a trasformarla in strumento operativo offensivo, costringendo gli alleati a condividere le guerre asimmetriche da allora portate avanti (Serbia, Afghanistan, Iraq, Siria, Libia).

La parola chiave in questo caso è proprio asimmetriche. In mancanza di un nemico di primo livello (contro cui infatti non si è mai azzardata a confrontarsi direttamente), ma in presenza di un nemico fittizio da agitare, le forze armate NATO sono state via via coinvolte in una serie di guerre a bassa intensità, preferibilmente ad altissima concentrazione di fuoco iniziale per renderle veloci, contro avversari infinitamente più deboli.
Il concetto strategico shock and awe si è tradotto in un’organizzazione delle forze armate NATO finalizzata alla supremazia tecnologica, quindi a strutturare le forze armate intorno ad armamenti caratterizzati da un’elevata capacità offensiva/difensiva, quindi ad altissimo costo, sia di produzione che di manutenzione, prodotti in una quantità relativamente ridotta.
Va notato qui, riprendendo quanto si diceva prima rispetto alle differenze gerarchiche interne all’Alleanza, che non solo le grandi linee politico-strategiche della NATO vengono decise a Washington in base agli interessi statunitensi, ma anche l’elaborazione delle strategie militari (e conseguentemente industriali) è esclusivo appannaggio del Pentagono: gli alleati europei si adeguano.

Già nel 1961, nel suo famoso discorso di fine mandato, il presidente americano Dwight Eisenhower (un ex-generale…) avvertiva dei pericoli insiti agli accordi segreti fra potere politico, industria bellica e militari, in quello che lui stesso definì complesso militare-industriale. Il potere di tale complesso – e per quanto riguarda l’industria stiamo parlando di qualcosa interamente privato – si è centuplicato negli anni susseguenti la WWII, che hanno visto gli Stati Uniti impegnati quasi ininterrottamente in guerre. Ed è abbastanza evidente come l’interesse dell’industria bellica USA sia quello di sviluppare (e vendere) sistemi d’arma ad altissimo valore aggiunto.
C’è quindi un insieme di concause, praticamente tutte riconducibili al paese egemone dell’alleanza, che hanno determinato l’attuale situazione: aver portato in primissimo piano una presunta minaccia, aver contribuito a renderla effettivamente tale e, al contempo, aver abbattuto drasticamente le proprie capacità di fronteggiarla.

Ovviamente, parte di questa insensatezza risiede nel fatto che gli strateghi politici e militari statunitensi pensano alla Russia soprattutto come ad un feticcio, un simulacro, da agitare ad usum vassalli – come è stato precedentemente fatto col terrorismo islamico, dagli USA prima creato in funzione anti-sovietica, poi utilizzato appunto come spaventapasseri globale, ed infine messo da parte quando gli interessi si sono allineati diversamente.
A ben vedere, infatti, anche se Washington insiste sul pericolo della minaccia russa, nei fatti sembra non tenere in alcun conto la Russia. Non ha saputo valutarne né le capacità militari, nell’affrontare la proxy war scatenata in Ucraina, né quelle di fronteggiare la guerra ibrida messa in campo sul piano politico-economico.
Ed anche sotto un profilo più strettamente strategico, e relativamente alla guerra in corso, la non-strategia USA – che oscilla continuamente tra l’illusione di sconfiggere Mosca e quella di semplicemente logorarla – continua a non tenere in alcun conto l’avversario; non le sue capacità, non le sue intenzioni, non le sue preoccupazioni, non i suoi obiettivi.
Come se ciò accade dipendesse esclusivamente dalla volontà della Casa Bianca, le cui decisioni diverrebbero automaticamente realtà solo perché la volontà imperiale si impone sempre.
Ma questo – l’ingaggiare una lotta contro un potente avversario senza mai tener conto della sua essenza – è un altro discorso.


1 – Ovviamente, nel giro di pochi giorni sarebbe possibile dispiegare sul teatro europeo una forza d’intervento rapido aerotrasportata, ma la quantità di uomini e mezzi necessari per affrontare un conflitto ad alta intensità richiederebbe mesi per essere organizzata e portata in Europa.

Condividi!

5 thoughts on “GIOCARE COL FUOCO

  1. 9000 tra carri e corrazzati è un numero di propaganda. Se devo fare il rapporto con gli aerei ed elicotteri dichiarati abbattuti siamo molto molto lontani dal vero. Molto di più di quel sobrio 30% che pare essere previsto dai “manuali”. Ma a parte questo mi pare evidente che la NATO sia convinta di poter infliggere una enorme sconfitta ala Russia . Tanto pesante da doverla costringere o a capitolare con tutte le conseguenze del caso o a dover usare armi nucleari. Il che porterà a conseguenze davvero disastrose per le relazioni internazionali della Russia, o almeno così pensano alla nato. Io credo che il piano sia pronto e che riguarderà soprattutto la possibilità di colpire con grande precisione la catena di comando e le comunicazioni russe. Così come mi ma pare abbastanza ovvio che le forze che verranno lanciate all’attacco saranno molto di più di quelle indicate nei vari papers usciti in queste settimane e volutamente sopravvalutati dalla stampa occidentale. Sinceramente dubito che la Nato non abbia preparato meticolosamente questa offensiva. Per cui aspetterei a vederla fallita prima di parlare di una NATO indifesa che pensa solo a buttare armi in Ucraina piuttosto che organizzarsi. Secondo c’è davvero la convinzione della pochezza Russa e del resto avvalotrata dai tourbillon di generali russi che si sono avuti nell’ultimo anno. Vedremo se i russi terranno botta probabilmente la nato ne prenderà atto ma come ripeto riproporrei l’articolo dopo il fallimento sostanziale di questa offensiva

    1. Sinceramente, dubito che la NATO sia convinta di poter infliggere un’enorme sconfitta alla Russia; anzi, credo che sappiano bene di non poterne infliggere nemmeno una medio-grande…
      Se pure le forze armate ucraine riuscissero – davvero miracolosamente – a conseguire un successo tattico significativo, questo non sposterebbe i termini strategici del conflitto, e sarebbe destinato ad essere successivamente ribaltato.
      Kyev non ha né abbastanza mezzi (carri, artiglieria, aviazione), né un numero sufficiente di uomini preparati, per pensare di poter sfondare le linee russe. In questi 14 mesi, i russi hanno annientato per due volte l’esercito ucraino (e questo lo dicono gli americani, non Mosca), e quello che si appresta a fare un altro tentativo è il terzo – e probabilmente l’ultimo.
      L’unico modo in cui la NATO potrebbe provare a sconfiggere la Russia sarebbe intervenendo direttamente, ma sa bene che questo porterebbe dritto alla guerra nucleare – che, comprensibilmente, vuole evitare come la peste, giacché, se pure la vincesse (cosa difficile) ne uscirebbe distrutta.
      Purtroppo per gli ucraini, questo è un dramma già scritto. Tra 10, massimo 15 giorni, le condizioni meteo saranno tali da non fornire più alcuna giustificazione ad un ulteriore rinvio, e saranno costretti a prendere l’iniziativa. Sono convinto che faranno il massimo, per ottenere un qualche risultato e non riportare perdite drammatiche, ma la vedo dura.

      1. Che la Russia non si è sgretolata è evidente.
        Nonostante sanzioni , 8 anni di preparazione militare ucraina e una enorme quantità di mezzi , rifornimenti e assistenza tecnologica e di intelligence.Quello che mi pare incomprensibile è continuare su questa strada!Io riesco a giustificarlo solo col fatto che o sono in preda ad un delirio messianico di tipo quasi religioso o hanno davvero informazioni che l’edificio russo,politico militare e ,forse, economico, sia prossimo al crollo. Semmai l’unico errore fatto sta nel fatto che le fondamenta pur marcie non lo erano ancora abbastanza da determinare il cedimento immediato. È palese che una avanzata di 30/40 km semmai in un paio di direzioni sarebbe una sconfitta per la NATO. Perché sarebbe evidente che non ci sarebbe stato nessun crollo russo e i russi difendendosi avrebbero imposto perdite estremamente significative in termini sia di uomini che di mezzi. Gli ucraini si attesterebbero sulle nuove posizioni e continuerebbero ad affidarsi alla loro principale risorsa: i coscritti con fascia verde cioè pura carne da cannone. Facendo in definitiva il gioco della Russia che punta alla distruzione delle capacità ucraine di lungo periodo partendo proprio dalle risorse umane. Ma tutto questo mi pare talmente ovvio che faccio fatica a pensare che non ne siano consapevoli.
        Io sento parlare da mesi di questa faccenda del milione di colpi da 155 entro il 2023 ma ancora, e siamo a maggio, si discute, si litiga e a parte rheinmetall che fa grandi proclami mi sembra di sentire un silenzio abbastanza assordante. Del resto i 2000 euro al pezzo per quanto rendano bene l’idea di quanto costa una guerra è un prezzo piuttosto basso, fatto per produzioni corpose con significative strutture dedicate e personale preparato. Le produzioni da 5/10/15/20.000 pezzi annui , immagino a prezzi significativamente più alti, sono fatte per reintegrare le necessità addestrative e le sostituzioni dei pezzi “scaduti”.Quindi non mi meraviglierei che in generale non ci sia troppo entusiasmo a dover convertire (e poi a dover riconvertire ) per produrre a prezzi che rischiano di non coprire i costi degli investimenti se non spalmati su lunghi periodi di grossa produzione.
        Cioè alla fine insistendo sul piano A la Nato rischia davvero di liquefarsi e se scommettono tutto o quasi su questa offensiva non posso non pensare che non abbiano un buon punto in mano.
        Quando facevo qualche mano di poker, prima dell’hold’em, le perdite maggiori le ho avute quando avevo un buon punto. Non rilanci e rilanci e poi vai a vedere con una coppia anche se di assi a meno che non sei sicuro di che cosa hanno in mano gli altri.
        Per cui se la Nato ha un buon punto semmai perdono lo stesso e perdono male. Ma se hanno una coppia o sono matematicamente certi che la Russia ha ancora meno o sono degli idioti totali.

        1. Mi permetto di far notare che forse l’obiettivo della Nato non è quello di vincere la guerra con la Russia, e secondo me neanche di logorarla. La NATO non è che un’estensione del complesso militare-industriale-d’intelligence americano, i cui terminali politici eseguono in modo pedissequo le istruzioni ricevute in contesti molto diversi da quelli militari. A parer mio gli obiettivi di questa guerra sono due, entrambi avulsi dal contesto politico/strategico di cui si discetta sempre (in linea con la cortinafumogena che deve sempre confondere le idee di chi osserva senza essere parte del gioco):
          1) preparare il terreno per una distrazione di massa globale rispetto al vero problema economico mondiale, che è quello delle banche ormai tecnicamente fallite, e del debito globale da esse contratto, che è semplicemente impossibile restituire in alcun modo (vedere qui il debito ufficiale, ca. 230.000 mld dollari: https://www.ilsole24ore.com/art/fmi-balzo-record-debito-globale-battere-covid-AExNFNp). Da che mondo e mondo, questi livelli di debito sono sempre e solo stati estinti con una guerra.
          2) realizzare le pre-condizioni per un cambiamento della società di cui le avvisaglie covid/vaccini, 5G, green revolution e compagnia sono metodi che richiedono, per la completa attuazione, condizioni di disperazione della popolazione. Che si possono evidentemente ottenere solo con una guerra globale.

          1. Questo ragionamento, in linea teorica funzionante, ha però una serie di punti deboli.
            Intanto, le maggiori critiche e perplessità sulla condotta della guerra, e sulle sue prospettive, vengono esattamente dagli ambienti militari statunitensi.
            Il che sarebbe abbastanza strano, se fosse questo il centro da cui originano le linee strategiche.
            Va poi considerato che la minaccia principale, per gli USA, è costituita dalla Cina; per gli Stati Uniti è imperativo mantenere una potenza militare in grado di contenere e contrastare l’ascesa di Pechino. E questo deve avvenire senza mai mettere a rischio la sopravvivenza degli USA stessi – cosa che invece accadrebbe, in caso di “guerra globale” contro Russia e Cina (+ Iran e Corea del Nord).
            La dottrina militare americana si è sempre basata sul mantenere la capacità di sostenere due guerre contemporaneamente; è quello che hanno fatto nella WWII: fronte atlantico-europeo, contro la Germania, fronte pacifico, contro il Giappone. Allo stato attuale, però, per gli USA una guerra contemporanea contro Russia e Cina (anche a prescindere da Iran e Corea) sarebbe insostenibile, non solo perché queste due forze armate unite ormai li sovrastano (non solo sul piano nucleare), ma perché la guerra in Ucraina ha messo in ginocchio le forze alleate in Europa, e più in generale ha colto in contropiede proprio il complesso militare-industriale (che oggi è in evidente difficoltà produttiva).
            Proprio per questo, il disegno neo-con era quello di affrontare separatamente i due avversari, per ‘farli fuori’ uno alla volta. Ma hanno sbagliato i conti con la Russia (non è qui il luogo per riepilogare le ragioni di questo errore, di cui ho più volte scritto).
            Il disegno ‘sorosiano’ di un mondo nuovo è solo in parte coincidente con quello del deep state americano (che, per dire, è ancora saldamente ancorato alle energie fossili; anzi, una delle ragioni di questa guerra è che gli USA sono diventati recentemente autosufficienti energeticamente, proprio grazie al fossile).
            Nei prossimi decenni, più che una grande guerra globale – che rischierebbe di essere esiziale per una potenza in declino come gli Stati Uniti – c’è assai più probabilmente un lungo periodo di sanguinose guerre ‘locali’.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *