THE TWITTER FILES V: “La rimozione di Trump da Twitter”

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Quinto capitolo dei TwitterFiles. Siamo all’8 gennaio, la data fatidica in cui viene presa ufficialmente la decisione di sospendere Donald Trump dalla piattaforma per sempre. Ma che cosa scrive Trump di così oltraggioso da meritare il ban permanente? Chi ha letto i capitoli precedenti sa che i dirigenti di Twitter avevano già dato a Trump dopo il 6 gennaio un “cartellino giallo”, accordandosi sull’idea che la prossima violazione avrebbe fatto scattare la decisione irrevocabile. Ma l’8 gennaio Trump scrive due tweet apparentemente innocui e privi di qualsiasi incitamento all’insubordinazione. Prima scrive che “I 75 milioni di grandi patrioti americani che hanno votato per me… non saranno trattati senza rispetto o ingiustamente”. Un’ora dopo si limita a dire che il 20 gennaio non sarà presente all’inaugurazione. Tanto che inizialmente i dirigenti convengono che non ci sono gli estremi per una qualsiasi violazione delle norme. Poi arriva Vijaya Gadde, la ex responsabile del settore legale, normativo e fiduciario di Twitter, la quale insinua che “patrioti americani” potrebbe essere interpretato da qualcuno come un riferimento ai rivoltosi che hanno invaso il Campidoglio. A partire da questo momento, la sorte di Trump è segnata. Non solo: la hybris si impadronisce completamente dei dipendenti di Twitter, che l’indomani partiranno all’attacco anche della “disinformazione sul Covid”. La frase di un dipendente, la cui identità viene tenuta segreta da Bari Weiss, è illuminante: “Per molto tempo, la posizione di Twitter è stata che non siamo gli arbitri della verità, posizione che ho rispettato, ma che non mi ha mai dato una vera sensazione di appagamento”. Ci siamo. La convinzione, tipica del liberalprogressismo, di rappresentare il Bene, come una sorta di punto di arrivo di tremila anni di civiltà, unita alla sensazione di avere dietro di sé la copertura dei mainstram e delle agenzie federali, crea la base psicologica e legale per quella ebbrezza di onnipotenza che ha caratterizzato gli ultimi due anni di gestione di Twitter prima dell’acquisizione da parte di Elon Musk.

Thread originale: https://twitter.com/bariweiss/status/1602364197194432515

Thread: THE TWITTER FILES PART FIVE. THE REMOVAL OF TRUMP FROM TWITTER.

di Bari Weiss, fondatrice ed editor di The Free Press


La mattina dell’8 gennaio, il presidente Donald Trump, con appena un unico “colpo” ancora da sparare prima di essere a rischio di sospensione permanente da Twitter, twitta due volte.

6:46: “I 75 milioni di grandi patrioti americani che hanno votato per me, AMERICA FIRST e MAKE AMERICA GREAT AGAIN, avranno una VOCE GIGANTE per molto tempo nel futuro. Non saranno tratti senza rispetto o ingiustamente in alcun modo o forma!!!”

7:44: “A tutti quelli che me lo hanno chiesto: il 20 gennaio non sarò presente all’inaugurazione”.

Per anni, Twitter ha resistito agli appelli, sia interni che esterni, per bloccare Trump sulla base del fatto che bloccare un leader mondiale dalla piattaforma o rimuovere i suoi controversi tweet avrebbe celato informazioni importanti che le persone dovrebbero essere in grado di vedere e discutere. “La nostra missione è offrire un forum che consenta alle persone di essere informate e di interagire direttamente con i propri leader”, scriveva l’azienda nel 2019. L’obiettivo di Twitter era quello di “proteggere il diritto del pubblico di ascoltare i propri leader e obbligarli a rendere conto di ciò che fanno”.

https://blog.twitter.com/en_us/topics/company/2019/worldleaders2019

Ma dopo il 6 gennaio, come hanno documentato Matt Taibbi e Michael Shellenberger, le pressioni per bloccare Trump, sia all’interno che all’esterno di Twitter, sono aumentate. C’erano dissidenti all’interno di Twitter. “Forse perché vengo dalla Cina”, scrive un dipendente il 7 gennaio, “capisco profondamente come la censura possa distruggere il dibattito pubblico”.

Ma voci come questa sembrano essere state una netta minoranza all’interno dell’azienda. Sui canali Slack, molti dipendenti di Twitter sono sconvolti dal fatto che Trump non sia stato già bannato. Dopo il 6 gennaio, i dipendenti di Twitter si organizzano per chiedere al loro datore di lavoro di bannare Trump. “Ce lo stanno chiedendo molti dipendenti”, scrive un dipendente di Twitter. “Dobbiamo fare la cosa giusta e bannare questo account”, dice un membro dello staff. È “abbastanza ovvio che cercherà di usare l’incitamento senza violare le regole”, aggiunge un altro.

Nel primo pomeriggio dell’8 gennaio, il Washington Post pubblica una lettera aperta firmata da oltre 300 dipendenti di Twitter al CEO Jack Dorsey chiedendo il ban di Trump. “Dobbiamo esaminare la complicità di Twitter in ciò che il presidente eletto Biden ha giustamente definito insurrezione”.

Ma lo staff di Twitter incaricato di valutare i tweet conclude rapidamente che Trump non ha violato le norme di Twitter. “Penso che avremo difficoltà a definire questo un’istigazione”, scrive un membro dello staff.  “È abbastanza chiaro che sta dicendo che i ‘patrioti americani’ sono quelli che hanno votato per lui e non i terroristi (possiamo chiamarli così, giusto?) di mercoledì.”

 Un altro membro dello staff concorda: “Non mi pare di scorgere gli estremi per un incitamento [alla violenza, ndt] qui”.

“Anch’io non vedo un incitamento chiaro o codificato nel tweet di Donald Trump”, scrive Anika Navaroli, una funzionaria responsabile per le norme di Twitter. “Risponderò nel canale delle elezioni e dirò che il nostro team ha esaminato il tweet di Domand Trump e non ha riscontrato violazioni”.

E fa proprio così: “Per vostra informazione, il reparto Sicurezza ha analizzato il tweet Donald Trump di cui sopra e ha stabilito che non vi è alcuna violazione delle nostre norme in questo momento”.

(In seguito, la Navaroli avrebbe testimoniato davanti alla commissione del 6 gennaio della Camera: “Per mesi ho implorato, anticipato e tentato di sollevare la realtà che, se non fossimo intervenuti in ciò che vedevo accadere, sarebbero morte persone”.)

Successivamente, il team della sicurezza di Twitter decide che anche il tweet di Trump delle 7:44 ET non contiene una violazione. Il tono è inequivocabile: “Non è chiaramente una violazione. È solo per dire che non parteciperà all’inaugurazione”.

Per comprendere la decisione di Twitter di bannare Trump, dobbiamo considerare come Twitter tratta altri capi di stato e leader politici, inclusi quelli di Iran, Nigeria ed Etiopia. Nel giugno 2018, ad esempio, l’ayatollah iraniano Ali Khamenei twittava: “Israele è un tumore maligno canceroso nella regione dell’Asia occidentale che deve essere rimosso ed eradicato: è possibile e accadrà”. Twitter non ha cancellato il tweet né bannato l’Ayatollah.

Nell’ottobre 2020, l’ex primo ministro malese affermò che era “un diritto” per i musulmani “uccidere milioni di francesi”. Twitter cancellò il suo tweet per “glorificazione della violenza”, ma il tweet rimase sulla piattaforma. Il tweet qui sotto è stato preso dalla Wayback Machine:

Muhammadu Buhari, il presidente della Nigeria, ha incitato alla violenza contro i gruppi pro-Biafra. “Quelli come noi che sono stati nei campi per 30 mesi, che sono passati per la guerra”, scrisse, “useranno con loro la lingua che capiscono”. Twitter cancellò il tweet, ma non bannò Buhari.

Nell’ottobre 2021, Twitter consentì al primo ministro etiope Abiy Ahmed di invitare i cittadini a prendere le armi contro la regione del Tigray. Twitter lasciò che il tweet rimanesse attivo e non ha mai bannato il primo ministro.

All’inizio di febbraio 2021, il governo del primo ministro Narendra Modi minacciò di arrestare i dipendenti di Twitter in India e di incarcerarli fino a sette anni dopo aver ripristinato centinaia di account che lo avevano criticato. Twitter non bannò Modi.

Eppure, i dirigenti di Twitter bannarono Trump e questo nonostante alcuni membri importanti dello staff affermassero che Trump non aveva incitato alla violenza, nemmeno in modo “codificato”.

Meno di 90 minuti dopo che i dipendenti di Twitter avevano stabilito che i tweet di Trump non avevano violavato le norme di Twitter, Vijaya Gadde, responsabile del settore legale, normativo e fiduciario di Twitter chiede se non potesse, in effetti, essere un “incitamento codificato che induce a ulteriore violenza”.

Pochi minuti dopo, i dipendenti di Twitter del team “Applicazione in scala” suggeriscono che il tweet di Trump potrebbe aver violato la norma sulla glorificazione della violenza di Twitter, se la frase “American Patriots” viene interpretata come un riferimento ai rivoltosi.

La situazione degenera a partire da qui. I membri di quella squadra arrivano a “vederlo come il leader di un gruppo terroristico responsabile di violenze/morti paragonabili al tiratore di Christchurch o a Hitler e su tale base e sulla totalità dei suoi tweet, dovrebbe essere rimosso dalla piattaforma”.

Due ore dopo, i dirigenti di Twitter ospitano una riunione di 30 minuti di tutto il personale. Jack Dorsey e Vijaya Gadde rispondono alle domande dello staff sul motivo per cui Trump non è stato ancora bannato. Ma fanno infuriare alcuni dipendenti. “Parecchi dipendenti di Twitter hanno citato la Banalità del Male suggerendo che le persone che attuano le nostre norme sono come i nazisti che eseguono ordini”, riferisce Yoel Roth a un collega.

Dorsey chiede un linguaggio più semplice per spiegare la sospensione di Trump. Roth scrive: “Dio ci aiuti, [questo] mi fa pensare che voglia condividerlo pubblicamente”.

Un’ora dopo, Twitter annuncia la sospensione permanente di Trump “a causa del rischio di ulteriore incitamento alla violenza”.

Molti su Twitter sono entusiasti.

E poi le pacche sulla spalle: “Congratulazioni a tutti quelli nel team Trust&Safety che si sono occupati di tirare giù questi account di Trump”.

L’indomani i dipendenti sono già ansiosi di affrontare la “disinformazione medica” il prima possibile:

“Per molto tempo, la posizione di Twitter è stata che non siamo l’arbitro della verità”, scrive un altro dipendente, “posizione che ho rispettato, ma che non mi ha mai dato una vera sensazione di appagamento”

Ma Parag Agrawal, COO di Twitter, che in seguito avrebbe preso il posto di Dorsey come CEO, dice al capo della sicurezza Mudge Zatko: “Penso che alcuni di noi dovrebbero fare un brainstorming sugli effetti a catena” del ban di Trump. Agrawal aggiunge: “La moderazione centralizzata dei contenuti, a mio modo di vedere, ha raggiunto un punto di svolta adesso”.

Al di fuori degli Stati Uniti, la decisione di Twitter di sospendere in modo permanente Trump suscita inquietudine, anche presso il presidente francese Emmanuel Macron, il primo ministro tedesco Angela Merkel e il presidente messicano Andres Manuel Lopez Obrador.

Macron dice in pubblico che non “vuole vivere in una democrazia in cui le decisioni più importanti” sono prese da soggetti privati. “Voglio che sia deciso da una legge votata dal nostro rappresentante, o da un regolamento, una governance, discussa democraticamente e approvata dai leader democratici”.

Il portavoce della Merkel definisce “problematica” la decisione di Twitter di bannare Trump dalla sua piattaforma e aggiunge che la libertà di opinione è di “importanza fondamentale”. Il leader dell’opposizione russa Alexey Navalny critica il divieto definendolo “un atto di censura inaccettabile”.

Che tu sia d’accordo con Navalny e Macron o con i dirigenti di Twitter, speriamo che quest’ultima puntata di  TheTwitterFiles ti abbia dato un’idea di questa decisione senza precedenti. Fin dall’inizio, il nostro obiettivo nell’indagare su questa storia era scoprire e documentare i passaggi che hanno portato alla decisione di sospendere Trump e contestualizzare tale scelta.

In definitiva, le preoccupazioni sugli sforzi di Twitter per censurare le notizie sul laptop di Hunter Biden, inserire nella lista nera le opinioni sfavorevoli e bannare un presidente non riguardano le scelte passate dei dirigenti in una società di social media. Riguardano il potere di una manciata di persone di un’azienda privata di influenzare la discussione pubblica e la democrazia.

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